di Giuseppe Morabito, generale in ausiliaria, attualmente analista della NATO Defense College Foundation – In Libia la guerra civile è in corso dal 2011 con diverse fasi d’intensità. Le prospettive di un cessate il fuoco durevole, come condizione preliminare per una soluzione politica, negli ultimi anni non sono mai state fattive. Una missione militare internazionale per garantire la pace sarebbe stata, comunque, tecnicamente quasi impossibile.
Tutto ciò potrebbe cambiare nel futuro prossimo a causa dell’attuale situazione, seguita alla quasi decisiva sconfitta dell’Esercito nazionale libico di Khalifa Haftar (LNA) in Tripolitania, conseguenza dell’operazione militare sostenuta dalla Turchia e dai suoi mercenari che hanno agito in favore del Governo di Accordo nazionale (GNA), che era stato riconosciuto a livello internazionale.
Oggi, si presenta una situazione di stallo a ovest di Sirte, la porta di accesso all’omonimo bacino ricco di petrolio prospicente la costa centrale del Paese.
Ankara ha fornito un sostegno militare fondamentale alla controffensiva governativa, giustificandola con propri importanti interessi economico-strategici.
Essi comprendono in particolare l’accordo marittimo turco-libico firmato il 27 novembre 2019, relativo alle zone economiche esclusive (ZEE). Quest’accordo – sebbene illegale per gli standard della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare – serve alla Turchia (ancora incredibilmente tollerata negli atteggiamenti provocatori in ambito NATO) come base per ulteriori argomentazioni sulle rivendicazioni marittime in quell’area del Mediterraneo ricchissima di gas.
Al fine di mantenere in piedi quest’accordo risulta però necessario preservare quello che è lo “Stato libico” nel suo insieme e prevenire la frattura con la sua provincia orientale.
In tale quadro, il presidente egiziano al-Sisi ha dichiarato Sirte-Al-Jufra Oasis una linea rossa per il Cairo e ha minacciato di un intervento militare su vasta scala qualora essa venisse oltrepassata dai soldati governativi sostenuti nell’area di confine dai Fratelli musulmani.
L’Unione europea non è mai stata in grado di svolgere un ruolo chiave nella stabilizzazione della Libia, sebbene il paese si trovi nelle sue immediate vicinanze. Ciò è in larga parte dovuto alla mancanza d’interessi strategici né comuni e né condivisi riguardo al Paese nordafricano, a eccezione del contenimento della migrazione, tuttavia soprattutto a causa dei suoi stessi errori, con il nostro paese in testa al gruppo degli erranti. Con il suo fallito sostegno incondizionato alla ricerca di un accordo politico mediato dall’Onu e alla poca volontà di trattare con il generale Khalifa Haftar, personaggio sicuramente più influente nell’oriente libico, l’Ue vede le proprie mani legate. Le operazioni navali “Sophia” e “Irini” non hanno contribuito in modo sostanziale al contenimento della tratta di esseri umani, né sono state in grado di porre fine al traffico di armi, dove Francia, Italia e Grecia sono state lasciate sole.Mentre la presenza turca, che rimarrà purtroppo almeno nella Libia occidentale, danneggia significativamente gli interessi di numerosi Stati membri Ue, oggi la presenza europea in Libia risulta prossima allo zero e la sua credibilità è bassa se non nulla. Per la Turchia e il suo presidente Erdoğan il miglior risultato del conflitto sarebbe che il GNA espandesse il suo controllo sull’intera Libia. I gruppi combattenti di Misurata e gli islamisti che sostengono il GNA spingono comunque ad attaccare Sirte e l’Oriente per schiacciare il LNA, vendicarsi delle loro precedenti sconfitte a Bengasi e Derna e consentire il ritorno dei rifugiati. Naturalmente, entrambi vogliono avere accesso illimitato alle vaste risorse nella cosiddetta «mezzaluna petrolifera».
Sulla base di tale logica, Erdoğan e il GNA non sono seriamente interessati a un cessate il fuoco fino a quando il LNA non si sarà ritirato a est, soprattutto perché sono convinti di poter sconfiggerlo e prendere comunque il controllo dei siti estrattivi di petrolio, sempre fatto salvo un intervento dell’Egitto, il quale di avere terroristi Jihadisti sostenuti da Ankara al proprio confine non ne vuol sapere.
