«Caro fratello, ti accompagno nel dolore per questo atto vandalico e sono vicino a te e al tuo popolo. Prego per tutti voi».
Sono le parole del papa, che il cardinale Leopoldo José Brenes, arcivescovo di Managua, ha letto pubblicamente ieri in occasione della Giornata di silenzio e preghiera indetta dopo l’attentato perpetrato il 31 luglio contro la cattedrale della città.
Esse fanno parte del messaggio inviato da Bergoglio alla Chiesa del Nicaragua dopo che il luogo di culto, in particolare la Cappella del Sangue di Cristo, è stato oggetto di un attentato compiuto mediante il lancio di una bomba molotov, che ha portato alla distruzione, tra l’altro, un antico crocifisso realizzato quattro secoli fa.
«Un atto infame, un’azione terroristica», ha dichiarato l’arcivescovo nella sua omelia, trasmessa su You Tube da remoto dalla sua abitazione.
Il porporato ha voluto ringraziare il pontefice per la solidarietà. «È bello sentire la vicinanza del papa come fratello e amico – ha egli affermato -, una vicinanza che ci rafforza nella fede e ci incoraggia ad andare avanti».
In un precedente comunicato diffuso dall’arcidiocesi di Managua si affermava che «l’atto terroristico è stato premeditato, pianificato e compiuto da una persona esperta, poiché l’uomo incappucciato che lo ha fatto si è indirizzato subito verso la Cappella del Sangue di Cristo».
Secondo il quotidiano “La Prensa”, i testimoni hanno affermato che l’attentatore incendiario, brandendo nella mano un oggetto, avrebbe pronunciato la frase «vengo al Sangue di Cristo», questo mentre un altro testimone del fatto ha dichiarato che l’uomo che ha lanciato la bomba «era noto» e che «sospetta che fosse un’azione pianificata».
L’attacco compiuto a Managua fa seguito ad altre azioni violente a danno di chiese in Nicaragua, la più recente delle quali è quella del 29 luglio scorso, che ha visto degli individui non identificati profanare con furia e odio la cappella della Madonna del Perpetuo Soccorso nel comune di Nindirí, a Masaya.
Non si tratta certamente di una novità per il Paese centroamericano, poiché esso negli ultimi anni a conosciuto un’altalenante fase caratterizzata da incrementi della tensione e della violenza alternata alla speranza di una ripresa del dialogo tra il presidente Ortega e i rappresentanti della Conferenza episcopale nicaraguense.
Un periodo contrassegnato dalla repressione e dalle minacce di morte nei confronti degli ecclesiastici impegnati nel dialogo nazionale, con la città di Masaya che è divenuta il cardine della protesta non violenta dei cattolici per la democratizzazione del Paese, dove i vescovi, accettando di porsi come “scudi umani”, si sono visti costretti al confronto con delle vere e proprie squadre della morte, i paramilitari di Ortega che non hanno esitato nell’aggredire fisicamente lo stesso cardinale Brenes.