In seguito al pronunciamento militare di ieri che aveva portato all’arresto del capo di Stato Ibrahim Boubacar Keita e del primo ministro Boubou Cissé, oltre che di altri esponenti di governo e di alcuni alti ufficiali, è stato lo stesso Boubacar Keita in un intervento trasmesso intorno alla mezzanotte dalla televisione pubblica Ortm a rimettere il suo mandato e contemporaneamente a sciogliere governo e assemblea nazionale.
Contestualmente, l’autoproclamato Comitato nazionale per la salvezza del popolo (Comité national pour le salut du peuple, CNSP), organo creato dagli ufficiali golpisti che ha deposto il presidente e l’esecutivo in carica, ha annunciato per mezzo di un comunicato trasmesso dalla televisione che «verrà assicurata una transizione politica in tempi ragionevoli».
In Mali la situazione è fluida da ieri, cioè da quando sono filtrate le prime notizie dell’arresto del primo ministro e dello scioglimento dell’assemblea parlamentare da parte dei militari partiti dalla caserma di Kati, alla periferia della capitale.
Il rovesciamento del governo e del parlamento parrebbe avere avuto successo, raccogliendo anche il sostegno di una parte della piazza, al punto che nella giornata di ieri la folla scesa in strada ha acclamato i militari.
Alcuni osservatori delle dinamiche maliane hanno inteso sottolineare come questo colpo di stato, a differenza di quello tentato nel 2012, quando a muoversi furono principalmente dei sottufficiali, abbia visto il coinvolgimento attivo di gradi apicali delle forze armate.
E infatti sono cinque ufficiali a guidare la giunta da oggi al potere a Bamako, formalmente l’elemento di vertice è il colonnello Assimi Goita, già responsabile dell’unità delle forze speciali maliane, affiancato dai suoi pari grado Malik Diaw e Sadiou Camara, quest’ultimo ritenuto la “mente” dell’operazione. Camara ha fatto recentemente ritorno nel proprio paese dopo aver frequentato un corso di addestramento militare in Russia.
In ogni caso non si conosce ancora il nome dell’ufficiale che guiderà la giunta nel corso della fase di transizione che dovrebbe portare a nuove elezioni, forse potrebbe essere Dyaw, nome indicato da alcuni osservatori.
A leggere il comunicato alla radio e alla televisione è stato il colonnello Ismael Wagué, capo di stato maggiore aggiunto dell’aviazione.
«Noi – ha egli dichiarato attorniato da altri quattro ufficiali golpisti -, le forze patriottiche raggruppate all’interno del Comitato nazionale per la salvezza del popolo, abbiamo deciso di assumerci le nostre responsabilità davanti al popolo e davanti alla storia».
Nel loro messaggio alla nazione, i militari sostengono di voler mettere in atto una «transizione politica civile» verso elezioni generali che dovranno svolgersi entro un «tempo ragionevole».
Essi hanno quindi garantito il rispetto di tutti gli accordi internazionali precedentemente stipulati dallo Stato maliano, la continuità dei servizi pubblici e hanno inoltre sottolineato l’importanza delle missioni internazionali presenti nel Paese – ONU Minusma e Barkhane, quest’ultima condotta dai francesi – che i militari maliani affermano di considerare «partner per il ripristino della stabilità».
La comunità internazionale ha condannato il colpo di stato (Usa inclusi per bocca di Mike Pompeo), tuttavia non può permettersi di non dialogare con gli ufficiali al potere, poiché sono i loro attuali referenti, anche in relazione alla presenza dei contingenti di forze esteri presenti sul territorio maliano.
Un’altra incognita è quella relativa all’eventuale collaborazione delle forze di opposizione al precedente governo con la giunta militare, come anche il futuro della missione militare francese “Barkhane”, quella dell’ONU Minusma e del G5 Sahel.
Per quanto concerne i caschi blu, la cancelliera tedesca Angela Merkel è intervenuta pubblicamente per assicurare che «il colpo di stato non ha avuto alcun impatto sul dispiegamento delle forze dell’Onu nel Paese africano nel quadro della missione Minusma», infatti, «i soldati sono nelle loro caserme in luoghi molto distanti dalla capitale Bamako».
Senza dimenticare il problema principale per importanza dopo la profonda crisi economica e sociale che ha immiserito il Paese, cioè quel sahelistan praticamente fuori controllo nelle mani degli jihadisti.
Chi potrà mediare in questa situazione? Chi si interfaccerà con la giunta militare?
L’Unione africana probabilmente, seppure abbia sospeso il Mali (suo Stato membro) fino al ripristino dell’ordine costituzionale nel Paese e alla liberazione del deposto Keita e dei ministri del suo governo.
Infine gli italiani. Lo scorso 16 luglio il Governo di Roma ha deciso l’invio in Mali di duecento militari appartenenti alle unità delle forze speciali, destinati a operare nella fascia di frontiera del Paese africano con il Burkina Faso e il Niger, aree a elevato rischio terrorismo, dove si registrano con estrema frequenza attentati e azioni di guerriglia. Di fronte alle sopravvenute incertezze il Governo confermerà l’avvio di questa delicata e rischiosa missione?
Si tratta della Task Force Takuba, che sotto il comando francese dovrebbe impegnare i citati duecento uomini delle forze speciali italiane, con venti mezzi terrestri e otto elicotteri, rischierati nella base di Ansongo, località situata nel settentrione del Paese africano, nella cosiddetta «zona delle tre frontiere», dove sono presenti e attivi gli jihadisti del settore Liptako-Gourma, un’area dove imperversano i gruppi legati sia ad al-Qaeda che a Islamic State.