MATERIE PRIME, terre rare. Metalli e magneti, la nuova frontiera dello scontro globale

Al netto delle conseguenze ambientali ancora non del tutto chiare, oggi è in atto uno spasmodico confronto che quale posta l'autonomia strategica nella catena del valore delle terre rare e delle risorse minerarie. I grandi attori sono noti, si tratta di Stati Uniti e Repubblica Popolare cinese, ma accanto a loro si muove anche la Commissione europea, che si è espressa per bocca del commissario Thierry Breton

Nel medesimo giorno nel quale il presidente degli Stati Uniti d’America Donald Trump firmava un ordine esecutivo per  l’incremento della produzione nazionale di terre rare, l’Unione europea lanciava un’alleanza comunitaria per le materie prime, analogo passo nella ricerca di una propria autonomia strategica nell’approvvigionamento di questo genere di materie prime, divenute di fondamentale importanza di pari passo all’affermarsi delle nuove forme di alimentazione dei propulsori degli autoveicoli e degli impianti di elettro generazione mediante pale eoliche.

Il Defense Production Act di Trump. Dalla Casa Bianca è stata dichiarata l’emergenza nazionale nel settore minerario e, attraverso il Defense Production Act, è stato approntato lo strumento di natura giuridica che consentirà alle imprese americane del settore di accelerare lo sviluppo delle miniere e dello sfruttamento delle risorse presenti nel sottosuolo e nei fondali marini.

Oltre agli americani ci sono poi i cinesi, dei quali risulta oltremodo noto quanto e come siano attivi – in particolare in Africa ma non soltanto lì – nella ricerca del controllo di siti estrattivi che possano soddisfare, almeno in parte, il loro fabbisogno attuale e futuro di tali materie prime.

Ovviamente, tutti i paesi sviluppati che realizzano prodotti basati su materiali del genere partecipano a questa competizione senza esclusione di colpi, europei inclusi.

L’Unione europea. Riconoscendo i limiti delle risorse proprie, il commissario dell’Unione europea Thierry Breton si è recentemente espresso nel senso di una necessaria forma di autonomia in questo campo.

«Il primo obiettivo dovrà essere quello di pervenire a un’autonomia strategica nella catena del valore delle terre rare e dei magneti».

In effetti, a livello globale, quello del ritorno all’interno delle cosiddette catene del valore all’interno delle varie macro aree economiche e produttive regionali costituisce ormai un effetto evidente delle conseguenze della pandemia di coronavirus in atto.

Tuttavia, da Bruxelles si è voluto sottolineare l’intenzione di «creare partenariati con paesi terzi, addivenendo a una migliore integrazione di quelli africani nelle catene del valore europee».

Africa: Angola, Longonjo. Una dei gruppi industriali del settore minerario, Pensana Rare Earth, sta sviluppando assieme ai suoi partner locali il suo progetto di sfruttamento del sito estrattivo angolano di Longonjo, che – secondo gli artefici  -costituisce uno dei maggiori giacimenti di metalli magnetici al mondo a essere messo in produzione nel corso di quest’ultimo decennio.

Una potenziale fonte di risorse – si afferma sempre negli uffici di Pensana – che potrebbe rifornire nel  prossimo futuro il mercato di materiali destinati all’industria degli accumulatori in batteria per auto elettriche e di quelle di pale eoliche, queste ultime necessarie alla transizione «green» in quanto componenti essenziali degli apparati eolici per l’elettro generazione.

Un passaggio, quello delle dichiarazioni del Commissario Breton, che non è sfuggito a Paul Atherley, che di Pensana è il presidente.

Infatti, il suo commento è stato che: «Sia gli Usa che l’Unione europea sono oggi preoccupati per la provenienza e la sostenibilità della catena di fornitura di metalli magnetici delle terre rare, ma – ha egli aggiunto -, con il sostegno finanziario del fondo sovrano dell’Angola e di investitori a livello mondiale, ci troviamo in una posizione di forza che ci consente di portare a sfruttamento Longonjo, rendendolo uno dei fornitori maggiori al mondo in questo campo».

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