di Emanuela Locci – Ormai da mesi la Turchia sta vivendo un’escalation del potere del presidente Recep Tayyip Erdoğan e del suo partito, l’Akp, che regge le sorti del Paese da quasi un ventennio.
La girandola di avvenimenti che interessano la Turchia è impressionante: dalla contesa intorno alle fonti energetiche del Mediterraneo orientale, che la vedono contrapposta in particolare alla Grecia, paese con cui Ankara non ha quasi mani avuto buoni rapporti, fino al versante libico.
Si è inasprito negli ultimi giorni anche il confronto con la Francia, che ha dei forti interessi nella zona e intende difenderli e con gli Emirati Arabi Uniti, che in questo frangente, hanno appoggiato immediatamente la Grecia con l’invio di aerei in supporto di quelli ellenici.
L’audace e spregiudicata politica estera turca, e l’accrescimento della sua influenza in paesi geograficamente lontani, come quelli africani, ma strategici, ha messo in allarme molte diplomazie, da quelle europee a quelle del mondo arabo che mal tollerano la presenza turca in numerosi scenari strategici internazionali.
Un caso su tutti è quello della Libia, dove la Turchia ha per il momento scalzato Italia e Francia e, in questo momento, sta svolgendo un ruolo primario per la risoluzione almeno temporanea della guerra civile in corso da anni.
Al quadro internazionale si aggiunge quello interno caratterizzato da un governo che assomiglia sempre più ad una dittatura, con le opposizioni messe a tacere, i diritti umani calpestati, e con gli oppositori incarcerati che non altra alternativa se non quella di portare avanti scioperi della fame ad oltranza e che portano spesso alla morte, nella vana speranza di vedere riconosciuto il diritto ad un giusto ed equo processo.
La popolazione sembra assopita e anestetizzata, soprattutto anche a causa del Covid-19, che ha evidenziato i problemi economici e sociali che in Turchia sono ormai cronici.
Oggi le priorità del cittadino medio turco non sono quelle di combattere le iniquità e le ingiustizie, quanto non perdere il proprio impiego e cercare di superare questo periodo di crisi.
La scena politica è in mano all’Akp, tuttavia già si notano le crepe che potrebbero portare alla sua dissoluzione: il calo dei consensi per il partito, le pressioni esercitate dagli alleati ultranazionalisti e dai tanti gruppi di potere, in particolare quelli religiosi, fanno intravedere un incrinatura del potere del presidente, che rimane la punta di diamante del partito.
Proprio Erdoğan, di fronte al calo del consenso popolare nei confronti della sua formazione politica ha cercato di accrescere il proprio prestigio personale, portando avanti alcune operazioni sia a livello internazionale che interno.
Le prospettive non sono incoraggianti, perché l’impegno della Turchia su più fronti e in vari contesti, con un ruolo non secondario, ha costi molto alti, sia in termini umani che economici.
L’economia è in ginocchio. L’ultima manovra per cercare di salvarla è consistita nel finanziare le imprese con i fondi derivanti dalle pensioni private, un intervento che però non è riuscito a stabilizzare l’inflazione galoppante e neppure ad ancorare il valore della moneta, che è stata svalutata e ha perso gran parte del suo potere d’acquisto.
Per quanto tempo ancora la Turchia potrà sostenere tutto questo?
Il Paese sta rischiando un pericoloso avvitamento su sé stesso, che lo potrebbe condurre a un’implosione politica ed economica.
Tanto ad Ankara, negli ambienti dell’opposizione, che in Europa e nelle capitali estere, è evidente che la situazione è stata determinata dalla dissennata linea politica di una leadership che ha pericolosamente sovraesposto il Paese.
Un rischio che la Turchia potrebbe non essere in grado di reggere. I segnali sono già percepibili e in futuro non troppo lontano potremo sentire parlare di una nuova Turchia, libera da regimi autoritari e da ingiustizie.