di Vittorfranco Pisano(*), pubblicato su “Affari Esteri”, n.180/Primavera 2017 – La «sicurezza», nel significato concreto del termine, non consiste nell’utopistica assenza di pericoli, bensì nella capacità di far fronte a situazioni e fenomeni potenzialmente o effettivamente portatori di nocumento alla sicurezza nazionale, spesso direttamente connessa con quella internazionale.
Nel mondo contemporaneo gravissima è la minaccia posta alla sicurezza dalle varie forme di conflittualità non convenzionale che, per sua natura, esula tanto dalla controversia ordinata, civile e democratica quanto dal classico campo di battaglia subordinato ai dettami del diritto internazionale di guerra e del diritto umanitario.
Fra le manifestazioni di conflittualità non convenzionale attualmente in corso, si annoverano molteplici flussi migratori privi di controllo e di regolamentazione prodotti da fattori sociali, economici e politici e, contemporaneamente, facilitati dal progresso tecnologico nei trasporti e nelle telecomunicazioni.
Ne consegue la vanificazione dell’apporto positivo che l’immigrazione è spesso capace di elargire, come attestato dalla storia, all’area geografica di destinazione o alla comunità nazionale di accoglienza.
Un esempio dell’arricchimento culturale e materiale ascrivibile al fenomeno migratorio è dato dagli Stati Uniti, dove è significativo il contributo dell’immigrazione italiana nelle arti, nelle scienze ed in ogni altro settore dello sviluppo statunitense.
Per contro, allorché non regolamentata e quindi clandestina o comunque illecitamente condotta, l’immigrazione di masse di persone inquadrabili, a seconda dei casi, come profughi (coloro che espatriano a causa di fatti bellici, malessere economico o catastrofi naturali) o come rifugiati (coloro perseguitati nel proprio Paese per motivi di religione, etnia, razza o simili motivi e, pertanto, tutelati dalla Convenzione di Ginevra del 1951) comporta seri problemi per la sicurezza nei settori dell’ordine pubblico interno, dell’ordine pubblico internazionale, dei diritti umani e dei rapporti bi-nazionali e multi-nazionali.
Numerosi sono i rischi per l’ordine pubblico interno. Da un lato, si annoverano, a scapito della serena ed efficiente pubblica amministrazione, conflitti tra l’impostazione delle autorità governative centrali e quella di enti periferici o locali nella politica di gestione dell’ospitalità.
Dall’altro lato, si verifica la degenerazione dell’attivismo sia contrario sia favorevole all’accoglienza, come dimostrato dal sorgere o rafforzamento di partiti o movimenti xenofobi, razzisti o anti-islamici; da blocchi per impedire l’accesso alle strutture di asilo; da dimostrazioni di piazza moleste e violente da parte di estremisti di entrambi i campi, inclusi scontri tra loro o di uno o l’altro con le forze dell’ordine; e da abusi fisici ai danni di espatriati sia profughi che rifugiati.
Ulteriori problemi per l’ordine pubblico interno riguardano sia l’insidiosa infiltrazione della criminalità organizzata con lo scopo di sfruttare gli immigrati introducendone un numero sostanzioso nel mercato del lavoro nero o della prostituzione ed in altri circuiti illeciti, sia il verificarsi di corruzione e truffe nella gestione delle strutture di accoglienza.
A queste problematiche, attinenti all’ordine pubblico interno, si aggiungono comportamenti reprensibili da parte di immigrati che rifiutano l’ospitalità in ambienti destinati all’accoglienza lamentando l’ubicazione fuori città oppure opponendosi alla collocazione con altri immigrati di diversa nazionalità; che abbandonano, rendendosi irreperibili, i centri di accoglienza senza attendere l’esito dell’istanza per l’ottenimento dello status di rifugiato; che, dopo aver rifiutato sistemazioni offerte dai servizi sociali, occupano abusivamente immobili pubblici o privati; che danno vita ad accampamenti improvvisati aggravati dall’assenza di adeguate condizioni igieniche; che pretendono, con arroganza, particolari trattamenti alimentari; che rifiutano possibilità di lavoro di rilevanza sociale; o che pongono in essere blocchi stradali, violenze di svariata natura, risse nei centri di accoglienza e scontri con le forze di polizia.
La minaccia posta dall’immigrazione non regolamentata nei confronti, a sua volta, dell’ordine pubblico – e della salute pubblica – internazionale non è priva di nessi con l’ordine pubblico interno, come dimostrato da mirate reti criminali con ramificazioni che valicano i confini nazionali.
