Questa mattina Peter Gomez e Antonio Padellaro hanno intervistato il Presidente del Consiglio dei ministri Giuseppe Conte alla Festa del Fatto Quotidiano a Roma. Nel corso della lunga interlocuzione ovviamente è stato trattato anche l’argomento che da alcuni giorni alimenta una rovente polemica politica, quello della proroga dei vertici dei Servizi di informazione e sicurezza.
«Presidente, lei sulla Rai è stato neutrale – ha esordito Padellaro -, ma sui servizi segreti?»
Secca la replica di Conte: «Sui servizi segreti non posso essere neutrale. Io ho la responsabilità dei servizi segreti, ho la responsabilità di scegliere i direttori dei servizi segreti. Io ho la responsabilità politica e giuridica di rispondere dell’operato dei servizi segreti: come posso essere neutrale».
A questo punto Gomez ha chiesto spiegazioni riguardo alla nuova norma regolamentatrice della delicata materia introdotta con il voto di fiducia al decreto “emergenza sanitaria Covid-19”.
«Quando si parla di servizi segreti l’alone di mistero impera e tutti hanno grandissime fantasie e velleità di intrufolarsi, eccetera… allora, del comparto Intelligence per legge risponde il Presidente del Consiglio, a meno che non nomini anche …ma è un ausilio, un’Autorità specifica delegata. Io non l’ho fatto, perché siccome per legge politicamente ne risponderei comunque io, ho ritenuto di prendermi questo dossier in mano, tant’è che parte dell’attività di governo, io ho tantissimi incontri, ma seguo, ovviamente, questo comparto con grandissimo dispendio di energie».
«Detto questo – ha proseguito il capo dell’esecutivo in carica – noi non abbiamo allungato con quella norma a cui si riferisce lei la durata massima del mandato dei direttori. Oggi, la norma previgente prevede che siano nominati per quattro anni tutti i direttori delle tre Agenzie, rinnovabili per una sola volta per ulteriori quattro anni, quindi in totale otto anni. Io non ho detto che arriviamo a dieci anni, ho detto però che quel rinnovo una sola volta crea un problema a me e a quelli che verranno, perché quando uno arriva non conosce bene i direttori con i quali deve lavorare e… attenzione, è un vincolo fiduciario, quindi nessuna neutralità: il Presidente del Consiglio può rimuoverli in qualsiasi momento senza doverne rispondere a nessuno».
Conte ha infine concluso la sua esposizione affermando che: «Essendo io arrivato e non conoscendo, non ho sfruttato la possibilità di nominarli per quattro anni, ma per un periodo di intervallo minore. Quindi il rinnovo per una sola volta può essere penalizzante, soprattutto in un momento di emergenza. In questo momento le nostre Agenzie, lo vorrei ricordare a beneficio di tutti perché tutti possiate apprezzare l’apporto che stanno dando in questa pandemia. Ci hanno aiutato. Vi dico solo un aspetto che non è conosciuto: quando nella fase acuta ci siamo scoperti senza attrezzature mediche per la terapia intensiva, senza dispositivi di protezione, perché in Italia non se ne producevano quasi per niente, abbiamo dovuto rincorrere nel mondo. C’erano dei broker lestofanti. L’unica salvaguardia per cui non siamo incappati in decine e decine di truffe è stato perché ho messo a disposizione l’Intelligence affiancandola ad Arcuri e a Borrelli, alla Protezione civile. Solo per dire cosa hanno fatto in questo periodo. Quindi, in un periodo di pandemia io non vado a modificare il direttore dell’assetto di vertice, all’Aise in particolare. Di qui, allora, la possibilità di disporre di più di un rinnovo, ma sempre nell’ambito massimo di durata. Ne rispondo io. Ho portato la norma in Parlamento ed è stata discussa. Qualche parlamentare, me lo hanno scritto, ha frainteso questa iniziativa legislativa. Ci può stare… frutto per altro, attenzione: di un accordo di maggioranza, però, evidentemente c’è stato un deficit comunicativo interno a qualche forza politica, qualcuno ha frainteso e ha avuto da ridire, poi c’è stata quella iniziativa, alcuni mi hanno scritto di aver firmato senza aver consapevolezza chiara di quello che comportava».
Tutto chiaro dunque? Forse sì, tuttavia sarà utile ripercorrere egualmente in maniera sintetica la vicenda.
Il decreto «emergenza sanitaria». Il 2 settembre scorso la Camera dei Deputati ha votato la fiducia al Governo, approvando così il decreto che proroga fino al prossimo 15 ottobre lo stato di emergenza sanitaria imposto dall’esecutivo a causa dell’epidemia di coronavirus in atto.
