SOCIETÀ, Friuli migrante. Storie, pensieri, protagonisti nell’opera e nella memoria di Adriano Degano

Il dettagliato e appassionato volume “Friuli a Roma” è stato presentato presso il Fogolâr furlan della capitale in occasione del centenario della nascita dell’autore

di Vito Paterno – “Friuli a Roma” viene presentato in due singolari congiunture. La prima, il Centenario della nascita dell’autore che è stato mio maestro, cui tanto devo per i buoni e dotti consigli, per le paterne sollecitazioni e la stima che mi portava.

Adriano Degano, che era nato a Povoletto il 16 settembre 1920, ha dedicato tutta la vita al Friuli, ai migranti, alle attività del pensiero. Un uomo che per la molteplicità di passioni e la somma di conoscenze enciclopediche va collocato in un periodo che non è il nostro.

Appartiene a una ideale stagione neorinascimentale, per il suo incredibile interesse artistico e per la capacità di promuoverlo e accenderlo anche nella persona più indifferente.

La seconda ricorrenza la svelerò in seguito.

Il tempo e le circostanze però non gli hanno concesso il privilegio di far seguire alla stesura del 2011 la sua personale revisione. Forse compaiono qua e là omissioni, imperfezioni, proprie di una prima scrittura. Perciò esse sono a me addebitabili, ritenendomi quale curatore colpevole o perlomeno corresponsabile.

L’Autore di questa pubblicazione postuma ha voluto che tutti sapessero, senza equivoci, i motivi che lo hanno spinto a scriverlo: «L’amore per la vita, la gratitudine per chi gli ha insegnato ad amare l’arte». Concetti ribaditi dal critico d’arte Licio Damiani, che ringrazio per il dono della sua prefazione, e dal professor Mario Turello nella sua dotta analisi.

Lo stesso Autore, in una paginetta mette sull’avviso il lettore che non ha inteso scrivere la trama di un racconto lineare ma solo raccogliere avvenimenti apparentemente scollegati con i quali ha avuto rapporti culturali, fisici, spirituali, pubblicati nel corso degli anni sulla sua creatura prediletta, la rivista periodica Fogolâr Furlan nata nel lontano 1967, sul modello dei quaderni della FACE da lui diretti nel fervido periodo udinese.

Testi anche ospitati sul quindicinale friulano “Il Punto” dell’amico Piero Fortuna e non sporadicamente sul “Messaggero Veneto» sin dagli anni Cinquanta.

Capitoli di varia lunghezza, con qualche scritto inedito, che se pur autonomi nell’insieme finiscono con il ricomporre l’intera e irripetibile stagione del Regionalismo risvegliatasi dopo la censura della dittatura, offrendo immagini di friulanità a Roma e in Friuli.

Ma è anche il completamento del volume dei cinquanta anni, sua immane fatica, per dare più spazio agli aspetti individuali e meno collettivi, facendone scaturire una specie di retrospettiva della Roma friulana, una collezione di artisti, uomini di fede, di scienza e di cultura e di più modeste qualità.

Egli riporta la luce su più di trecento volti, molti dei quali sarebbero stati perduti nella terra dell’oblio se non fosse riuscito a conservare le loro tracce nel prezioso archivio sedimentato in più di cinquanta anni, fatto vincolare il 13 dicembre 2001 con legge dello Stato. A questa sorta di dizionario biografico si aggiungono i miei più modesti profili e quelli redatti dalla professoressa Cecilia Sandicchi che va ricordata per il grande contributo dato all’associazione.

Ciò che colpisce è lo stile di scrittura di Degano, che direi caratterista, descrittiva, non riduttivamente didascalica. Come pennellate le sue parole sembrano illustrare, colorare, lumeggiare; come colpi di scalpello, scavano per rimuovere la materia superflua, per svelare la personalità, per delineare il carattere essenziale rinchiuso.

Tutti ritratti tratteggiati con un linguaggio reso tridimensionale dalla profondità del sentimento.