Risalta il traffico di esseri umani, il quale non soltanto coinvolge per i percorsi marittimi i cosiddetti «scafisti» e per l’attraversamento frontaliero terrestre altri trasportatori, in ambedue i casi con relativi “tariffari”, ma comporta altresì il pagamento di «pizzi» imposto sui “corridoi di transito” per raggiungere il mezzo finale di trasporto; la falsificazione, su mercede, di documenti (carte d’identità, passaporti, certificati sanitari, permessi di soggiorno e contratti di lavoro) accompagnata da corruzione di pubblici ufficiali in vari Paesi; matrimoni combinati con cittadini residenti nel Paese di destinazione per ottenere l’ingresso e l’eventuale successivo divorzio, altrettanto combinato, con viaggio nel Paese di origine; e i non disinteressati “punti di contatto da sponda a sponda”. Tutto ciò fatalmente include il rischio di diffusione di malattie per via transfrontaliera.
Con riguardo ad entrambi l’ordine pubblico interno e quello internazionale non può essere trascurato il rischio del terrorismo ricollegabile, seppure per ora in via prevalentemente in-diretta, all’immigrazione non controllata.
Nella quasi totalità degli attentati terroristici commessi o tentati in Europa e negli Stati Uniti da individui aventi recenti origini migratorie, si è trattato di personaggi di “seconda generazione” che rifiutano la cultura e le norme di convivenza della terra di accoglienza del genitore o genitori piuttosto che di nuovi arrivati[1].
Non va, però, dimenticato che la storia illustra casi di migrazione promossa e utilizzata come strumento da chi è in grado di dirigerne il flusso verso un determinato Stato per attentare alla sua funzionalità o per generare al suo interno scontri di natura culturale o ideologica a scapito della coesione o stabilità sociale e dell’integrità territoriale.[2].
Inoltre, autorevoli fonti istituzionali hanno confermato che il traffico di migranti è presentemente usato anche per finanziare e assicurare l’infiltrazione e l’esfiltrazione di terroristi[3] e che, a causa del rischio, la guardia ai fini della prevenzione è alta[4].
Del resto, a prescindere da disegni d’infiltrazione terroristica, si possono riscontrare fra gli immigrati vari soggetti sfruttabili.
Si tratta di immigrati le cui aspettative disattese, seppure impostate su aspirazioni illusorie, li inducono a rivoltarsi autonomamente contro lo Stato ospitante oppure immigrati reclutabili da aggregazioni eversive per svolgere funzioni logistiche od operative aventi fini di sobillazione o terrorismo.
L’immigrazione non regolamentata minaccia, altresì, la tutela dei diritti umani in assenza della quale non può esserci sicurezza.
Numerosi sono gli abusi che spaziano da condizioni in-salubri di viaggio (ulteriormente aggravate dai frequenti naufragi) a maltrattamenti nel corso del trasporto e da casi di abbandono di minori non accompagnati a episodi di asportazione di organi di migranti di ogni età.
Infine, la minaccia alla sicurezza posta dal fenomeno migratorio indisciplinato, con particolare riferimento ai flussi che attualmente percorrono le rotte balcanica e mediterranea, incide sui rapporti fra Stati dando vita a contrasti e screzi che abbracciano diverse fattispecie.
Una fonte di contrasto, quantomeno nelle relazioni bi-nazionali, è attribuibile a l’erezione, compiuta o progettata, di mura o barriere per condizionare l’ingresso.
Rientrano nella casistica europea afferente il millennio in corso l’Ungheria con riguardo alle proprie frontiere con la Serbia, la Croazia e la Romania; la Slovenia con la Croazia; la Bulgaria con la Turchia; l’Estonia con la Russia; la Macedonia con la Grecia; l’Austria e la Francia con l’Italia (rispettivamente Brennero e Ventimiglia); e il Regno Unito con la Francia (Calais). Fuori dell’Europa, Stati che hanno eretto barriere sono gli Stati Uniti con il Messico e Israele con la Cisgiordania[5].
Contribuiscono, altresì, all’inasprimento dei rapporti multinazionali tanto l’intensificazione dei controlli ai varchi delle frontiere (inclusa la sospensione temporale degli accordi di Schengen sulla libera circolazione) come esemplificato dalle recenti iniziative disgiuntamente adottate da Germania, Austria, Francia, Norvegia e Svezia, quanto il ricorso a quote di accoglienza, provvedimento favorito da Italia e Grecia (nazioni palesemente frontaliere nel quadro dell’Unione europea) e contestato da Paesi quali gli appartenenti al Gruppo Visegrad.