All’interno del provvedimento legislativo, del quale è attesa la conferma definitiva al Senato, è stata inserita anche una norma relativa alla durata e alla modalità di proroga degli incarichi dei vertici dei servizi segreti. A essere direttamente interessati dall’atto sono i direttori delle due agenzie di intelligence, Aise e Aisi, oltre a quello del Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza (Dis).
Una decisione, quella di includere una tale norma nel decreto per l’emergenza sanitaria, che ha ingenerato forti malumori, provocando le critiche sia dell’opposizione che di settori della stessa maggioranza, Movimento 5 Stelle incluso.
In particolare, hanno fatto discutere la modalità dell’inserimento – avvenuta senza una discussione in Parlamento, con la fiducia e senza l’accordo dell’opposizione, come avviene invece solitamente nel corso della trattazione di materie delicate del genere – e gli aspetti relativi agli elementi apicali dei servizi segreti coinvolti.
La legge n.124/2007 attualmente in vigore e il nuovo decreto. La Legge n.124/2007 che riformò l’Intelligence italiana, impianto normativo attualmente in vigore regola il sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica e disciplina il segreto di Stato, statuisce che l’incarico dei direttori di Dis, Aise e Aisi abbia una durata massima di quattro anni e sia rinnovabile una sola volta.
La ratio alla sua base è quella che rinviene nella limitazione del periodo dell’incarico nei ruoli di vertice data la delicatezza delle materie trattate e il notevole potere attribuito ai dirigenti incaricati della gestione di informazioni estremamente sensibili.
Lo scorso 30 luglio era stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il decreto legge di proroga al 15 ottobre dello stato di emergenza sanitari, un provvedimento che il Presidente del Consiglio aveva indicato come «necessario» a causa di una serie di provvedimenti che, altrimenti, avrebbero perduto efficacia qualora non prorogati.
Tuttavia, in esso era stata inserita anche una norma della quale fino a quel momento non era stato fatto alcun riferimento in pubblico, il cui dettato era il seguente:
«Al fine di garantire, anche nell’ambito dell’attuale stato di emergenza epidemiologica dal Covid-19, la piena continuità nella gestione operativa del Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica, alla legge 3 agosto 2007 n. 124, sono apportate le seguenti modificazioni: le parole per una sola volta sono sostituite dalle seguenti: con successivi provvedimenti per una durata complessiva massima di ulteriori quattro anni».
L’interpretazione autentica. Una volta reso noto, questo passaggio era stato immediatamente oggetto di interpretazioni al fine di individuarne il suo significato autentico: ora veniva consentito un unico rinnovo dei vertici dei servizi segreti nel limite massimo dei quattro anni (quindi fino a otto), oppure si doveva considerare la precedente statuizione già inclusiva di un mandato complessivo di otto anni, con la conclusione quella voluta da Conte non introduceva alcun allungamento dei periodi degli incarichi dei direttori di Aisi, Aise e Dis?
Secondo la seconda interpretazione il decreto del 2 settembre stabilirebbe il possibile rinnovo delle cariche per ulteriori quattro anni non più tutti in una sola volta, come invece stabiliva la norma precedente, bensì in più rinnovi di durata più breve, ma comunque per un massimo di otto anni. Se così fosse, si tratterebbe esclusivamente di una diversa modulazione della durata degli incarichi, invariata nella sua massima durata.
Nei giorni successivi il Governo si è peritato di fornire la sua “interpretazione autentica”, precisando ufficialmente come la nuova norma si limiti «a introdurre la possibilità che vi siano più provvedimenti successivi di rinnovo dell’incarico, anziché uno solo, senza alcuna modifica del limite massimo temporale di permanenza negli incarichi stessi».
La durata, affermano da Palazzo Chigi, «rimane quella fissata dalla legge 3 agosto 2007 n. 124, cioè di quattro anni per il primo incarico più un massimo di altri quattro successivi».
La polemica politica e le critiche trasversali. Le critiche – come riferito trasversali allo schieramento politico – si sono appuntate sul fatto che l’articolo sia stato inserito all’interno di un decreto che si occupa di altro e senza coinvolgere né l’opposizione e né il Copasir, che è il comitato parlamentare competente sulla delicata materia, ma non solo, poiché il Governo per farlo approvare ha imposto il un voto di fiducia.
