di Giuseppe Morabito (*) – Nelle settimane precedenti all’azione terroristica di un tagliagole nord-africano che ha compiuto una strage a Nizza dopo esservi arrivato attraversando, senza essere fermato, il Mediterraneo, la Sicilia e tutta l’Italia, in ambito NATO si è accesa la discussione sul futuro dell’Alleanza, minata proprio in queste ore dalla contrapposizione di due Paesi membri di grandi importanze quali Francia e Turchia.
Il tagliagole si potrebbe configurare come un terrorista isolato che ha preso spunto per la sua azione dalle “assolutamente discutibili” vignette di Charlie Hebdo. La triste realtà è che sicuramente buona parte della sua rabbia assassina sia legata alla “spinta” antifrancese data ai giovani mussulmani in Francia dal sultano Erdogan e tramite lui ai suoi accoliti della Fratellanza musulmana.
Solo il più ottuso dei “buonisti ad ogni costo” può accettare la tesi che le vignette di Charlie Hebdo rappresenterebbero una spinta al terrorismo facendo passare un messaggio simile a quello di chi pensa che indossare una minigonna “faciliti” lo stupro.
Questi avvenimenti, che sono solo la punta dell’iceberg che si muove minacciando le democrazie occidentali, avvengono sullo sfondo della vera sfida della NATO del ventunesimo secolo: come trasformare la posizione di difesa e deterrenza dell’Alleanza, quella che proprio il presidente Macron ha definito, forse anche ingiustamente, NATO “cerebralmente morta” lo scorso dicembre, in una forza agile e super intelligente e per fare questo l’Alleanza avrà probabilmente bisogno di lavorare fino alla fine del decennio.
Certamente, la NATO ha bisogno di un nuovo Concetto strategico che riaffermi lo scopo duraturo dell’Alleanza e dei suoi compiti fondamentali data la natura e la portata, in rapida evoluzione, dei rischi e delle minacce contemporanei e futuri. Fondamentalmente, l’Alleanza ha anche bisogno di un Concetto operativo strategico integrato perché la sfida essenziale per la deterrenza e la difesa della NATO riguarda l’equilibrio che gli alleati europei devono raggiungere dopo la pandemia da “Virus di Wuhan” tra costi, tecnologia e le capacità di condurre attività militari nel nuovo ambiente strategico .
Questa sfida è rafforzata dall’urgente necessità di organizzare in modo efficace ed efficiente, le ormai limitate numericamente e “affamate di denaro” forze armate europee, in una forza che possa contribuire in modo significativo alla difesa e alla deterrenza alleate e mantenere l’interoperabilità con le future forze armate statunitensi, qualunque sia l’esito delle elezioni presidenziali che si svolgeranno tra poche ore.
Sia chi lavora nel Quartier Generale dell’Alleanza di Brussels sia i più stimati e considerati esperti geopolitici concordano, di massima, che ci siano tre elementi fondamentali nella strategia da seguire in un prossimo futuro.
In primo luogo, sarà importante riconosce la necessità per l’Alleanza di affrontare nuovamente la concorrenza geostrategica nell’area strategica in cui la NATO dovrà confrontarsi. In secondo luogo, accettare unitariamente di identificare la Russia e i gruppi terroristici come le principali minacce strategiche per l’Alleanza. In terzo luogo riconosce la necessità di allontanarsi dalla sola risposta alle crisi e, sempre rimanendo un’Alleanza difensiva, contrastare tutte minacce sviluppando una capacità comune e potere deterrente in tempo di pace.
Fondamentalmente, semplificando al massimo, bisogna trovare il giusto equilibrio tra la capacità dell’Alleanza per affrontare le minacce dalla Russia all’interno della sua area di responsabilità (AOR) nord atlantica e i gruppi terroristici al di fuori della sua AOR.
Atteso quanto precede i due grandi problemi della NATO sono sia la riluttanza dei suoi paesi membri, specialmente europei e Italia compresa, a spendere per la difesa sia la definizione di come comportarsi con il membro “scomodo” e “scorretto”, la Turchia.
Il presidente Erdogan provoca senza alcuna remora la Francia preminentemente attorno alla partita del gas del Mediterraneo Orientale e come nuovo sultano vorrebbe ergersi a leader del fronte sunnita globale e protettore dei musulmani sunniti in modo da trarre vantaggi considerevoli per la sua politica interna. Quanto precede in un momento di estrema precarietà economica in cui la Turchia, pur essendo membro NATO è , peraltro, implicata in molti conflitti esteri. La questione religioso-identitaria può essere un eccellente diversivo per distrarre l’opinione pubblica turca, ora afflitta anche dalle conseguenze di un devastante terremoto, dalla morsa del virus pandemico cinese.
Non dimentichiamo che, dopo aver avanzato dei dubbi sulla sanità mentale del Presidente francese con riferimento alla questione delle vignette di Charlie Hebdo, Erdogan si è spinto fino allo scellerato paragone tra i musulmani in Europa agli ebrei durante l’Olocausto. L’eco delle parole del sultano turco non si è fermato ai confini nazionali, ma ha raggiunto gran parte dei Paesi a maggioranza musulmana (non esclusivamente sunnita), dal Bangladesh alla Somalia, dal Libano alla Malesia, dall’Egitto al Mali fino all’Iran, dove la Guida Suprema Ali Khamenei ha descritto la difesa delle vignette da parte di Macron come “un atto stupido”.
Quanto precede a dimostrazione che esiste terreno fertile per atti irrazionali che potrebbero provocare altre perdite di vite innocenti in Europa come quelle osservate il 29 ottobre.
Questo supporta fortemente quanto in precedenza affermato nella necessità della NATO di accettare unitariamente d’identificare, oltre che nella Russia, i gruppi terroristici come le principali minacce strategiche per l’Alleanza, anche se chi li sostiene forse, “gioca in casa”.
(*) Giuseppe Morabito, generale in ausiliaria dell’Esercito italiano, è attualmente membro della NATO Defense College Foundation