LIBIA, sequestro cittadini italiani. Interrogazione di Siracusano (Forza Italia) al «question time» alla Camera

«Le indiscrezioni di stampa su presunte richieste di scambio dei marittimi con quattro cittadini libici condannati con sentenza definitiva in Italia – ha dichiarato in Parlamento D’Incà -, restano a oggi, né confermate e né in alcun modo formalizzate. L’impegno del Governo è massimo, caratterizzato, come d’obbligo in questi casi, da un basso profilo mediatico»

Attraverso un’interrogazione presentata al Governo nel corso del question time che ha avuto luogo oggi alla Camera dei Deputati, la parlamentare di Forza Italia Matilde Siracusano ha chiesto chiarimenti all’esecutivo in carica in ordine a quali siano le iniziative assunte al fine di pervenire al rilascio degli equipaggi dei due pescherecci italiani salpati dalle coste siciliane e, in seguito, bloccati dalla “guardia costiera” delle forze armate del generale Khalifa Haftar, attualmente tenuti in stato di prigionia in un carcere nei pressi della città libica di Bengasi.

«È passato troppo tempo – ha dichiarato la parlamentare azzurra rivolgendosi al suo interlocutore – e sappiamo che questi episodi sono già accaduti in passato, ma oggi la situazione è divenuta molto preoccupante perché, a differenza del passato, il rilascio dei persone tenute prigioniere non è ancora avvenuto».

Ella ha quindi chiesto quali sono le strategie che il Governo intende perseguire allo scopo.

In aula, a Monte Citorio, il Governo Conte 2 è intervenuto per bocca del ministro per i Rapporti con il Parlamento Federico D’Incà, che lo ha fatto sulla base degli elementi fornitigli dal Ministero degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale, ricostruendo sostanzialmente la vicenda dei quattro pescherecci italiani sequestrati dalle unità di Haftar nella notte tra l’1 e il 2 settembre, indicando queste ultime come «autoproclamate Autorità», con due di essi, l’Antartide e il Medinea, coattivamente fatti approdare nel porto di Bengasi, dove sono state poi trattenute insieme ai loro equipaggi, formati sia da italiani che da persone di cittadinanza straniera, mentre alle altre imbarcazioni è stato concesso di fare rientro in Italia, ma i loro comandanti sono stati trattenuti in Libia.

Il giorno 8 settembre gli otto cittadini italiani fatti prigionieri sono stati quindi trasferiti in un centro di detenzione della polizia e lì trattenuti in stato di fermo.

«Pur in assenza di capi d’imputazione formali – ha riferito il ministro -, l’intervento libico appare collegato a una presunta violazione della zona di pesca protetta in un’area di mare estesa fino a settantaquattro miglia di distanza dalla costa, proclamata dalla Libia nel 2005».

Il 29 settembre le Autorità di Bengasi «avrebbero dichiarato il passaggio del caso alla Procura militare», questo alla luce del fatto che il tratto di mare nel quale è avvenuto il sequestro sarebbe considerata zona militare.

«Le indiscrezioni di stampa su presunte richieste di scambio dei marittimi con quattro cittadini libici condannati con sentenza definitiva in Italia – ha proseguito D’Incà -, restano a oggi, né confermate e né in alcun modo formalizzate», aggiungendo che «per il Governo, in tutte le sue articolazioni, il ritorno in Patria dei nostri connazionali costituisce un’assoluta priorità».

In settembre i familiari dei marittimi di Mazara del Vallo prigionieri in Libia sono stati ricevuti dal ministro degli Esteri Di Maio e dal Presidente del Consiglio Conte, mentre – ha affermato sempre il ministro per i Rapporti con il Parlamento – la Farnesina ha da subito avviato contatti con le Autorità della Libia orientale «allo scopo di verificare le condizioni dei connazionali e sollecitare la soluzione della vicenda».

Attraverso il Console onorario d’Italia a Tobruk «vengono costantemente acquisite informazioni sullo stato dei connazionali, fin dall’inizio in buone condizioni e trattati correttamente».

Questo, secondo il Governo italiano verrebbe confermato dalla telefonata intercorsa il giorno 16 settembre tra il comandante del peschereccio Medinea e l’armatore dell’imbarcazione, comunicazione avvenuta alla presenza della famiglia del marittimo, inoltre, l’Ambasciata italiana a Tripoli ha facilitato la messa a disposizione dei medicinali.

«A livello internazionale – ha poi aggiunto D’Incà – il ministro Di Maio ha avuto colloqui telefonici con diversi interlocutori, tra i quali il ministro degli Esteri degli Emirati Arabi Uniti e Russia, per esortarli a esercitare la loro influenza su Bengasi e facilitare il rilascio dei pescatori italiani».

L’Ambasciatore italiano a Tripoli ha invece parlato con il Presidente della Camera dei Rappresentanti Saleh e con quello della Commissione Esteri.

«Queste iniziative della Farnesina – ha concluso il ministro – si inseriscono in uno sforzo corale delle Istituzioni e l’impegno del Governo è massimo e caratterizzato, come d’obbligo in questi casi, da un basso profilo mediatico».

Un’azione «capillare e sottotraccia» con tutti coloro i quali possono svolgere un ruolo nella soluzione della delicata vicenda.

La replica finale della parlamentare forzista Matilde Siracusano si è quindi caratterizzata per il tono critico, poiché ella ha affermato «l’irrilevanza dell’Italia in politica estera» e gli «effetti inesistenti» della mediazione cercata con emiratini e russi, aggiungendo che «il ministro degli Esteri Di Maio aveva dichiarato di aver convocato un vertice di governo sulla questione, che poi non c’è stato».

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