Dunque, non c’è stata quella tradizionale discussione tra maggioranza e opposizione che ha sempre caratterizzato le approvazioni di leggi ordinarie del genere.
Cinquanta parlamentari eletti nelle liste del Movimento 5 Stelle, inclusi due sottosegretari (Carlo Sibilia, Interno e Angelo Tofalo, Difesa) hanno a loro volta firmato un emendamento critico del provvedimento Conte, che in seguito è però decaduto col voto di fiducia. In esso si chiedeva di eliminare dal testo la parte relativa alla proroga dei vertici dell’Intelligence.
Per alcuni questo emendamento della fronda pentastellata sarebbe stato una mossa per mettere in difficoltà il Presidente del Consiglio, accusato da settori grillini di essere un centralizzatore. Esempio ne sarebbe l’aver mantenuto la delega ai servizi segreti e di averla gestita – secondo l’opinione espressa dai detrattori – in modo poco trasparente.
In forza della riforma varata nel 2007 il Presidente del Consiglio dei ministri ha la piena facoltà di mantenere la delega ai servizi, ma da allora, gli inquilini di Palazzo Chigi hanno sempre fatto ricorso all’Autorità delegata, conferendo tale impegnativa competenza a persone di loro fiducia.
Prima di Giuseppe Conte soltanto Paolo Gentiloni Silveri non lo fece, poiché decise di non delegare alcuno nella consapevolezza che presto nel Paese si sarebbero svolte le elezioni politiche.
Il «colbertiano» e le «barbe finte». Ovviamente in una vicenda del genere non potevano mancare i retroscena, autentici o fasulli che possano essere.
Ebbene, da una prima lettura si è sottolineato come Conte abbia un rapporto molto stretto con Gennaro Vecchione, generale della Guardia di Finanza che egli ha scelto personalmente ponendolo al vertice del Dis, cioè l’organo che controlla gli altri due servizi segreti.
Con il contestato decreto Conte prolungherebbe dunque al vertice il suo fedelissimo, il cui incarico risulta in scadenza per il prossimo mese di novembre. Nel farlo – si vocifera – avrebbe comunque ricevuto il placet del Partito democratico, che da qualche tempo osserva con attenzione l’attuale vertice dell’Aisi di nomina renziana, infatti Mario Parente è nell’incarico dall’aprile 2016. Sulla base della nuova normativa egli ora potrà venire confermato anche solo per un anno.
Nei giorni scorsi il sito web di informazione e gossip Dagospia aveva pubblicato una ricostruzione dei fatti che vedeva tra i protagonisti una vecchia conoscenza dell’Intelligence italiana, quel Marco Mancini che si trovò coinvolto in alcune delle più scottanti e controverse vicende del recente passato, quali il rapimento di Abu Omar, la morte di Nicola Calipari e l’Affaire Telecom-Sismi.
Il retroscena. Secondo il sito di Roberto D’Agostino dietro a tutto ci sarebbe Mancini, oggi sessantenne, già militare nell’Arma dei carabinieri e successivamente transitato al Sismi, che oggi – sulla base dell’ipotesi di Dagospia – si «starebbe muovendo con insistenza (eufemismo) per assumere la poltrona ai vertici dell’Aise, come vice del nuovo direttore Giovanni Caravelli».
Una candidatura che, sempre secondo questa ricostruzione, verrebbe sostenuta da Gennaro Vecchione, attuale direttore del Dis, al quale Mancini risulta assegnato. Di Vecchione, Mancini sarebbe uomo di fiducia, ma la sua nomina «è stata bocciata all’unanimità da tutti: dal Pd, da Di Maio, da Mattarella, dalla Cia e da Caravelli». Vecchione avrebbe però «puntato i piedi», poiché Mancini sarebbe l’unica spia della quale si fida veramente all’interno dei servizi segreti, «che lui – ha aggiunto Dagospia – considera un nido di serpi. L’unica persona che si vanta di risolvergli qualsiasi problema, di qualsiasi natura. La gestione della vicenda Barr, quella relativa allo spygate statunitense (Mifsud-Link University) è una spada di Damocle che ballonzola pericolosamente sulla testa di Vecchione e di Conte».
«Mancini – conclude chi ha esplorato questa ipotesi su Dagospia – sa benissimo che senza Vecchione al fianco non ha né futuro né condizionale. E viceversa. Di qui, Vecchione pressa Conte per infilare nel decreto la norma salva-poltrona mentre Mancini mette in pista l’amico a 5 stelle Angelo Tofalo. I due sono legatissimi: tra l’altro, lo spione gli presentò il magistrato Gratteri».