Alla luce dei risultati emersi dalle consultazioni per il rinnovo del Consiglio regionale e della Presidenza della Regione veneta è possibile affermare senza ombra di dubbio che la lista del Presidente uscente, Luca Zaia, ha surclassato quella del suo stesso partito di appartenenza, la Lega per Salvini, presente anch’essa sulle schede elettorali.
Il Caterpillar di Conegliano. Cosa può significare un trionfo del genere a livello locale qualora (inevitabilmente) proiettato sul piano nazionale? E inoltre, come stanno mutando sottotraccia gli equilibri di vertice di un partito che per volontà del suo segretario in carica ha repentinamente abbandonato le vecchie bandiere padane del federalismo e della secessione per reindirizzare la linea politica verso i lidi del più intransigente sovranismo?
Al riguardo nella Lega tutti minimizzano, lo stesso Governatore veneto ha inteso sottolineare pubblicamente e con chiarezza di «non avere competitor interni alla coalizione» e di volersi «concentrare sul Veneto per i prossimi cinque anni», affermazioni necessarie, poiché si deve gettare acqua sul fuoco evitando sul nascere l’esplorazione di ipotesi incresciose, come quella che vedrebbero una futura rimozione di Salvini dalla segreteria di Via Bellerio per fare posto ad altri.
Il declino del «Capitano». Negli ambienti leghisti (e non solo in quelli) si afferma sempre meno sottovoce che il segretario «è bollito» e che i tempi della grande ripresa in termini di consensi del partito, della quale Salvini fu artefice dopo il disastroso crepuscolo del suo fondatore Umberto Bossi, sono ormai finiti.
Probabilmente è presto per defenestrare quello che ha condotto in poco tempo la tartassata e vacillante Lega Nord alle percentuali di oggi, cifre che seppure intaccate dagli azzardi iniziati al “Papete Beach” permangono pur sempre di tutto rispetto.
Tuttavia il malcontento cova sempre di più sotto la cenere, accompagnando così la lenta ma inesorabile fase di declino di Matteo Salvini, che nel breve spettro di un anno si è praticamente giocate tutte le proprie chance, passando dalla pretesa sulla leadership sullo schieramento di centro-destra alla disperata difesa della leadership interna alla Lega.
Fino all’insuccesso di ieri, rappresentato dall’inadeguatezza manifestata dal suo partito a “sfondare” nelle roccaforti rosse, dove sono stati infatti eletti i candidati del centro-sinistra.
Una fase di mutamenti. Però, andrebbe data una risposta ad alcuni non indifferenti interrogativi relativi al prossimo futuro. Intanto quello se nel nuovo quadro generale la Conferenza Stato-Regioni assumerà le sostanziali funzioni di una “terza Camera” del Parlamento. Inoltre, se l’attuale riconfermato Presidente della Regione veneta vorrà o sarà davvero in grado di spingere la sua regione e il Paese verso forme di autonomia spinta, visto che alcuni ne dubitano.
Tuttavia, Zaia potrebbe risultare egualmente molto importante, proponendosi nel ruolo della persona giusta al momento giusto, quella cioè capace di unire in un progetto di più ampio respiro le componenti maggiormente presentabili e riformiste del suo partito, una volta che questo sia stato depurato dalle intossicazioni sovraniste e razziste di questa segreteria.
Attenzione! Non si tratterebbe soltanto di lavorare sull’immagine, di stendere una mano di vernice fresca col pennello su una superficie ormai arrugginita, ma di un ritorno al classico pragmatismo che fu proprio della Lega Nord, ai tempi di Bossi un po’ furbetto, ma oggi potenzialmente incarnabile nel realismo e nella concretezza di un uomo – l’attuale Governatore veneto – che in momenti estremamente difficili ha saputo esprimere una sufficiente dose di managerialità.
Armoniosi sensi: l’establishment e il doge 2.0. È quello che si sussurra già da tempo in certi ambienti economici e confindustriali almeno dalla drammatica fase dell’acuzie dei contagi di coronavirus in Italia della primavera scorsa.
Infatti, da laggiù si guarda con favore e informalità a un possibile futuro tandem costituito dal veneto Zaia e dal lombardo Giancarlo Giorgetti, una delle eminenze grigie della Lega fin dai tempi del senatur.
Convinzioni maturate nel corso dell’emergenza coronavirus, dove ha dimostrato determinazione, efficienza oltreché ottime doti di comunicatore.
