INTELLIGENCE, guerra non convenzionale. Conflittualità e operazioni speciali

Fin dalla Guerra Fredda sono prevalsi i conflitti a bassa intensità, le cui numerose fattispecie e l’abituale opacità operativa spesso hanno reso arduo tanto l’inquadramento dei casi specifici, quanto la riconduzione dei singoli atti ai soggetti responsabili

di Vittorfranco Pisano (*), pubblicato sulla rivista  Affari Esteri, nr. 166/2012 – Rientra in una consuetudine, ormai consolidata, la classificazione dei conflitti armati secondo tre livelli: ad alta intensità, ovvero guerra nucleare e guerra convenzionale generale; a media intensità, ovvero guerra convenzionale limitata e interventi militari unilaterali; a bassa intensità, cioè guerriglia e contro-guerriglia, terrorismo e contro-terrorismo, operazioni speciali – talvolta denominate chirurgiche – e dispiego dimostrativo o intimidatorio di formazioni militari terrestri, marittime o aeree.

Sin dall’era della Guerra Fredda, arena di confronto e scontro quarantennale, prevalgono i conflitti a bassa intensità, le cui numerose fattispecie e abituale opacità operativa spesso rendono arduo tanto l’inquadramento dei casi specifici, quanto l’imputazione dei singoli atti ai soggetti resisi responsabili, specialmente quando si tratta di operazioni speciali.

La particolarità di questa sfida analitica è illustrata da una serie di eventi, ancorché non innovativi, verificatisi recentemente.

Nel biennio gennaio 2010 – gennaio 2012, sono stati uccisi, nel loro Paese ed in momenti diversi, quattro scienziati nucleari iraniani, tre dei quali soppressi con esplosivi ed uno con armi da fuoco. Un quinto è rimasto ferito nell’aggressione. Nello stesso periodo, infrastrutture e impianti riguardanti il programma nucleare iraniano hanno subito sabotaggi effettuati sia con esplosivi, sia con virus informatici “Stuxnet” e “Duqu”.

Tre scienziati nucleari iraniani erano già stati uccisi in attentati risalenti rispettivamente al 2001, 2007 e 2009. Inoltre, a novembre 2011, un’esplosione, riportata dalla stampa come “sospetta” o “misteriosa”, ai danni di una base missilistica aveva causato la morte di 17 persone, incluso un ufficiale generale considerato “pioniere” nello sviluppo missilistico iraniano strettamente connesso a quello nucleare.

Il 13 febbraio 2012, vetture appartenenti a diplomatici israeliani sono state il bersaglio di attentati con esplosivi in India, a Nuova Delhi, ed in Georgia, a Tiblisi. Nel primo caso, è rimasta ferita la moglie dell’addetto militare, mentre nel secondo l’ordigno è stato scoperto e disattivato. Il giorno successivo, in Tailandia, a Bangkok, un iraniano è stato arrestato dopo essersi ferito mentre confezionava, assieme a connazionali, esplosivi apparentemente intesi a colpire obiettivi israeliani.

Nei predetti casi, Iran ed Israele si sono scambiati accuse di responsabilità o, quantomeno, di complicità. L’Iran, in via estensiva, ha anche accusato gli Stati Uniti quale alleato d’Israele.

Fonti aperte di varia provenienza riferiscono che il ricorso ad attentati mirati posti in essere da vari stati nell’interesse nazionale, o del regime al potere, si verificano già da tempo con l’impiego dei propri sevizi d’intelligence o, in alternativa, per il tramite di elementi terroristici o di altra natura reclutati sfruttando motivazioni ideologiche o semplicemente venali.

A prescindere dall’attendibilità degli specifici resoconti, l’asserita casistica riguardante Israele è notevole. Due operazioni isolate, contro elementi fedayin, risalirebbero agli anni cinquanta.

Operazioni sistematiche sarebbero poi scattate in reazione alla strage di undici atleti israeliani perpetrata durante le Olimpiadi di Monaco, nel 1972, da terroristi palestinesi aderenti a Settembre Nero, emanazione di Fatah.[1]

Le operazioni israeliane più recenti, anche denominate esecuzioni stragiudiziali, avrebbero avuto come obiettivo terroristi e loro ispiratori appartenenti prevalentemente alle aggregazioni politico-religiose Jihad Islamica Palestinese e Hamas. Per il solo periodo 9 dicembre 1987 – 30 aprile 2001, vengono citate 174 esecuzioni stragiudiziali ad opera dei servizi d’intelligence o reparti speciali di Tel Aviv.[2]

