di Andrea Gagliarducci, corrispondenza diffusa da ACI Stampa – Atene, 19 agosto 2020. Sospesi tra Chiesa d’Oriente e Islam, territorio di passaggio e di popolazioni con storie simili, ma diverse, i Balcani sono stati accomunati da una devozione alla Vergine che ha caratterizzato, in maniera diversa, le loro nazioni.
Non si può prendere la storia delle nazioni come un unicum, come non si può fare in molti Paesi dell’Est europeo, ma si può cercare di andare alle radici della fede cristiana che ha portato, in fondo, ad una fede popolare viva e tuttora presente. Tutto ha inizio, in fondo: in Grecia.
La Grecia cristiana nasce dalla perfetta fusione del cristianesimo con la componente politica romana e quella culturale ellenistica operata da Costantino. Fu questi a convocare nel 325 il primo Concilio ecumenico, il Concilio di Nicea, e poi a trasferire la capitale a Costantinopoli.
Il Concilio di Efeso del 431 si celebrò in una chiesa mariana (a Efeso c’è anche la casa di Maria) ed ebbe come motto emblematico “Maria Theotokos”.
Tutte le feste mariane e i tipo iconografici fino al Medioevo provennero dall’Oriente, da Bisanzio in particolare.
Molti templi pagani dell’antica Grecia vennero trasformati in chiese cristiane e spesso dedicate alla Vergine. Tra questi, il Partenone: si fecero lievi modifiche all’interno, e venne prima dedicato ad Aghia Sophia, la sapienza, quindi, quando il culto mariano ebbe il sopravvento, si cominciò a invocare Maria nel tempio come Panaghia Ateniotissa, la Tuttasanta di Atene.
In mille anni di Impero Romano d’Oriente, la Grecia perse quasi del tutto la sua importanza a vantaggio di Bisanzio.
Dal canto suo, Costantinopoli subì trenta assedi, ma cadde solo due volte. Il fatto che rimase intatta fu attribuito proprio alla protezione della Vergine. In fondo, Costantinopoli era un luogo dove c’erano “più chiese che giorni dell’anno” e almeno settanta di queste chiese erano dedicate alla Vergine.
Di queste settanta chiese, quattro ebbero una straordinaria importanza: la Blakernes, la Kalkopratia, l’Odigitria e la Fonte di vita.
Blakernes era tra il Corno d’Oro e le mura e c’era anche la “veste” della Vergine trafugata dalla Terrasanta nel 471.
Alla Blakerniotossa si attribuiva la salvezza dai tantissimi pericoli corsi dalla città e dall’impero, lì la Vergine era invocata come Stratega Protettrice.
Nella Kalkopratia era custodito il cinto della Vergine, mentre nell’Odigitria si venerava l’icona omonima attribuita a San Luca, che fece da prototipo a tutte le immagini di questo modello
Maria Fonte di Vita è l’unico santuario tuttora esistente e come centro ha il culto di una fonte sacra.
Tra il 726 e l’843 scoppiò la bufera dell’iconoclastia. San Giovanni Damasceno, il Papa di Roma e i monaci si opposero all’iconoclastia e molti di questi subirono il martirio, mentre la maggior parte delle immagini furono distrutte inesorabilmente, con un danno enorme non solo per la devozione, ma anche per la cultura, per via della perdita di moltissime opere del periodo più fiorente dell’arte bizantina. Altre immagini, invece, si salvarono in circostanze più o meno fortunose.
Quindi cominciò l’ascesa del Monte Athos, santa montagna dell’Oriente ortodosso, con un numero sempre crescente di monaci: nel 1400, si arrivò al numero record di 40.000. L’isola divenne una autentica repubblica monastica e fu rispettata anche dagli occupanti turchi. A Maria sono dedicati espressamente alcuni dei venti monasteri principali, dove si venerano numerose icone mariane ritenute prodigiose.
La Quarta Crociata portò alla conquista e al saccheggio di Bisanzio e alla nascita dell’Impero Latino d’Oriente, che durò dal 1204 al 1261.
Nel 1453, le truppe di Maometto II presero d’assalto Costantinopoli e la saccheggiarono facendo strage degli abitanti. Le chiese della città vennero quasi tutte trasformate in moschee oppure distrutte, tuttavia, in quattro secoli di dominazione si mantenne la fisionomia di nazione cristiano ortodossa grazie proprio alla fiducia nella Vergine.
Il culto mariano era molto sviluppato fra i marinai delle isole dell’Egeo, che erano spesso protagonisti di trafugamenti di immagini. Essi veneravano l’icona Kardiotissa, il cui prototipo è la Madonna del Perpetuo Soccorso che si trova nella chiesa di Sant’Alfonso de’ Liguori a Roma.
La lotta per l’indipendenza greca comincia nel 1821 e viene legata indissolubilmente al culto mariano. I rivoluzionari si legarono con giuramento al santuario di Aghia Lavra, fecero voti in onore della Tuttasanta e proclamarono il 25 marzo, giorno dell’Annunciazione, festa nazionale.
Tra i santuari più noti di Grecia c’è quello di Tinos, dedicato a Nostra Signora dell’Annunciazione. Battelli di ogni tipo, ad agosto, vanno verso questa isola delle Cicladi.
