VATICANO, Cina Popolare. Accordo Santa Sede-Pechino sulle nomine dei vescovi, Parolin: «È pastorale, non persegue obiettivi politici o diplomatici»

Il segretario di Stato si è espresso al riguardo nel corso parla del convegno per il 150 anni della missione del Pontificio Istituto Missioni Estere in Cina. All’indomani del duro scontro con la Casa Bianca egli ha inteso difendere l’accordo, affermando che «guarda al futuro»

Il segretario di Stato vaticano, cardinale Pietro Parolin, lo ha voluto spiegare con precisione.

Intervenendo al convegno per il 150 anni della missione del Pontificio Istituto Missioni Estere in Cina, proprio all’indomani del duro scontro con la Casa Bianca culminato con il rifiuto del pontefice di concedere udienza a Mike Pompeo, egli ha infatti dichiarato che: «L’accordo tra Cina e la Santa Sede sulla nomina dei vescovi è un accordo “pastorale”, che non ha né risvolti politici né diplomatici, ed è stato siglato nella consapevolezza che ci sono “molti altri problemi riguardanti la Chiesa Cattolica in Cina, tuttavia non è stato possibile affrontarli tutti insieme».

L’interpretazione autentica. Parolin si espresso pubblicamente al Pontificio Istituto di Missioni Estere di Milano, in occasione di un convegno che ne celebrava i centocinquanta anni di presenza in Cina.

In un’articolata prolusione il prelato ha inquadrato l’accordo del 22 settembre 2018 nei suoi termini essenziali, un passo in avanti su una via lastricata da relazioni difficili e altalenanti. Non ha mancato poi di sottolineare che sono stati anche commessi errori, tuttavia, ricordando che già Pio XII puntò a un accordo dopo che si era affermato il comunismo in quel paese, ha sottolineato che Benedetto XVI approvò lo schema dell’accordo poi effettivamente siglato da papa Francesco.

«Le ragioni dell’accordo, ha quindi spiegato Parolin, sono duplici: quello di permettere alla Chiesa di contribuire allo sviluppo integrale della persona e della società, ma anche di “consolidare un orizzonte internazionale di pace».

Un accordo che guarda al futuro, insomma, secondo una linea «che da Benedetto XVI porta a papa Francesco. Una linea rivolta più al futuro che al presente, più alla Chiesa che deve crescere in Cina che ai contenziosi di ieri ed oggi».

La necessaria prolusione. Nella sua prolusione, il cardinale segretario di Stato ha inteso inoltre sottolineare che «il dialogo tra Cina e Santa Sede ha radici antiche, che affondano addirittura al gesuita Matteo Ricci, il quale, come aveva anche spiegato il pontefice, era entrato con i suoi compagni prima nella cultura locale e poi hanno cominciato l’evangelizzazione, secondo una modalità di evangelizzazione che fu portato avanti anche da Roberto De Nobili in India. Il Papa si domandava: dato che sono tutti italiani, gli italiani sanno universalizzare?»

Parolin è partito per sottolineare che «il cammino del dialogo con la Cina del PIME è stato principalmente italiano, tanto che i primi missionari, arrivati nel 1870 nella provincia di Henan, notarono l’ostilità delle classi sociali, che vedevano il loro lavoro come imposizione delle potenze europee, e ci furono anche iniziative per cacciare i missionari e impedire le conversioni per motivi non religiosi, ma di avversità verso lo straniero».

I missionari cattolici in Cina. «I missionari del PIME – ha proseguito Parolin -segnalarono la necessità di fare un sinodo della Chiesa di Cina e mandare un legato pontificio per stabilire rapporti con Pechino, anticipando in qualche modo la linea inaugurata da Benedetto XV con la Maximum Illud e lavorarono sia nelle classi popolari, ma anche nelle classi più alte, fino a potersi stabilire nella capitale Kaifeng, che monsignor Giuseppe Tacconi, vicario dell’Henan orientale, fece poi diventare la sede di una nuova prefettura apostolica, perché “la fede è sempre stata propagata dalle capitali».

Monsignor Tacconi fece anche di più, arrivando a proporsi come paciere tra i militari del Wuchang contro il governo di Pechino, i quali firmarono un accordo di pace nella cittadella cristiana di Kinkiang.

La lettera apostolica Maximum Illud di Benedetto XV ha poi impresso una svolta al dialogo. Benedetto XV aveva scritto la lettera apostolica pensando proprio alla situazione cinese. L’invio di Celso Costantini in Cina, che portò avanti i dettami di quella lettera apostolica, portò a realizzare nel 1924 il primo Sinodo Cinese.

«E anche il PIME mutò prospettiva: padre Paolo Manna, superiore generale del PIME, compì un lungo viaggio nelle missioni orientali tra il 1927 e il 1929, e scrisse le Osservazioni sul metodo moderno di evangelizzazione».

Le missioni in Cina dopo il 1949. «Pio XII – ha ricordato Parolin – “chiese ai missionari di rimanere al loro posto anche a prezzo di grandi sacrifici”, ma quando l’1 luglio 1949 scomunicò i comunisti – decisione “legata ai processi ai vescovi cattolici delle Chiese orientali” – la Chiesa cattolica in Cina divenne più vulnerabile e viene accusata di cominciare una crociata anticomunista».