A titolo di esempio, vanno ricordati analoghi interventi in chiave anti-terroristica attribuiti a squadroni della morte sudafricani, colombiani e spagnoli sotto l’asserita direzione, o con il sospettato coinvolgimento, dei rispettivi governi. Nel caso della Spagna, i responsabili si “firmavano” Antiterrorismo ETA, Alleanza Apostolica Anticomunista, Battaglione Basco Spagnolo e Gruppo Antiterrorista di Liberazione, quest’ultimo responsabile della morte di 27 separatisti baschi in Spagna e Francia nel periodo 1983-87.[3]

Secondo notizie riportate nella saggistica in modo particolarmente succinto, operazioni speciali, ancorché non letali, sarebbero state altresì orchestrate da organismi d’intelligence italiani a Vienna ed Innsbruck, sotto forma di esplosioni ai danni di beni materiali austriaci, allo scopo di intimidire sostenitori dei terroristi altoatesini miranti alla separazione dall’Italia. Un altro episodio riguarderebbe un’azione di rappresaglia – non è chiaro se mortale – eseguita in Egitto, al Cairo, contro un cittadino congolese reo di aver torturato, ammazzato e fatto scempio dei cadaveri degli avieri italiani trucidati a Kindu, nel 1961, mentre impiegati in un’operazione di soccorso umanitario nell’allora Congo, oggi Zaire.[4]

Rientrano parimenti nella casistica le uccisioni mirate contro terroristi appartenenti ad al-Qaida e ad altre organizzazioni e formazioni jihadiste poste in essere dagli Stati Uniti all’estero, con l’impiego, a seconda dei casi, di velivoli senza pilota – drones – o con l’invio di squadre delle forze speciali. Soltanto in Pakistan se ne conterebbero 71, eseguite dall’aria, dal 18 giugno 2004 all’11 giugno 2012.[5] Altri casi significativi di eliminazione fisica sono l’uccisione, con uso di drone, del jihadista di cittadinanza statunitense Anwar al-Awlaki, a settembre 2011, nello Yemen, e la più ardita uccisione, con l’impiego degli incursori di marina, di Osama bin Laden, in Pakistan, a maggio dello stesso anno.

Di maggiore complessità, sempre nel contesto delle operazioni speciali, è il ruolo svolto dall’Iran, il quale è ininterrottamente elencato dal 19 gennaio 1984 nella lista degli stati sostenitori del terrorismo – terrorism list – redatta dal governo degli Stati Uniti.

Essa enumera stati che elargiscono ad aggregazioni terroristiche sostegno politico e diplomatico, rifugio ed asilo, sostentamento logistico e finanziario nonché addestramento.

Nella narrativa statunitense, l’Iran – il cui regime teocratico fondato dall’Ayatollah Khomeini è d’impostazione islamico-sciita – funge da sostenitore di Hizballah, aggregazione radicale islamico-sciita libanese, nonché di Hamas e Jihad Islamica Palestinese, entrambe aggregazioni radicali islamico-sunnite palestinesi, e delle Brigate dei Martiri di al-Aqsa e del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina Comando Generale, ambedue aggregazioni laiche palestinesi.[6]

Poiché tale sostegno rispecchierebbe motivi di egoistica convenienza nel perseguimento dei fini di politica estera iraniani, non sorprende l’assenza di uno stretto legame ideologico da parte del regime iraniano sciita con elementi terroristici sunniti ed anche con quelli laici.

Oltre all’asserito ruolo di stato sostenitore di aggregazioni terroristiche, l’Iran viene ripetutamente riportato come mandante, ispiratore o agevolatore di attentati a sfondo politico-religioso contro propri cittadini dissidenti riparatisi all’estero nonché contro persone e attività considerate “perverse” secondo la visione teologica del regime.[7]

Risaltano le minacce e gli attentati rivolti non solo al cittadino britannico di origine pachistana Salman Rushdie, autore del romanzo I Versi Satanici, ma anche ai traduttori, editori e distributori dell’opera.

Vengono similmente attribuite ai servizi d’intelligence iraniani la pianificazione e la supervisione diretta di attentati ai danni di personale ed installazioni appartenenti ad altri stati. I relativi casi spazierebbero da un attacco dinamitardo perpetrato a Francoforte, nel 1985, contro lo spaccio – Post Exchange –, a disposizione delle truppe statunitensi e delle loro famiglie di stanza in Germania, al recente attentato fallito a Washington, nel 2011, contro l’ambasciatore saudita presso gli Stati Uniti.[8]

Sotto l’aspetto delle finalità, è analiticamente opportuno distinguere tra operazioni speciali con propositi terroristici o di appoggio al terrorismo ed operazioni speciali chirurgiche, intese a contrastare sia il terrorismo, sia altre minacce di pari o maggiore gravità alla sicurezza nazionale. Le attribuzioni di responsabilità rivolte al governo iraniano rientrerebbero nel primo caso, mentre  quelle rivolte al governo israeliano nel secondo.