Il ritrovamento dell’icona risale al 1823. Si tratta dell’icona dell’Annunciata (Euanghelistria in greco), rinvenuta in seguito a un sogno fatto da una suora. Si scavò dove indicato dal sogno, si trovarono le rovine di una chiesa dedicata a San Giovanni Battista e, con le pietre recuperate, gli operai costruirono sul posto una piccola cappella dedicata alla Vergine. Al termine dei lavori, un piccone spezzò la vecchia tavola, e rinvenne così l’icona.
Sul Monte Athos c’è la Tuttasanta Portatissa, icona genere odigitria tra le più venerate, che apparteneva a una vedova di Nicea, tenuta nascosta durante l’iconoclastia. Un soldato la scoprì nell’829, la colpì con la spada e l’immagine, lacerata al volto, fece sgorgare sangue dalla. Il soldato si convertì, la vedova affidò l’icona al mare e questa approdò così sulla spiaggia nei pressi del monastero georgiano di Iviron. I monaci misero l’icona nella chiesa, ma questa veniva sempre ritrovata sulla porta d’ingresso, quindi la cappella dovette essere costruita proprio all’ingresso del monastero. La portatissa è veneratissima, in particolare in Russia e Serbia.
Il legame della Serbia con il monte Athos è molto forte. La Serbia era ripartita in due principati patriarcali. Nel XII, Stefano Nemanja riuscì a fondare un regno autonomo e alla fine della sua vita si ritirò nel monastero di Studenica, dedicato alla Vergine Maria.
Lì, c’era già suo figlio Sava. E padre e figlio andarono poi sul monte Athos. La prima cosa che fecero fu di inchinarsi davanti alla Madre di Dio, che è la Madre di tutte le chiese che sono sul monte Athos.
In quel luogo fondarono il monastero di Hilander, anch’esso dedicato alla Vergine Maria, che avrebbe rappresentato per molti secoli il cuore spirituale e culturale della Serbia stessa.
Il monaco Sava fece un pellegrinaggio in Terrasanta, dove acquistò l’icona detta delle tre mani, che secondo la tradizione appartenne a San Giovanni Damasceno. La terza mano dell’icona sarebbe un ex voto applicato dal Santo sull’icona a seguito di un prodigio: i nuovi dominatori arabi gli avevano amputato la mano destra, che gli si sarebbe riattaccata al braccio.
Nel 1219, Sava fu richiamato in patria per dare vita alla chiesa autocefala serba, fatto che diede un immenso sviluppo alla religiosità del posto. Sava fu venerato come santo, portò con sé l’icona delle tre mani, e la collocò nella cattedrale di Skopje, dove sarebbe rimasta fino alla caduta della Serbia sotto il dominio turco. Quindi, per precauzione, fu riportata nel monastero di Hilandar, dove la Vergine è ritenuta l’igumena, mentre il monaco che regge il monastero è semplicemente il Vicario della Vergine.
Dopo Sava, ci fu un periodo di prosperità che poi si trasformò in debolezza e frammentazione, di cui approfittarono i turchi per continuare la loro avanzata nei Balcani e sconfiggere definitivamente i serbi a Kosovo nel 1389.
Tra 1500 e 1600 vi furono vari tentativi di ribellione, e i moti irredentisti continuarono anche nel 1700 e 1800, quando la Serbia fu sottoposta all’influenza turca a austriaca. Solo dopo Congresso di Berlino del 1878 il Paese arrivò ad una piena autonomia con il Montenegro. Il congresso però, lasciava insoddisfatte le mire di Grecia, Bulgaria e Serbia nei confronti della Macedonia, che venne poi spartita tra Albania, Bulgaria e Serbia
Nel 1929 Serbia Croazia e Slovenia diventarono Jugoslavia, in una unità che si sarebbe incrinata nel 1989.
In Serbia la religiosità in campo mariano è fortemente nutrita di leggende tratte dagli apocrifi, essa si esprime in gesti compiuti da donne e madri in particolare. Anche le donne musulmane frequentano i santuari mariani.
Tra i santuari più noti c’è quello di Nostra Signora di Letnica, in Kosovo, punto di incontro religioso e sociale di albanesi, serbi, croati e zingari.
La statua di Letnica era stata collocata sotto un albero dopo che era stata sottratta a possibili profanazioni e nemmeno i musulmani osarono toccarla. La venerazione per quel monastero ha garantito la sopravvivenza della Chiesa cattolica.
La Madonna dello scalpello è un santuario su un’isola artificiale a forma di scalpello sorto intorno ad un’immagine mariana ritrovata su uno scoglio nel 1452. La popolazione delle Bocche di Cattaro (Montenegro) si è sempre affidata alla protezione della Madonna dello scalpello. Ci sono, in quel santuario, 2.500 ex voto, specialmente di marinari, tra i quali un alleato di San Leopoldo Mandić. L’anniversario del rinvenimento è il 22 luglio.
Legata al territorio è anche l’Albania, in particolare grazie alla figura di Giorgio Castriota Scanderbeg, che guidò la ribellione contro gli ottomani nel XV secolo. Devoto alla Madonna, Scanderbeg passava notti intere in preghiera nella chiesa di Santa Maria, una piccola costruzione gotica a Vau i Dejes, non lotano da Scutari.
Oggi la devozione mariana degli Albanesi viene professata tutta nel santuario del Buon Consiglio presso Scutari. L’immagine, considerata patrona della nazione, è scomparsa nel 1468, per poi ricomparire a Genazzano.