I mercenari turchi e i governativi tenteranno di proseguire nel loro attacco verso est se l’LNA non si ritirerà volontariamente, il che è molto improbabile, poiché a parere di molti analisti se verrà superata la linea rossa il Cairo muoverà le truppe e fermerà l’avanzata.
Logicamente per “fermare tutto”, l’elemento chiave per un cessate il fuoco duraturo abbisogna di un preliminare accordo sulla distribuzione delle entrate petrolifere.
La percezione dell’ingiustizia dell’attuale sistema – tutte le entrate finiscono nella Central Bank of Libya (CBL) controllata da GNA – è una delle lamentele chiave nella parte orientale e meridionale della Libia.
Di conseguenza, da gennaio la maggior parte delle infrastrutture petrolifere libiche era stata bloccata dalle milizie locali in coordinamento con il LNA.
Un primo passo potrebbe essere la creazione di un conto fiduciario per le entrate petrolifere presso una banca straniera, la successiva revoca del blocco delle esportazioni e trattative su un nuovo sistema per la distribuzione dei fondi.
Se funzionasse, un aumento della produzione di petrolio sarebbe nell’interesse di tutti i libici, ciascuno di loro ne trarrebbe beneficio, indipendentemente da chi abbia il controllo fisico sulle strutture e sarebbe anche una buona notizia per ENI che ha la gestione di una grande quota della produzione.
Tuttavia, questo approccio è respinto dal GNA, sotto evidente pressione turca, usando come scusa le preoccupazioni per una limitazione della sovranità nazionale. Certo, anche se fosse concordato un cessate il fuoco e iniziassero i negoziati sulla distribuzione delle entrate petrolifere, è probabile un ritorno alle ostilità, se le parti belligeranti non fossero separate fisicamente. Tale separazione fisica può essere fornita solo da una solida forza internazionale di mantenimento della pace, che deve essere rapidamente disponibile.
L’Ue dispone di uno strumento adeguato per stabilire una zona cuscinetto tra GNA e l’LNA con un preavviso molto breve: i gruppi tattici dell’Ue (EUBG).
Gli EUBG sono forze di reazione rapida delle dimensioni di una brigata in stand-by per un periodo di sei mesi su base rotazionale.
Si basano sul principio della multinazionalità, ma il nucleo è generalmente fornito da una nazione quadro. Sono addestrati per l’intero spettro di compiti delle forze di combattimento nella gestione militare delle crisi e devono essere schierati sotto un mandato delle Nazioni Unite. Dal 1 luglio un EUBG anfibio a guida tedesca e uno italo-spagnolo sono in stand-by. Il terreno a ovest di Sirte è caratterizzato da un deserto con alcune saline e due corsi d’acqua più grandi nella direzione sud-nord. I compiti militari per le forze di pace includeranno l’istituzione e l’applicazione di una zona cuscinetto nonché la sorveglianza dei movimenti di truppe nelle vicinanze di questa zona.Naturalmente, la forza dell’Ue avrebbe bisogno anche di una componente aerea e marittima, che potrebbe concretizzarsi con il conferimento di un mandato – questa volta serio – e con compiti realmente coercitivi, nella continuazione dall’operazione Irini.Naturalmente, ci sono alcune condizioni preliminari oltre a quella di un mandato delle Nazioni Unite a copertura giuridica della missione militare. Inizialmente sarà necessario concordare un cessate il fuoco e tutte le parti in causa devono dare il loro consenso allo spiegamento delle forze dell’Ue. I contendenti sul terreno devono concordare di ritirare la maggior parte delle loro forze dalla vicina zona cuscinetto dopo l’arrivo dell’EUBG. Alla fine si dovrebbe prendere in considerazione l’istituzione di una zona di non volo intorno a Sirte (no fly zone), che potrebbe essere implementata con velivoli in volo dalla Sicilia o da Malta e dalle unità navali, in tal senso una portaerei italiana sarebbe un segnale di vitalità eccezionale. La strategia di uscita per l’impegno militare dell’Ue in Libia dovrebbe prevedere il ritiro delle forze di terra al più tardi due anni dopo le elezioni in tutta la Libia. Tale missione non sarebbe senza rischi politici e militari, infatti lo spiegamento di una forza d’interposizione potrebbe essere un passo avanti verso una divisione di fatto della Libia tra la Turchia e i sostenitori del LNA, compresa la Russia.