Il criterio ispiratore della politica di difesa e sicurezza nazionale dello Stato ebraico poggia sulla convinzione di lottare per la sopravvivenza contro stati ostili e, contemporaneamente, contro aggregazioni non statali, spesso terroristiche, sostenute da stati predisposti ad avvalersi di forme di aggressione inquadrabili in ognuno dei tre livelli d’intensità della conflittualità armata sopra ricordati. Oltre ad uccisioni mirate e clandestinamente eseguite contro specifici terroristi o loro mandanti, Israele si è ripetutamente avvalso delle forze armate per operazioni preventive.

Significativi precedenti includono le incursioni che hanno neutralizzato il reattore nucleare iracheno di Osirak, nel 1981, la contraerea siriana nella Valle della Bekaa, nel 1982, il quartier generale dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, nel 1985, all’epoca impiantato in Tunisia, e un reattore nucleare siriano, nel 2007.

L’apprensione dovuta alle mire di politica estera iraniane, percepite come protese verso l’egemonia regionale, nonché l’acquisizione dell’arma nucleare e l’annientamento di Israele e della stirpe ebraica – fra l’altro in costanza di manifestazioni intimidatorie con il  dispiego di forze navali – spiegherebbero la possibile impronta israeliana nelle su riportate operazioni chirurgiche nei confronti dei programmi nucleari e missilistici iraniani. Il ricorso alle operazioni speciali clandestine rispecchierebbe, quindi, l’alternativa adottata da Israele in considerazione della difficoltà di colpire militarmente i siti di approntamento nucleare prudentemente dislocati dal governo di Teheran sul territorio nazionale per ridurne la vulnerabilità.

Per Israele, il problema causato dello spargimento dei siti è peraltro aggravato dalla distanza geografica che l’aeronautica israeliana dovrebbe percorrere per via aerea, dalla difficoltà di rifornimento di carburante in volo e dalla necessità di neutralizzare le difese antiaeree.

A causa della clandestinità inerente alle operazioni speciali nonché del loro impiego, sia da parte di stati sovrani che di aggregazioni non statali, in numerosi casi non è comunque agevole risalire con assoluta certezza alla specifica paternità.

Va ricordato, ad esempio, che già in passato vigeva incertezza riguardo uccisioni che potevano essere imputabili sia a cruente faide interne palestinesi, sia ad operazioni chirurgiche israeliane nei confronti di terroristi appartenenti alle autodefinitesi organizzazioni resistenziali palestinesi.[9]

Analoghi dubbi possono sorgere oggi in relazione a sanguinosi eventi, frequentemente qualificati come terroristici, che da diversi anni si verificano in Iran nel contesto di dissidi tra maggioranza sciita e minoranza sunnita, tra l’etnia persiana e quella minoritaria curda e tra forze di regime e quelle non tollerate di opposizione.

Difficile stabilire se e quando dietro tali episodi violenti vi sia la mano clandestina d’Israele.

Va ulteriormente tenuto presente che il ricorso alle operazioni speciali richiede attenta e minuziosa valutazione da parte di qualsiasi stato rispettoso dei diritti umani, visto che tali operazioni possono produrre risultati non voluti e profondamente gravi, particolarmente in termini di vittime umane collaterali o di errori sull’identità del bersaglio perseguito.

I risultati possono, inoltre, rivelarsi controproducenti, in quanto talvolta generatori di risentimenti e di reazioni violente anche in aree diverse dal luogo dove si sono svolte.

Da notare che, nel 1996, Israele, pur non essendosi mai assunta alcuna responsabilità specifica in merito, è addivenuta ad una transazione con i familiari di un cittadino marocchino ucciso per errore, nel 1973, in Norvegia, in circostanze simili a quelle di precedenti esecuzioni stragiudiziali.[10]

Nel 1997, si è poi verificato il clamoroso attentato fallito nei confronti di un rappresentante della struttura politica di Hamas, in Giordania, con la conseguente cattura di due israeliani e ulteriori imbarazzi per Tel Aviv, costretta a scarcerare Ahmed Yassin, capo spirituale di Hamas, in cambio dei due cittadini israeliani.[11]

Sono quindi state espresse da più parti sia riserve, sia critiche e condanne nei riguardi delle esecuzioni stragiudiziali.[12]

Mentre è di competenza del giurista imparziale il giudizio definitivo sulla legittimità dell’impiego di operazioni speciali clandestine all’estero, in particolar modo quelle letali, è istruttivo notare la posizione di due stati spesso citati: Israele e gli Stati Uniti.