«Zaia è un vero leader – si afferma nei citati ambienti economici -, è uno che potrebbe ambire a incarichi ben superiori».
Nella vicenda Covid-19 ha senza dubbio dimostrato di essere un Commander in Chief all’altezza di una prova difficile, capacità che viene da essi ricondotta alla sua formazione manageriale antecedente il passaggio alla politica.
Insomma, uno abituato a prendere decisioni in prima persona assumendosene oneri e rischi, aspetto che lo portato, assieme ai suoi collaboratori, a decidere in tempi rapidi.
Quando un bimbo ha paura ha bisogno di venire rincuorato dalla figura paterna, lo stesso vale per la gente: nel pieno di un’emergenza l’opinione pubblica non vuole confusione perché ha bisogno di affidarsi a qualcuno che prenda velocemente delle decisioni che portino alla soluzione o alla riduzione del danno provocato dal problema. Ed è quello che è accaduto nelle drammatiche settimane del coronavirus con Zaia, Bonaccini (due governatori che non si sono comportati da lenti burocrati) e con Conte.
I detrattori. «I Veneti sono pessimi elettori – sono convinte le sacche di Serenissimi -, si sono fatti convincere da uno come Zaia, che è un grandissimo comunicatore che si è fatto le ossa quando era pierre per le discoteche. Ma Zaia non darà loro quello che essi si aspettano da lui. A cominciare dall’autonomia, che non arriverà o, comunque, se dovesse arrivare sarà molto annacquata. Paradossalmente oggi l’autonomia del Veneto è molto più lontana».
Infatti, Salvini non concederà mai lo spazio politico alla sua spina nel fianco consentendole di portare la regione all’autonomia. Ma resta il fatto che per i veneti la Lega è Zaia, punto.
«Salvini ha paura dell’ottenimento dell’autonomia da parte del Veneto – aggiungono -, perché questo significherebbe la sua fine politica, dato che egli non è capace di raggiungere un risultato del genere».
Da questi settori della politica veneta si prevede anche una fine anticipata della consiliatura, poiché «Zaia prima o poi lascerà l’incarico e Venezia per assumere nuovamente un incarico a Roma».
Prospettive di scenario. Giorgetti calzerebbe come eventuale sostituto di Salvini alla segreteria, tuttavia non ha lo spirito del leader, egli «è bravissimo a sistemare le cose per nome e per conto del suo datore di lavoro, ma resta pur sempre nei propri limiti di eccezionale gregario», questo a differenza di uno come Zaia, uno che da leader nazionale sarebbe invece in grado di assumere la guida di uno schieramento di centro-destra apportando un 5-6% in più. Forse un male minore per il Paese – concludono i riservati personaggi del mondo economico lombardo e nazionale interpellati a suo tempo da insidertrend.it -, una «destra che sarebbe però in grado di stare al mondo».
Il potente governatore della Regione veneta appena riconfermato nell’incarico continua a replicare che è «anacronistico» paragonare la Lega alla vecchia Democrazia cristiana, perché «noi siamo più labour, perché da noi non decide la politica, ma il popolo sceglie per il popolo».
E va bene, poiché come afferma lui stesso: «Finché si mantiene l’identità si mantiene anche il consenso, altrimenti lo si perde». Ci sta tutto, anche la retorica, tuttavia, a questo punto non è consentito esimersi dal lanciare uno sguardo al prossimo futuro, diciamo sul breve-medio termine.
Un leader utile. Or dunque, posto che l’attuale esecutivo in carica, il Governo Conte 2, non veda la coalizione politica che lo sostiene andare in pezzi prima della scadenza naturale del suo mandato (magari a causa del MES o dei cosiddetti “decreti sicurezza”), va in ogni caso rilevato il fatto che, anche qualora le migliori menti e i migliori pianificatori al momento disponibili si applicassero totalmente alla elaborazione di un piano di riforme e di rilancio economico del Paese, gli effetti di quest’ultimo si inizierebbero a percepire più avanti nel tempo, oltre il 2023, con conseguenti effetti sulle decisioni nelle urne dell’elettorato italiano.
Ebbene, allora sarà necessario fare ricorso a quelle forze in grado di disporre di linee di credito aperte con tutti i referenti del momento, siano essi l’opinione pubblica interna, la Commissione europea o i vari stake holders.
Sarà forse allora che un diverso centro-destra depurato delle sue componenti più ideologizzate ed estremiste sarà costretto a parlare anche a interlocutori molto diversi da sé, ricorrendo magari a uno come Luca Zaia.