di Giuseppe Morabito, generale dell’Esercito italiano in ausiliaria e analista presso la NATO Defense College Foundation – Le proteste a favore della democrazia hanno scosso Hong Kong per più di un anno, ma ora, la Repubblica Popolare cinese ha imposto una severa legge in materia di sicurezza nazionale che minerà l’autonomia del territorio e, quindi, la sua identità.
La nuova legge è una grande tragedia per il popolo di Hong Kong e, sfortunatamente, la comunità internazionale può fare ben poco per fermarne l’attuazione.
L’amministrazione Trump ha fatto intendere che vuole aumentare la pressione sul governo di Hong Kong, ma facendolo rischierebbe di danneggiarne l’economia più di quella di Pechino, accelerando per altro “l’assorbimento” del territorio nella Cina comunista.
Molti analisti consigliano a Washington moderazione, essi sostengono che un approccio più morbido potrebbe spingere Pechino a moderare le modalità di attuazione della legge ed evitare così di peggiorare la situazione.
Il governo Usa deve comunque considerare la situazione futura di Hong Kong nel formulare la sua risposta a Pechino: una sua tiepida reazione potrebbe infatti lasciare ai cinesi l’impressione di poter procedere con relativa impunità su altre questioni controverse in Asia.
In questo scenario l’ombra su Taiwan si profila minacciosa.
Sempre che gli Stati Uniti d’America non dimostrino determinazione e capacità di resistenza all’aggressione cinese alla democrazia, in questo caso i leader cinesi potrebbero eventualmente concludere che rischi e costi delle future azioni militari contro Taiwan sarebbero bassi o, almeno, tollerabili.
Ovviamente non esiste un collegamento diretto tra Hong Kong a Taiwan e un attacco cinese all’isola di Formosa non è né imminente né inevitabile.
Ma le recenti azioni di Pechino a Hong Kong e anche altrove in Asia, ingenerano interrogativi preoccupanti sui suoi obiettivi in evoluzione e sulla crescente volontà di usare tattiche coercitive per conseguirli.
In breve, gli Usa devono stare attenti a non giocare a Hong Kong quando Pechino si sta organizzando per una più ampia competizione per il futuro dell’Asia. Ultimamente la Cina è diventata molto più tollerante negli affari internazionali di quanto non fosse stata un tempo e molto più audace nell’usare la coercizione per far avanzare gli interessi cinesi, spesso a spese degli Stati Uniti e di altre potenze, come Giappone e India.
Negli ultimi mesi la Cina ha aumentato la sua pressione militare e paramilitare sui paesi vicini con i quali ha dispute territoriali, tra i quali India, Giappone, Vietnam, Malesia e Indonesia.
Sia che queste manovre aggressive fossero intese a ricordare al mondo quanto è risoluta la Cina o a capitalizzare sulla distrazione internazionale causata dal virus di Wuhan, offrono una forte indicazione sulle aspettative del presidente Xi Jinping e le sue rivendicazioni territoriali.
La storia recente rivela che il sistema internazionale è vulnerabile a questo tipo atteggiamento. Quando il presidente russo Vladimir Putin decise di invadere l’Ucraina e annettere la Crimea nel 2014, fece seguito a quanto appreso in occasione dell’invasione della Georgia nel 2008.
Infatti, l’’invasione della Georgia è costata poco alla Russia e ha suscitato solo una debole condanna internazionale.
Taiwan e Ucraina occupano aree geopolitiche molto diverse, ma proprio come Putin ha preso ben poco in considerazione la risposta degli Stati Uniti alle azioni russe in Georgia nella sua decisione di invadere l’Ucraina, i leader cinesi studieranno la risposta degli Stati Uniti alla legge sulla sicurezza di Hong Kong per attagliare le loro decisioni sulle future possibili “annessioni” in Asia.
Dato quanto poco è costato finora il giro di vite di Pechino a Hong Kong, si può temere che la RPC trarrà conclusioni errate sui costi della futura coercizione contro Taiwan.
Hong Kong e Taiwan hanno più cose in comune di quanto molti analisti comprendano, sia nella visione di Pechino che nei sentimenti dei loro cittadini.
Le proteste che hanno imperversato a Hong Kong nell’ultimo anno hanno scosso profondamente il popolo e la leadership di Taiwan. Secondo i rapporti di notizie, il numero di residenti a Hong Kong che si sono trasferiti a Taiwan nei primi quattro mesi del 2020 è aumentato del 150% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso.
Le manovre di Pechino hanno lo scopo di intimidire Taipei, dimostrando la disponibilità della Cina Popolare a usare la forza e insistere sulla pressione diplomatica.
Per dissuadere lo Stato comunista da ulteriori aggressioni gli Usa devono chiarire che ci saranno conseguenze per la legge sulla sicurezza nazionale, in particolare se Pechino la utilizzerà per giustificare l’arresto o la consegna di giornalisti, attivisti pacifici o candidati politici a Hong Kong.
Il Congresso degli Stati Uniti d’America ha approvato disposizioni che autorizzano l’amministrazione Trump a negare i visti e imporre altre sanzioni mirate contro di coloro che sono direttamente coinvolti nella repressione di Hong Kong. Sanzioni mirate che non saranno esenti da costi per le relazioni tra Washington e Pechino o per il popolo di Hong Kong, tuttavia gli americani possono limitare il danno collaterale attuandole in modo graduale.
L’amministrazione Trump dovrà iniziare migliorando il coordinamento con gli alleati europei e asiatici. Egli ha rilasciato dichiarazioni congiunte simbolicamente importanti su Hong Kong, prima con Australia, Canada e Regno Unito e poi con il G-7.
La presidenza tedesca del semestre europeo, comunque, non fornisce un segnale di sostegno ai taiwanesi. In particolare, si è appreso in queste ore che nella lista dei Paesi i cui cittadini sono esentati dalle restrizioni a viaggiare nell’Unione europea, (pubblicata dal Consiglio dell’Unione europea il 30 giugno e dall’Italia il 1 luglio) Taiwan non risulta inserita.
Quindi, in Europa non si è considerato che Taiwan ha attentamente monitorato lo sviluppo della situazione dell’epidemia di Covid-19, condividendo in maniera trasparente le informazioni con l’Organizzazione Mondiale della Sanità e con la stessa Unione europea allo scopo di combattere e controllare la pandemia globale come dovuto.
Inoltre, dall’esplosione della pandemia non è stato riconosciuto che il governo di Taiwan ha approntato le corrette misure per contenere la diffusione del virus e, grazie all’elevato livello del sistema sanitario il numero di contagiati e di vittime è stato tenuto sotto controllo e bel sotto ai criteri stabiliti dall’Unione europea.
Se non fosse palesemente per la “paura” di indispettire Pechino, sarebbe quantomeno logico aspettarsi che Taiwan venga inserita in una seconda lista di paesi che possono godere della revoca delle restrizioni durante il prossimo meeting del Consiglio dell’Unione europea.
In conclusione, la situazione a Hong Kong e le pressioni su Taiwan indicano quanto sia difficile fare deterrenza e garantire che Pechino veda la coalizione “occidentale” almeno come un problema se non come una minaccia, invece, di dare ai cinesi la possibilità di sfruttare le “paure di indispettire” europee per essere in grado di separare lentamente, ma inesorabilmente, gli Stati Uniti dai suoi alleati. Tutto questo con l’applicazione del moderno sino soft power.