L’agenzia di rating Moody’s ha ridotto il suo giudizio sulla Turchia, una pronuncia che a causa della sensibile perdita di valore della valuta locale può rendere insostenibile il deficit con l’estero del Paese, anche perché indebitato fortemente in dollari, e in ottobre dovrà fare fronte ai pagamenti in scadenza con i relativi pesanti interessi, mentre ammontano a 170 miliardi le scadenze nei prossimi dodici mesi.
Una dinamica perversa che sta erodendo le riserve in valuta pregiata di Ankara, denaro con il quale è costretta a risarcire le proprie esposizioni debitorie con l’estero.
Tutto a fronte di una oscillazione negativa della bilancia dei pagamenti e del ridotto risparmio privato, questo a fronte dell’arresto di investimenti esteri.
Venerdì scorso l’agenzia di rating Moody’s aveva ridotto da B1 a B2 il livello di affidabilità turco, motivando il downgrade con il possibile peggioramento «più velocemente del previsto» dei parametri finanziari, in uno scenario dove «le vulnerabilità esterne della Turchia si stanno cristallizzando sempre più verosimilmente in una crisi della bilancia dei pagamenti».
Ma, se è vero che la Banca centrale turca starebbe utilizzando valuta prelevata dai depositi delle singole banche private del Paese per onorare il debito, impegnandosi formalmente alla restituzione delle somme, questo potrebbe rappresentare un indice della sua carenza di riserve proprie.
Ciò risulta anche dalla valutazione espressa da Moody’s, che afferma Il livello delle riserve di valuta estera della Turchia espresso in termini di percentuali del Pil sono al livello più basso da decenni, un fattore di debolezza, poiché così lo Stato turco non sarà in grado di ripagare i debiti precedentemente contratti con l’estero in valuta estera, incrementando conseguentemente la vulnerabilità del Paese alle speculazioni dei mercati.
In Turchia la crisi economica ha subito un peggioramento a causa della pandemia di Covid-19, tuttavia l’escalation interventista militare nella regione voluta dal gruppo di potere stretto attorno al presidente Recep Tayyip Erdoğan, unitamente alla stretta autoritaria interna, non hanno certo contribuito a migliorare le prospettive.
Dall’inizio di quest’anno la lira turca si è deprezzata del 22% rispetto al dollaro, nonostante in marzo la banca centrale avesse acquistato propria moneta per un ammontare di sessantacinque miliardi di dollari allo scopo di stabilizzarla e sostenerne il valore. Ma nell’estate è ripresa la caduta e una ripresa sia locale che mondiale dei contagi di coronavirus aggraverebbe di molto la situazione.