Né va tralasciata la proferita minaccia da parte della Turchia – come strumento di pressione per ottenere l’accesso senza visto d’ingresso per i suoi cittadini – di aprire le proprie frontiere a immigranti extracomunitari intenti a raggiungere l’Unione Europea.
A prescindere dall’elevato onere finanziario relativo all’accoglienza[6], le problematiche sommariamente su esposte sono indicative delle difficoltà che l’esodo di masse di profughi o rifugiati può creare per i Paesi di destinazione.
Particolarmente preoccupante è l’impatto delle migrazioni sulla società ricevente quando mette a repentaglio l’identità nazionale e la pace sociale a causa di pulsioni disgregative culturali e religiose.
Mentre sarebbe illusorio ritenere che l’immigrazione irregolare sia del tutto frenabile[7] le problematiche connesse al fenomeno migratorio comportano la necessità da parte dei singoli Stati riceventi od ospitanti di monitorare il territorio ed i confini nazionali onde poter prevenire o intervenire in tempo utile per garantire la propria sicurezza pur nell’ampio rispetto della solidarietà e dei diritti umani.
Questo compito richiede la spesso non facile identificazione dei migranti con riguardo alla loro età, stato di famiglia, cittadinanza e occupazione, nonché al luogo specifico di provenienza e alla specifica motivazione migratoria.
L’identificazione deve essere necessariamente seguita dalla registrazione e dalla segnalazione a tutte le autorità nazionali competenti.
L’impegno dei singoli Stati non è, comunque, sufficiente poiché nessun Paese può unilateralmente risolvere il problema migratorio. È pertanto imprescindibile la collaborazione fra Stati e, particolarmente, il coinvolgimento dei Paesi di arrivo e di partenza dei migranti.
La collaborazione internazionale deve mirare all’adozione di rimedi e misure quali il coordinamento di quote di accoglienza, la pianificazione di una sufficiente integrazione dei migranti aventi diritto di asilo, gli investimenti e le iniziative di sviluppo nelle nazioni di provenienza per frenare flussi incontenibili e gli accordi di rimpatrio di migranti macchiatisi di reati.
(*) Vittorfranco Pisano, colonnello t.IASD di Polizia Militare dello US Army (Ris.), è attualmente Segretario Generale dell’Albo Nazionale Analisti Intelligence, docente nel master universitario di II livello in Scienze Informative per la Sicurezza presso l’Università E-Campus e Presidente della Commissione Contrasto al Terrorismo del Comitato Atlantico Italiano.
È stato consulente della Sottocommissione sulla Sicurezza e Terrorismo del Senato degli Stati Uniti e revisore dei corsi nell’ambito de Programma di Assistenza Anti Terrorismo del Dipartimento di Stato statunitense.
La sua ultima pubblicazione monografica è stata: Italia e Stati Uniti. Terrorismo e disinformazione (Nuova Cultura, Roma, 2016).
[1] Per una disamina sul terrorismo che oggi affligge anche i Paesi ad alto sviluppo politico, vedi Vittorfranco Pisano, “Radicalismo Religioso e Terrorismo Contemporaneo”, Affari Esteri, N. 176, Primavera 2016 e stesso autore, “Radicalizzazione e Terrorismo nel Contesto Internazionale”, Affari Esteri, N. 177, Estate 2016.
[2] Vedi Kelly M. Greenhill, Weapons of Mass Migration, Cornell University Press, Ithaca, New York, 2010. Quest’opera riguarda il periodo1951-2006, pertanto in piena attualità.
[3] Michèle Coninsx, Presidente dell’Eurojust ovvero l’Unità di cooperazione giudiziaria europea, citato in ANSA, 6 Luglio 2015, ore 16:16.
[4] Relazione del Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza (Italia) citata da “Il Giornale”, 28 Febbraio 2017, p. 19. Vedi, altresì, le dichiarazioni rilasciate da Alessandro Pansa, Direttore Generale del predetto Dipartimento a “La Stampa”, 31 Gennaio 2017, p. 6.
[5] Sulla continuità del ricorso a barriere già prima del corrente millennio basta ripercorrere la storia partendo dalla creazione della muraglia cinese del III secolo a.C. fino all’allestimento, nel 1961, della “linea verde” sull’isola di Cipro e del “muro di Berlino”.
[6] Per fronteggiare le relative spese Svizzera e Danimarca hanno ritenuto opportuno ricorrere anche al discusso prelievo di beni appartenenti ad immigrati.
[7] Per una concisa e allo stesso tempo esauriente analisi concernente la permeabilità e mutabilità dei confini nel senso più vasto del termine, vedi Manlio Graziano, Frontiere, Il Mulino, Bologna 2017.