Grazie al coraggio di Asia Bibi si riaccendono i riflettori sul drammatico fenomeno delle cosiddette «spose bambine», lo afferma sul suo ultimo articolo pubblicato sul quotidiano Online di area cattolica “In Terris” dal giornalista Marco Guerra.
Il suo articolo così prosegue: la donna pakistana libera dopo dieci anni trascorsi in carcere a causa delle false accuse di blasfemia, costatele anche una condanna a morte in primo grado nel 2010, nel corso di una toccante video intervista resa alla fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che soffre (ACS), ha rivolto un appello a Imran Khan, primo ministro del Pakistan.
Asia Bibi – fa sapere Guerra – simbolo della sofferenza causata dalla persecuzione anticristiana nel mondo, è stata raggiunta in videochiamata nella sua attuale residenza canadese dal direttore di ACS Italia Alessandro Monteduro.
Ella, madre di cinque figli, che è rimasta salda nella fede malgrado dieci anni di prigione e di vessazioni, «ha posto l’accento sul dramma delle tante minorenni pakistane rapite, convertite e costrette al matrimonio con la forza, che raramente ottengono giustizia».
Nell’articolo tra i tanti nomi se ne fanno due, quelli di Huma Yonus e di Maira Shahbaz, oggetto di una costante campagna di sensibilizzazione della fondazione ACS.
«So che queste ragazze sono perseguitate – ha al riguardo commentato la stessa Asia Bibi – e dunque faccio appello al primo ministro pakistano Imran Khan affinché, per favore, aiuti le nostre ragazze perché nessuna di loro deve soffrire».
La persecuzione delle donne cristiane pakistane è resa possibile anche a causa della legge anti-blasfemia, applicata in modo arbitrario e pretestuoso allo scopo di perseguitare gli appartenenti alle minoranze religiose o le personalità, anche di religione islamica, ritenuti comunque scomode dalle autorità di Islamabad.
Si tratta di una norma del codice penale pakistano che consente di comminare l’ergastolo o la pena capitale a chi si macchi di presunta blasfemia contro i simboli della religione maggioritaria. È il medesimo dettato normativo in forza del quale Asia Bibi dovette subire il carcere dal 2009 fino alla sentenza di assoluzione, che venne emessa dalla Corte suprema del Pakistan nell’ottobre del 2018, grazie anche alle forti pressioni esercitate dalla comunità internazionale sul Pakistan e allo sforzo profuso dalla diplomazia pontificia.
«Al momento della fondazione e della separazione del Pakistan dall’India – ha ricordato nel suo accorato appello la Bibi – il fondatore Ali Jinnah, nel suo discorso di apertura volle garantire la libertà religiosa e di pensiero a tutti i cittadini. Faccio appello al primo ministro specialmente per le vittime della legge sulla blasfemia e per le ragazze convertite con la forza, perché tuteli e protegga le minoranze che sono anch’esse pakistane. Da vittima fornisco il mio esempio: ho molto sofferto e vissuto tante difficoltà, oggi sono libera e spero che questa legge possa essere soggetta a cambiamenti che ne vietino ogni suo abuso».