Una comunità chiusa, quella bangladese, che al proprio interno comprende una stragrande maggioranza di persone oneste – seppure spesso integrate in un sistema parallelo caratterizzato dall’autoreferenzialità e non infrequentemente privi dei requisiti per la permanenza in Italia –, ma anche soggetti dediti ad attività illecite.
Una comunità “giovane” dal punto di vista della sua profilatura criminale, un aspetto questo che dovrà necessariamente essere approfondito nel prossimo futuro.
Nell’ambito del più ampio contesto investigativo coordinato della Procura della Repubblica di Roma, si è iniziato ad approfondire alcuni profili legati al radicamento di una comunità della quale si registra una veloce crescita a dismisura della presenza sul territorio nazionale italiano, in particolare nella città di Roma e nei suoi dintorni.
Per la prima volta in casi del genere è stato contestato il reato di “sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte”, infatti, a differenza di quanto verificatosi in passato con appartenenti ad altre comunità di immigrati in Italia, che non infrequentemente non presentavano una dichiarazione dei redditi allo Stato ospite – e ai quali veniva dunque contestata tale omissione -, nella specificità bangladese è stato riscontrato che, spesso, la dichiarazione dei redditi veniva sì presentata, ma soltanto perché si configurava come strumentale al rinnovo del permesso di soggiorno dell’immigrato.
Una pratica che nel tempo ha comportato numerose iscrizioni a ruolo da parte dell’Agenzia delle Entrate, seppure, di fatto, alla fine le imposte dovute all’Erario non venivano quasi mai versate.
I mancati contribuenti, infatti, non avevano alcun interesse a farlo, poiché non risultavano proprietari di beni sui quali lo Stato italiano potesse poi rivalersi, né erano titolari di conti correnti bancari, inoltre svolgevano tutte le loro operazioni economiche, anche quelle di minima entità, mediante l’impiego di denaro contante.
Infine, in buona parte dei casi il denaro guadagnato in Italia, appena possibile lo trasferivano al loro paese di origine sotto forma di rimesse, una movimentazione di denaro che spiega l’enorme flusso finanziario verso l’estero originante dalla comunità bangladese.
Nella mattinata di oggi il Nucleo speciale di polizia valutaria della Guardia di finanza di Roma, nell’ambito di una più ampia attività investigativa ha dato esecuzione a un’ordinanza di sequestro preventivo emessa dal Tribunale della capitale, avente a oggetto uffici e beni di un istituto di pagamento e sei agenzie di money transfer, tutte con sede nella città e gestite da cittadini di nazionalità bangladese, persone ritenute responsabili di aver reiteratamente violato gli obblighi antiriciclaggio di verifica e identificazione dei propri connazionali, all’atto del trasferimento delle rimesse di denaro verso il paese di loro origine.
Le investigazioni avevano già portato nel luglio 2019 allo smantellamento di uno strutturato sodalizio criminale composto da immigrati bangladesi, finalizzato a favorire, a scopo di profitto, la permanenza illegale sul territorio italiano di propri connazionali (ma non solo di essi), violando i presupposti giuridici per il rilascio e/o il rinnovo del permesso di soggiorno.
I focus è stato concentrato sulle modalità di trasferimento del denaro verso il Paese asiatico, nel 2019 risultato per il secondo anno consecutivo quello di maggiore destinazione delle rimesse tramite il circuito money transfer, per un importo di 856 milioni di euro, dunque il triplo del volume dei flussi finanziari registrati nei dieci anni precedenti.
I militari delle Fiamme gialle hanno monitorato e analizzato 24.000 operazioni riferite a complessivi 90 milioni di euro di rimesse verso il Bangladesh, trasferiti in un arco temporale di tre anni – dal 2016 al 2018 – per il tramite di una società attiva sul territorio italiano ma controllata da un socio unico statunitense e amministrata da cittadini bangladesi.
Essa, operante a Roma e risultata iscritta nell’albo della Banca d’Italia tra gli istituti di pagamento, forniva servizi soprattutto a cittadini bangladesi immigrati attraverso la propria capillare rete di sportelli money transfer, una trentina.
Attraverso una serie di intercettazioni telefoniche, riscontri documentali, appostamenti, pedinamenti, video sorveglianze e l’incrocio di plurime segnalazioni di operazioni sospette, sono stati ricostruiti trasferimenti illeciti per un ammontare di venti milioni di euro (si tratta del 22% circa del totale analizzato), posti in essere dai titolari delle agenzie mediante un sistematico aggiramento della soglia di legge antiriciclaggio prevista per i money transfer in mille euro.
Il meccanismo fraudolento era il seguente: la somma totale che il cliente intendeva trasferire a un determinato beneficiario estero veniva frazionata in più importi, generalmente di massimo 999 euro, attribuendo fittiziamente la titolarità dell’operazione a terzi ignari – familiari, amici o conoscenti, in ogni caso persone compiacenti in massima parte prive di reddito -, ovvero ricorrendo all’utilizzo di più circuiti money transfer.
In tal modo, nei data base dell’istituto di pagamento e degli agenti venivano registrate informazioni non veritiere o del tutto false, tese a ostacolare gli eventuali controlli effettuati dalle Autorità nonché la ricostruzione dei flussi finanziari movimentati dai reali mittenti.
Si è trattato nella maggior parte di casi di somme di denaro accumulate da commercianti bangladesi nella città di Roma, dove negli ultimi anni è stato registrato un significativo incremento della presenza di imprese gestite da immigrati dal Bangladesh, in particolare attive nel settore del commercio e dei servizi, come minimarket aperti h24 e autolavaggi.
Nel 2019, nella provincia di Roma erano concentrati oltre il 40% del totale delle imprese riconducibili a cittadini bangladesi. In questo contesto, a fronte di consistenti operazioni frazionate verso l’estero, sono emersi sistematici omessi versamenti delle imposte con iscrizioni a ruolo dei relativi debiti tributari, pur in presenza delle relative dichiarazioni dei redditi.
Sono stati appurati debiti erariali variabili che raggiungevano anche importi superiori a 300.000 euro. Così operando, i commercianti immigrati dal Bangladesh, privi di qualsiasi altro bene mobile e immobile sui quali lo Stato potesse rivalersi, hanno sottratto alla possibile esecuzione forzata dell’Erario le uniche disponibilità finanziarie disponibili, costituite da denaro contante – che di per sé non è tracciabile – trasferito fraudolentemente all’estero tramite agenzie di money transfer.
Con il sequestro preventivo effettuato oggi viene resa impossibile la reiterazione del reato ascritto ai sette operatori finanziari in predicato, sottoponendo a vincolo cautelativo gli uffici, i beni strumentali e i contratti in essere per l’espletamento dell’attività finanziaria, segnalando inoltre le condotte illecite alla Banca d’Italia e all’Organismo degli Agenti e dei Mediatori, quali organismi di vigilanza di settore.