La forza dell’Ue potrebbe essere soggetta ad attacchi diretti da parte di uno dei numerosi gruppi terroristici attivi principalmente nella Libia occidentale e meridionale, compresi gli affiliati IS, AQIM, Ansar Al-Sharia e AQ.
Inoltre, alcuni sostenitori della linea dura, magari dalla parte deli mercenari turcomanni pagati da Erdoğan, potrebbero ritenere che l’Ue stia sottraendo loro la vittoria e venendo così indotti a prendere di mira direttamente la forza dell’Ue per intimidirle.
Nonostante i rischi, il dispiegamento di una forza militare per garantire un cessate, il fuoco renderebbe l’Ue un attore serio in un teatro operativo di fondamentale importanza per l’intera Europa.
Nel sud del Libano una forza d’interposizione tra Hezbollah e Israele riesce da anni (sotto guida italiana) a mantenere l’ordine e il rispetto del mandato Onu. Una simile operazione, quindi, offrirebbe l’opportunità di bilanciare o addirittura limitare l’influenza di Turchia e Russia qualora il LNA non avesse bisogno dei mercenari russi da contrapporre ai tagliagole inviati da Ankara.
Infine la stabilizzazione del conflitto sulla linea Sirte-Al Jufra servirebbe all’Egitto, dato che impedirebbe l’avanzata dei gruppi islamisti nella Cirenaica. Mantenere un punto d’appoggio a est di Tripoli sarebbe probabilmente anche “sufficiente” per la Russia, a similitudine di quanto avviene in Siria. Un cessate il fuoco duraturo potrebbe essere accettabile anche per la Turchia, a condizione che la Cirenaica non si spezzasse in due. Sebbene in qualche modo promuovere la posizione turca in Libia non sia nell’interesse europeo, sarebbe difficile, quasi impossibile, far uscire la Turchia dalla Libia senza l’uso della forza e questo è fuori discussione per l’Europa. Pertanto ha più senso che l’Ue diventi un attore credibile in Libia, da solo senza appoggio fattivo della NATO che sopporta a fatica, ma comunque sopporta, il suo membro neo-ottomano, impegnandosi seriamente e ricordando che entrambe le parti in causa dipendono comunque dai loro sostenitori internazionali. Un tale cessate il fuoco potrebbe essere stabilito sulla base di una pace globale in concomitanza della crisi da Covid-19. Forse è arrivato il momento di dimostrare l’utilità di avere l’Ue come attore credibile in Libia, malgrado il coronavirus ne abbia distolto l’attenzione dei governi europei, preoccupati anche dei costi dell’operazione.Purtroppo da Tripoli per l’Italia non arrivano buone notizie. Recentemente gli uomini della Missione militare italiana (Miasit), sono stati disarmati perché i libici non li hanno autorizzati, un chiarissimo avvertimento del fatto che i turchi non ci vogliono in Libia, in particolare a Misurata, dove Ankara è interessata sia all’aeroporto che al nostro ospedale da campo. In tale contesto, nel pomeriggio del 30 luglio un Hercules C-130 decollato da Pisa San Giusto è atterrato sulla pista di Misurata con una trentina di soldati italiani a bordo (militari del Policlinico militare del Celio e della Brigata Alpina Julia), ma a questi ultimi le autorità libiche hanno negato l’autorizzazione allo sbarco, in quanto formalmente mancava sui loro passaporti il visto d’ingresso. Sei militari sono potuti scendere, però altri diciassette sono stati costretti a fare ritorno in Patria.Va rammentato che in Libia l’Italia schiera 400 uomini, 142 veicoli, 2 mezzi aerei e una nave, quest’ultima all’ancora nel porto di Tripoli in appoggio alla guardia costiera locale nel contrasto del fenomeno dell’immigrazione (le partenze dei gommoni). La mancanza di una credibile politica estera ha creato quindi questo caso di respingimento senza scrupoli, ridicolo e al tempo stesso umiliante.