Dopo solo quattro minuti dall’annuncio della tregua, scattata alla mezzanotte domenica scorsa tra Armenia e Azerbaijan, le armi hanno ripreso a far fuoco, con colpi di artiglieria e lanci di razzi denunciati da parte armena.
Quasi contemporaneamente Baku ha ribattuto attraverso un comunicato diffuso dal suo ministero della difesa che «le forze armate di Yerevan hanno gravemente violato l’accordo con colpi di artiglieria e attacchi lungo il fronte».
Una situazione che sembra impossibile risolvere, nonostante l’intervento di Francia, Stati Uniti e Russia, che avevano espressamente chiesto l’immediata fine dei combattimenti.
«È un quadro complicato – afferma al riguardo il generale in ausiliaria Giuseppe Morabito, membro fondatore dell’Institute for Global Security and Defense Affairs (Igsda) e membro del Collegio dei direttori della Nato Defense College Foundation -, dove ogni superpotenza si muove con i piedi di marmo perché nessuna trae vantaggio da una forzatura della situazione. La Russia ha rapporti con entrambi i paesi, gli Stati Uniti sono in piena campagna elettorale, mentre l’unico che si muove approfittando del caos internazionale dovuto al Covid-19 è Erdoğan».
La decisione del cessate il fuoco è stata presa dopo la dichiarazione del 5 ottobre dei presidenti di Francia, Russia e Stati Uniti in rappresentanza dei paesi co-presidenti del Gruppo di Minsk dell’Osce. La Turchia dove era?
La Turchia non è stata interessata, non è stato dichiarato il suo coinvolgimento. La situazione è molto complicata perché tutti gli attori sullo scenario hanno paura a muoversi.
Perché?
Se si parla con l’ambasciatore azero egli affermerà che ridurre la discussione al fattore religioso, cioè a una guerra tra musulmani e cristiani ortodossi, è fuori questione; se si parla invece con gli armeni, essi dicono che è una aggressione voluta dagli azeri, che vogliono sfruttare il momento di disattenzione internazionale per prendere vantaggio sul terreno. Ricordiamoci che gli azeri sotto il profilo religioso ed economico sono legati alla Turchia; il Monte Ararat, di grande significato per gli armeni, è in territorio turco. Erdoğan sfrutta questo momento anche perché la Russia ha ottimi rapporti con entrambi i paesi.
Quindi intervenire metterebbe Mosca in difficoltà. C’è chi dice che però quello in corso sia un autentico conflitto anti-russo per stroncare il gasdotto Nord Stream 2 a favore della Trans-Caspian Gas Pipeline, in grado di fornire gas attraverso lo snodo cruciale dell’hub di Baku in Azerbaijan.
Assolutamente, c’è tutto l’interesse turco a portare l’attenzione sul proprio gasdotto. Non mi spingerei però a dire che si tratti di un conflitto anti-russo, sarebbe troppo rischioso per Erdoğan.
E allora?
È piuttosto un cercare da parte turca di sfruttare il momento. Sono quattro attualmente gli scenari di crisi internazionale: Libia, Palestina (per via dell’accordo di Abramo), Cipro e Caucaso. In tutti e quattro è coinvolto Erdoğan. Con il conflitto azero-armeno vuole aprire un altro fronte per distogliere l’attenzione dagli altri scenari.
Nessuno gli dice niente di concreto però, né la Russia né gli Stati Uniti d’America. Di questo passo dove arriverà?
In piena campagna elettorale, e dopo aver ottenuto un ottimo risultato con l’accordo di Abramo, Trump non ha nessuna intenzione di farsi coinvolgere in un altro fronte. Lo stesso Putin non vuole che il Caucaso si infiammi.
Intanto, mentre le grandi potenze curano i propri interessi, centinaia di persone sono già morte e altre ne moriranno. Si apre uno scenario come quello siriano?
In Azerbaigian ci sono anche migliaia di guerriglieri inviati dalla Siria dai turchi. Se questi due paesi si fanno la guerra è perché hanno ricevuto armi. Se gli armeni usano i missili Scud, è perché li hanno avuti dalla Russia. Se la Turchia, come già in Libia, ha inviato in Azerbaigian droni di fabbricazione cinese è per rifornire il paese di armi.
Una tregua vera può essere raggiunta non tra i due contendenti, ma solo a un tavolo multilaterale con le potenze regionali, è fattibile?
No, non si può fare. Una pace regionale senza coinvolgere l’Europa non si può fare.
E l’Europa cosa può fare?
Mentre la NATO ha la deterrenza militare, l’Europa ha il soft power.
Sarebbe?
La possibilità di imporre forti sanzioni a entrambi i paesi fino a quando non accetteranno di fare una pace duratura. Un embargo europeo ha una valenza sulle vie di comunicazione, di materiale, linee telefoniche, il rifiuto di comprare gas. A chi lo venderebbero? Russia, Turchia e Iran non possono fare la stessa cosa.