La Corte Suprema israeliana ha deciso che non si può stabilire a priori che ogni esecuzione mirata è vietata dal diritto internazionale abituale.[13] D

a parte sua, il governo degli Stati Uniti sostiene di continuare ad essere in stato di conflitto armato con al-Qaida, i talebani ed i gruppi associati a seguito degli attacchi dell’11 settembre 2001 e di poter impiegare forza consistente con il diritto inerente all’autodifesa, secondo il diritto internazionale; asserisce che il diritto di autodifesa, come previsto dall’Articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, può includere l’uccisione mirata di persone, quali i capi di alto livello di al-Qaida che pianificano attentati sia dentro che fuori i dichiarati teatri di guerra; reclama la prerogativa di inseguire unilateralmente bersagli in altri stati senza il loro consenso preventivo, se tali stati non sono disposti o sono incapaci di far fronte efficacemente alla minaccia.[14]

Per l’analista impegnato nella disamina della conflittualità vige comunque un principio cardine: distingue frequenter.

(*) Vittorfranco Pisano, colonnello t.IASD di Polizia Militare dello U.S. Army (Ris.), è attualmente Segretario Generale dell’Albo Nazionale Analisti Intelligence, docente nel master universitario di II livello in Scienze Informative per la Sicurezza presso l’Università E-Campus e Presidente della Commissione Contrasto al Terrorismo del Comitato Atlantico Italiano. È stato consulente della Sottocommissione sulla Sicurezza e Terrorismo del Senato degli Stati Uniti e revisore dei corsi nell’ambito de Programma di Assistenza Anti Terrorismo del Dipartimento di Stato statunitense. Ultima pubblicazione monografica: Italia e Stati Uniti. Terrorismo e disinformazione (Nuova Cultura, Roma, 2016)

 

[1] Esistono numerosi resoconti, tutti difficilmente verificabili nel pubblico dominio, riguardanti gli omicidi mirati contro mandanti, esecutori ed altri individui ritenuti responsabili dell’eccidio di Monaco. Tra il 5 settembre 1972 e l’11 novembre 1974, ne sarebbero stati uccisi undici. Zvi Zamir, direttore del noto servizio d’intelligence Mossad dal 1968 al 1974, sostiene che le uccisioni non furono un gesto di vendetta, ma miravano a smantellare l’organico terroristico palestinese in Europa. Vedi Yossi Melman “Ecco la mia verità su Monaco ’72, nessuno ordinò una vendetta“, La Repubblica (Roma), 17 febbraio 2006.

[2]  Statistiche tratte da Jacques Baud, Encyclopédie des Terrorismes et Violences Politiques, Lavauzelle, Panazol, 2003, p. 247.

[3]  Baud, op cit.  pp. 243-245 e 357.

[4] Episodi citati in Federico Orlando, P38, Editoriale Nuova, Milano, 1978, p. 11.

[5] Statistiche tratte dalla cronologia compilata da  Bill Roggio e Alexander Mayer, “Senior al Qaeda and Taliban leaders killed in US airstrikes in Pakistan, 2004-2012”, The Long War Journal (Online), 26 gennaio 2012.

[6] Vedi Coordinator for Counterterrorism, United States Department of State (Washington, D.C.): Patterns of Global Terrorism, per ciascuno degli anni precedenti al 2004, e Country Reports on Terrorrism per ciascuno degli anni successivi.

[7] Per una cronologia di attentati di stampo radicale islamico, inclusi casi riconducibili a interessi iraniani, vedi Vittorfranco Pisano, L’Intervento Militare Quale Moltiplicatore del Terrorismo Internazionale? Apporto e Limiti delle Forze Armate e dell’Intelligence Militare nella Lotta Contro il Terrorismo, Centro Militare di Studi Strategici, Roma, 2008, pp. 115-156.

[8] Per dettagliate considerazioni analitiche, vedi Scott Stewart, Reflections on the Iranian Assassination Plot, STRATFOR, 20 ottobre 2011.

[9] Significativa, ad esempio, la scheda curata dal Corriere della Sera (Milano),16 gennaio 2001, p. 5.

[10] Vedi International Herald Tribune (Neully-sur Seine), 12 gennaio 1996, pag. 2.

[11]  Per maggiori dettagli, vedi Time (New York),  27 ottobre 1997, pag. 52.

[12] Vedi, ad esempio, una scheda dal titolo “Assassinations Often Backfire” pubblicata in Jane’s Intelligence Review, maggio 2004, pag. 20.

[13] Citazione riportata da Il Giornale (Milano), 15 dicembre 2005, pag. 10.

[14] Vedi Jonathan Masters, Targeted Killings, Council on Foreign Relations, 26 gennaio 2012.

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