La standardizzazione, l’interoperabilità e la mobilità caratterizzano gli strumenti impiegati dei Paesi membri della NATO nel quadro dello sforzo teso ad approntare un sistema difensivo credibile in un ambiente strategico come quello del 2020, che è in rapido mutamento e deterioramento.
Il possibile quadro futuro. Queste tre “capacità” saranno al centro della strategia che definirà le possibilità della NATO di impegnarsi in operazioni attuali e future.
Per raggiungere questo obiettivo gli alleati dovranno innanzitutto separare gli interessi politici da quelli strutturali, poiché in caso contrario si potrebbe pervenire a una non corretta valutazione di ciò che la NATO dovrà ricevere dai suoi membri nel decennio a venire.
Questo significa spostare il dibattito oltre la vecchia questione «se gli alleati spenderanno il 2% del loro prodotto interno lordo per la difesa entro il 2024».
Una parte di questo budget dovrebbe essere impiegato per nuove attrezzature, nonostante le problematiche connesse all’epidemia di Covid-19.
In questo quadro il dibattito deve concentrarsi sul migliore impiego delle risorse collettive nel perseguimento della futura architettura di difesa e, soprattutto, deterrenza della NATO.
In questo caso, è responsabilità dell’Alleanza atlantica offrire ai suoi leader politici e ai suoi cittadini una visione chiara di tale architettura, in modo che tutti comprendano bene che cosa finanziamo con le tasse che pagano.
La NATO, per gli esperti che ne conoscono i meccanismi e la storia, ha bisogno di un nuovo concetto strategico per una nuova architettura strategica.
Una strategia da riscrivere. È dunque necessario riscriverne la strategia in modo più chiaro, prevedendo al contempo una maggiore standardizzazione, interoperabilità e mobilità, caratteristiche guidate dall’imprescindibile innovazione.
Un nuovo atteggiamento strategico che affermi inequivocabilmente che, nonostante gli effetti della pandemia, gli europei non soltanto si stanno muovendo per fare di più per la propria Difesa, ma che vi è una determinazione per costruire una nuova struttura digitalizzata nel quadro di una nuova architettura operativa integrata alleata.
Sarà dunque vitale per la democrazia che venga compreso pienamente che Difesa e deterrenza non possono essere separate dalla pace globale, per la quale gli Usa, “potenti” e “forti”, permangono essenziali.
Per questa ragione i Paesi europei membri della NATO dovranno capire e riconoscere l’urgente necessità di diminuire le pressioni sulle forze statunitensi costruendo la prima futura forza europea di qualità.
I Balcani. Anche quest’anno, come avviene ormai dal 2014, la NATO Defence College Foundation ha riunito a Roma esperti e studiosi dell’Alleanza atlantica e dei Balcani. Sotto la guida del suo presidente, l’ambasciatore (ministro plenipotenziario) Alessandro Minuto Rizzo, è stato stabilito che questa parte d’Europa merita un’attenzione speciale e maggiore visibilità.
Nell’aprire il convegno, egli ha affermato che «non c’è dubbio che i Balcani occidentali debbano entrare a far parte sia delle istituzioni europee che euro-atlantiche, perché ai nostri occhi è un destino naturale».
È una regione dove per anni la NATO e l’Unione europea hanno collaborato a beneficio di tutti, ed è la prova che la cooperazione concreta tra le due organizzazioni può essere un moltiplicatore di stabilità e sicurezza.
Con la sua visione europea, Maciej Popowski – Direttore generale incaricato, Direzione generale della politica di vicinato e dei negoziati di allargamento, Commissione europea, Unione europea, Bruxelles – ha inteso evidenziare che:
«La sicurezza nei e dei Balcani continua a essere una priorità per l’Unione europea. Nel tempo ci siamo concentrati su criminalità organizzata, migrazione e corruzione e ora, parallelamente alla diffusione della pandemia, si sono aggiunte nuove sfide come la disinformazione e le minacce ibride. Siamo e continueremo a essere impegnati nel supportare lo sviluppo economico dei Balcani occidentali e la Commissione presenterà presto un piano d’investimenti per la regione. Inoltre, nel 2020 abbiamo iniziato a rinnovare e rinvigorire il processo di adesione dei paesi dell’area, adottando un nuovo metodo e un nuovo scopo: rendere i negoziati di allargamento più credibili, dinamici e prevedibili».