Vengono così espulsi i missionari straniera, «e la domanda era – ricorda il cardinale segretario di Stato – se “la Chiesa cattolica sarebbe scomparsa dalla Cina”, in quanto “molti erano convinti che le Chiese cristiane non sarebbero vissute con l’allontanamento dei missionari e con i soli convertiti, e che i cattolici cinesi sarebbero diventati meno cristiani».

Il principio delle «Tre Autonomie». I cattolici, d’altro canto, erano pressati ad accettare il principio delle Tre Autonomie (autogoverno, autofinanziamento e autopropaganda). Il vescovo Pollio designa Stefano He Chun Ming, come successore, che era il primo prete cinese ordinato a Kaifeng. E Chung Ming «aderì inizialmente al Movimento delle Tre Autonomie, ma poi ritrattò con una dichiarazione pubblica. Il suo obiettivo era di cercare “vie di collaborazione che non provocassero né scismi né apostasie, portando avanti la linea di non rompere con nessuno».

D’altra parte, «la maggioranza dei cattolici cinesi rifiutò il principio delle Tre Autonomie, fatto che condusse a un cambiamento della politica verso di loro, pressati dalla nozione che il patriottismo è un dovere di ogni cattolico».

Egli ha comunque rimarcato che «a seguito della partenza degli ultimi missionari dalla Cina nel 1954 non nacque in Cina una “Chiesa del silenzio”, perché non è una Chiesa del silenzio quella che tanti ostacoli annuncia il Vangelo. Sono state perse molte battaglie difficili, ma anche battaglie che si sarebbero vinte con più buona volontà, ma è stata vinta la battaglia più importante: Fidem Servare».

E una di queste battaglie forse è l’Accordo tra Chiesa e Pechino già ai tempi di Pio XII. Racconta Parolin.

«Il 17 gennaio 1951, le autorità cinesi invitarono cattolici e alcuni ministri ad un incontro, cui partecipò anche il ministro degli Esteri Chuen Lai, il quale disse che i cattolici dovevano assicurare piena lealtà patriottica al Paese pur seguendo del Papa. Si cominciò allora a stendere un documento che potesse trovare una quadra del cerchio. Dal tempo di Pio XII la Santa Sede avvertì l’esigenza del dialogo, anche se le circostanza di allora lo rendevano difficile».

Si fecero quattro stesure dell’accordo, ma nessuna fu soddisfacente e al fallimento dell’accordo contribuirono oltre alle tensioni internazionali, anche le incomprensioni tra le due parti e la sfiducia reciproca ed ha segnato tutta la storia successiva. Si sono dovuti aspettare molti anni.

Benedetto XVI  e la Cina. Il cardinale Parolin ha quindi messo in luce che Benedetto XVI già nella lettera ai cinesi del 2007 auspicò l’apertura di uno spazio di dialogo con la Repubblica Popolare Cinese e approvò il progetto di accordo che sarebbe poi stato firmato nel 2018.

«Molti malintesi – ha lamentato il segretario di Stato vaticano – sorgono dall’attribuzione all’Accordo di obiettivi che tale accordo non ha oppure alla riconduzione ad eventi della Chiesa in Cina che sono estranei o a collegamenti con questioni politiche che non hanno a che fare con l’accordo».

«Si tratta – ha egli specificato – di un accordo che «concerne esclusivamente la nomina dei vescovi, questione che ha fatto più soffrire i cattolici in Cina per sessanta anni. Oggi tutti i vescovi in Cina sono in comunione con il vescovo di Roma, papa Francesco ha accolto gli ultimi vescovi illegittimi non ancora riconosciuti».

Dialogo, missioni e vescovi. Parolin ha notato anche che la linea del dialogo e della non comunione con il papa era dovuta a vescovi «formati dai missionari, che conoscevano la loro missione e la loro fede», come nel caso dell’ordinario di Kaifeng, ma «nella maggioranza dei casi i missionari non si sono sbagliati a riporre fiducia, tanto che molti di loro hanno chiesto il perdono del Papa. Ciò mostra che al fondo il loro cuore non era mutato e la loro fede non era venuta meno».

L’accordo deriva dalla necessità di «risolvere il problema» delle ordinazioni illegittime, e «l’esperienza di decenni induce a comprendere che serve un accordo, che però ha un obiettivo ecclesiale e pastorale, per scongiurare l’eventualità di altre ordinazioni illegittime».

«Certo, il percorso è lungo – ha ammesso Parolin –, ma poiché il dialogo possa dare frutti consistenti è necessario di continuarlo e si spera sia rinnovato ad experimentum».

«Intanto  – ha dunque concluso il segretario di Stato vaticano -, ci sono stati segni di avvicinamento tra i cattolici cinesi su questioni su cui per molto tempo sono stati divisi. A loro il papa affida in modo particolare l’impegno di vivere un autentico spirito di riconciliazione tra fratelli, ponendo gesti concreti che aiutino a superare le incomprensioni del passato. I cattolici in Cina potranno testimoniare la propria fede, per aprirsi alla promozione della pace».

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