Troviamo così il cardinale Eduardo Pironio (per il quale è in corso il processo di canonizzazione), la missionaria suor Amelia Cimolino (morta in concetto di santità), padre David Maria Turoldo (che visse a Roma diversi anni nella comunità dei servi di Maria di San Marcello al Corso), i fondatori del Fogolâr Antonio Mizzau, Celso Ferrari (figlio di Pio Vittorio ideatore nel 1908 del Sodalizio Friulano di Roma), l’avvocato Danilo Sartogo, nel cui studio di piazza Cola di Rienzo venne alla luce la compagnia aerea Alitalia, Pier Paolo Pasolini (troppo noto per doverne richiamare le opere), gli scrittori Dino Pasini, Stanislao Nievo, Sergio Maldini, Elio Bartolini, Gianni Granzotto amministratore delegato RAI, il giornalista Gianni Bisiach, Maria Pia Moretti (prima donna radiocronista italiana), il gallerista Vittore Querèl, il cineasta Sandro D’Eva, i medaglisti Celestino e Pietro Giampaoli, il caricaturista preferito da Federico Fellini, Nino Za (Giuseppe Zanini), il pittore Afro (del quale Degano scoprì il ciclo “Le 4 stagioni”), la scrittrice Maria Luisa Astaldi (la cui imponente collezione d’arte fece acquisire dai Civici Musei di Udine), lo scultore Aurelio Mistruzzi (ricordato nei giardino dei Giusti di Gerusalemme con monsignor Elio Venier, per aver salvato dalla deportazione nazi-fascista alcuni ebrei romani), Germano Polano (studioso dell’applicazione del nucleare militare per uso civile), Sergio Stefanutti (inventore degli aerei a decollo verticale), i grandi medici Attilio Maseri, Adolfo Petiziol, Nicolò Miani, i musicisti Gianfranco Plenizio e Felice Cimatti. Mi scuso se cito solo alcuni.

L’impressione della consistenza plastica del suo linguaggio la ebbi in Vaticano, quando fui testimone di un autentico miracolo nella Stanza della Segnatura (1508-1511) di Raffaello, ove mi parve che le parole di Degano avessero animato la materia, sprigionato la vita nelle figure dei filosofi, teologi, profeti, papi, santi e Madonne che improvvisamente presero a muoversi leggiadre su una superfice che si proiettava nella terza dimensione.

Ero entrato negli affreschi, risucchiato dalle scene raffigurate che mi sembrarono essersi così messe in moto come le complicate macchine teatrali di chiese barocche azionate da invisibili ingranaggi.

Avevo appena sperimentato la magia di una illusione ottica, lo stesso inganno spaziale degli abissi aerei dipinti sulle volte dai pittori quadraturisti, con gruppi di creature volanti tra nubi, colonne, trabeazioni e balaustre di imponenti architetture.

Una sensazione di vertigine, di quasi allucinazione, che ritrovo nel qui presente brano Suggestioni d’arte e spirituali negli affreschi di Raffaello in Vaticano, leggendo il quale mi sembra ancora oggi di udire l’eco della sua voce narrante, di sperimentare il potere dell’arte di sopraffare con violentissime emozioni, di vedere immagini vive e parlanti imprimersi negli occhi e generare un certo grado di felicità.

Adriano Degano si potrebbe definire un «raffaellita».

Non a caso la copertina riproduce proprio una delle pitture a grottesca con le quali Giovanni da Udine (1483) – «rarissimo et unico in quegli, ma più negli animali e frutti et altre cose minute» come scrisse Giorgio Vasari – completò le Logge Vaticane affrescate dal suo amico e maestro Raffaello Sanzio da Urbino (1483).

La seconda congiuntura che cade in questa presentazione postuma è infatti il cinquecentenario della morte di Raffaello, celebrato con una serie di grandi mostre. Tra i quadri esposti alle Scuderie del Quirinale c’è anche il celebre Autoritratto con un amico, dipinto intorno al 1519 poco prima che morisse il venerdì santo dell’anno successivo, il giorno 6 aprile.

Lucia Ileana Monti Zanier (1931-1988), pittrice friulana nota con lo pseudonimo LIMZ, ricordata da Degano in uno splendido studio dei tratti somatici qui riprodotto, riconduce l’identità, ufficialmente ancora ipotetica, dell’ignoto amico del doppio ritratto del Louvre al volto proprio di Giovanni.

Nel Pantheon, tempio delle divinità nell’Urbe antica, sono sepolte undici persone, tre di casa Savoia e otto artisti. Primo tra tutti, lo sappiamo dall’epitaffio di Pietro Bembo, il «divino» Raffaello. E vicino a lui vi giace anche Giovanni da Udine.

«Volle Giovanni, il quale merita di esser lodato fra i maggiori della sua professione, essere sepolto nella Ritonda, vicino al suo maestro Raffaello da Urbino, per non star, morto, diviso da colui dal quale vivendo non si separò il suo animo già mai. E perché l’uno e l’altro, come si è detto, fu ottimo cristiano, si può credere che anco insieme siano nell’eterna beatitudine».