KFOR, Italia. L’Italia svolge da anni un ruolo chiave nei Balcani, mantenendo il comando delle Kosovo Force (KFOR) a Pristina.
Negli anni, partner internazionali come Onu, Osce e Ue hanno ridotto la propria presenza in Cossovo, affidando molte delle loro competenze alle istituzioni del paese.
KFOR, pur registrando una contrazione del proprio dispositivo militare – che al momento conta circa 3.500 uomini provenienti da ventisei paesi, dei quali diciotto appartenenti alla NATO -, ha mantenuto comunque intatto il suo ruolo di unica forza di sicurezza unanimemente riconosciuta nell’area.
Questo grazie al fatto che attualmente assicura sicurezza e libertà di movimento lavorando in stretta collaborazione con la polizia e le forze di sicurezza locali.
Nel corso della conferenza di Roma, il generale dell’Esercito italiano Michele Risi, che della KFOR è il comandante, ha ricordato che: «La missione di KFOR oggi è quella di tutelare la sicurezza del paese in quanto terzo attore di risposta, facilitando così la normalizzazione dei rapporti tra Serbia e Cossovo. Stiamo facendo del nostro meglio per fare dei passi avanti e garantire che quello del Kosovo non diventi un “conflitto congelato”, ma il rischio che lo sia resta immutato».
Proprio per quanto precede, il chairman della NATO, lo scorso 18 settembre, in apertura della riunione dei capi di stato maggiore della Difesa dei paesi alleati, aveva indicato che «il ruolo dell’Alleanza atlantica nei Balcani è tuttora rilevante e che non si prevede di tagliare la missione».
Sviluppo e integrazione. Questa centralità italiana, dimostrata dalla volontà nazionale di mantenere per anni il comando della missione in Cossovo è stata ripresa dal Presidente della Commissione Affari esteri e comunitari della Camera dei Deputati, Piero Fassino, che in conclusione dei lavori ha ricordato che «l’Italia deve riconoscere i Balcani, i Balcani Occidentali in particolare, come un’area di grande interesse strategico da sviluppare, tanto attraverso relazioni bilaterali, quanto attraverso la promozione e il supporto del loro percorso d’integrazione nelle organizzazioni internazionali di cui il Paese è membro».
Un impegno simile richiederà, tuttavia, che l’Italia faccia un salto di qualità e strutturi meglio la sua presenza nell’area con un costante sforzo politico e diplomatico.
Roma non ha né mire egemoniche e neppure nemici nei Balcani. Siamo tra i primi partner economici dei Paesi di quella regione e i nostri militari continuano a contribuire al mantenimento della pace e della stabilità nella regione.
Occorre inoltre che l’Italia rafforzi gli strumenti e le organizzazioni che permettono la sua proiezione economica nell’area, puntando ad approfondire l’integrazione del mercato italiano con quello balcanico, poiché non vi sarà piena sicurezza in Europa finché l’integrazione dei Balcani non verrà completata.
Essere prede o combattenti? In definitiva, una maggiore standardizzazione, interoperabilità e mobilità non potranno che rivelarsi fondamentali per il futuro strategico e la sicurezza nella visione transatlantica.
Gli Stati Uniti d’America, senza dubbio e qualsiasi sarà l’esito delle elezioni presidenziali del prossimo novembre, continueranno a garantire la difesa europea, tuttavia dovranno ricevere in cambio dagli europei non solo un maggiore impegno nello specifico settore, ma anche un aiuto in relazione alle proprie scelte politiche, «che guardino quindi a Occidente e non a Oriente».
Nel prossimo decennio il progresso tecnologico-militare imporrà alle grandi democrazie – che sono una parte fondamentale della NATO, fatta esclusione per ora della Turchia -, la più importante e grave delle scelte da assumere, cioè se essere prede oppure combattenti.
L’Italia, per quanto nelle sue possibilità, dovrebbe mantenere un ruolo d’indirizzo nel Mediterraneo, sfruttando anche la stima che le sue Forze armate si sono guadagnate nei Balcani e soprattutto non guardare troppo benevolmente a Oriente.