Questo, però, lo afferma soltanto l’artista e scrittore aretino Vasari, che ne parla ampiamente nella seconda edizione delle famose “Vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori”, volume edito nel 1568, a sette anni dalla morte di Giovanni. A quel tempo il Vasari stava affrescando il salone del vicino Palazzo della Cancelleria e, probabilmente, partecipò anche ai solenni funerali del Ricamatore celebrati nella basilica di San Pietro.

Iddio mi è testimone del disperato tentativo di Adriano Degano, compiuto presso la Pontificia Accademia dei Virtuosi del Pantheon al fine di porre una sobria lapide accanto a quelle di Perin del Vaga, Annibale Carracci, dell’architetto Baldassarre Peruzzi, per eliminare l’ingiustizia della mancata memoria della sepoltura del grande pittore udinese.

Del Perché Giovanni da Udine – titolo del Premio da lui ideato e conferito a numerose eccellenze friulane nel corso di dieci edizioni – lo spiega egli stesso proprio in questo volume.

Il perché della salma perduta, ancora avvolto dal mistero, invece sarebbe stato oggetto del convegno che stavamo organizzando con l’Accademia di San Luca, grazie al suo Segretario generale Moschini, mio docente di Storia dell’Architettura negli anni al Politecnico. Spero si possa proseguire questa solitaria battaglia di verità per restare fedele alla sua esortazione.

Un uomo di siffatta cultura, pubblicista, scrittore, anche se mai egli ha ritenuto di esserlo, studioso esigentissimo, con incredibili doti organizzative e di comando, avrebbe potuto percorrere con non poche soddisfazioni il cursus honorum nell’agone degli storici dell’arte, così come del resto aveva cominciato con gli studi in Lettere proprio all’Ateneo di Urbino, dove forse si lasciò suggestionare da un visione stendhaliana delle opere di Luciano Laurana, Francesco Di Giorgio Martini, Piero della Francesca e soprattutto dalla potenza della perfezione pittorica del maestro urbinate per eccellenza.

Accanto alla tesi su Caterina Percoto egli produsse infatti anche uno studio sui collaboratori del pittore friulano Pellegrino da San Daniele (1467-1547), coevo di Raffaello.

Appena discussa, il 9 maggio del 1949, il professore Pasquale Rotondi – titolare della cattedra di Storia dell’Arte, Sovrintendente delle Marche nonché Direttore dei musei del Palazzo Ducale – congratulandosi con lui gli propose l’incarico di assistente e l’assunzione alla Sovraintendenza, visto che l’università pagava poco.

Ma erano appena trascorsi due giorni dal matrimonio con Diana Peresson ed egli era già impiegato all’Inps.

Degano apparteneva a quella ristretta e provvidenziale cerchia di uomini di cultura che, avendo dato sempre e con generosità per la crescita culturale e civile del Friuli, non avranno mai un adeguato riconoscimento.

Mi auguro che appropriate azioni consentano una attenta spigolatura tra il suo voluminoso archivio personale, che pur dovrebbe costituire un fondo presso l’Archivio di Stato di Udine, (rapporti epistolari con artisti, funzionari, politici, uomini di cultura e di chiesa, ecc.) per una esatta ricostruzione del suo poliedrico profilo di uomo colto, buono, che aveva il culto dell’amicizia, dell’inclusione, accanto a quello della leadership. Sono certo che altri uomini di cultura, nel ricordo e nel giusto apprezzamento, sapranno sciogliere questo debito verso di lui.

Infine, mi sia concesso il suo accostamento al protagonista del film di Tornatore “La Migliore Offerta”, il battitore d’asta Virgil Oldman.

Infatti, sospinto dall’amore per la bellezza, Adriano è stato, al pari di Virgil, un ricercatore compulsivo di opere pittoriche, delle quali sapeva sempre stabilire l’autenticità.

Con le dita umide di saliva, sfiorava la superficie dei dipinti alla ricerca del cracklé, cioè del fitto reticolo di screpolature, quasi per saggiare la patina del tempo.

Nel corso degli anni anche Oldman ha raccolto una collezione impressionante di quadri che custodisce gelosamente in un caveau.

Questo libro è per Degano come quella stanza segreta. In esso sono custoditi centinaia di ritratti che rappresentano il suo vero rapporto sentimentale col Fogolâr furlan, al quale ha dedicato quasi l’intera vita.

“Friuli a Roma”, di Adriano Degano, prefazione di Licio Damiani, a cura di Vito Paterno, Gaspari Editore 2019, pagg. 336

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