La mediazione della Santa Sede non è elencata tra i quattro motivi che il “Jerusalem Post” ha ipotizzato fossero alla base della mancata annessione dei territori della Cisgiordania da parte di Israele, annunciata per il primo luglio, tuttavia – si sottolinea da oltre Tevere -, l’incontro tra il cardinale Pietro Parolin (segretario di Stato vaticano) e gli ambasciatori di Stati Uniti e Israele presso la Santa Sede ha avuto comunque il suo peso diplomatico.
Dell’incontro è stata data comunicazione soltanto nella serata del primo luglio mediante uno scarno comunicato della Sala stampa vaticana, nel quale si annunciava che «il 30 giugno 2020, Sua Eminenza il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato, ha incontrato gli ambasciatori degli Stati Uniti d’America e dello Stato di Israele per esprimere la preoccupazione della Santa Sede circa possibili azioni unilaterali che potrebbero mettere ulteriormente a rischio la ricerca della pace tra Israeliani e Palestinesi e la delicata situazione del Medio Oriente».
Secondo l’agenzia ACI Stampa, per «azioni unilaterali» il comunicato intenderebbe l’annessione dei territori della Cisgiordania, previsto dal piano Peace to Prosperity elaborato a Washington allo scopo di pervenire alla pace nella regione, un progetto fortemente sostenuto dal premier dello Stato ebraico Benjamin Nethanyahu.
Nell’incontro con gli ambasciatori Callista Gingrich e David Oren, il cardinale Parolin ha ribadito la posizione della Santa Sede, così come riportata dalle dichiarazioni del 20 novembre 2019 e del 20 maggio 2020.
La Santa Sede ha infatti riaffermato che «Stato di Israele e Stato di Palestina hanno il diritto di esistere e di vivere e di vivere in pace e sicurezza, dentro confini riconosciuti internazionalmente».
Per questo, la Santa Sede ha fatto «appello alle Parti affinché si adoperino a riaprire il cammino del negoziato diretto, sulla base delle rilevanti Risoluzioni delle Nazioni Unite, facilitato da misure che servano a ristabilire la fiducia reciproca».
Al termine del comunicato viene riportata una citazione dal discorso che il pontefice fece durante la preghiera per la pace nei Giardini Vaticani l’8 giugno del 2014, si tratta di un passaggio significativo, poiché in esso è presente anche l’auspicio per la pace in Medio Oriente.
Alla notizia che il Governo israeliano presieduto da Nethanyahu ha reso nota l’intenzione di annettere parte del territorio occupato in Cisgiordania, Mahmoud Abbas, presidente dell’Amministrazione palestinese, aveva replicato con l’annuncio della fine di tutti gli accordi stipulati con Israele e gli Usa.
Il piano di pace prevede la creazione di uno Stato palestinese in un territorio frammentato su circa il 70% della Cisgiordania e l’annessione da parte di Israele del restante 30%, in particolare le aree dove insistono gli insediamenti dei coloni ebrei e la Valle del Giordano.
La Santa Sede ha avuto sempre un particolare interesse per la questione palestinese. Lo scorso 20 maggio, Saeb Erekat – capo negoziatore e segretario generale dell’Organizzazione Mondiale per la Palestina – ha chiamato l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario vaticano per le Relazioni con gli Stati.
Sulla base del comunicato successivamente diffuso della Sala stampa della Santa Sede, si riporta che Erekat aveva voluto informare la Santa Sede «circa i recenti sviluppi nei Territori palestinesi e della possibilità che la sovranità israeliana venga applicata unilateralmente a parte di dette zone, cosa che comprometterebbe ulteriormente il processo di pace».
Da parte sua, la Santa Sede aveva ribadito che «il rispetto del diritto internazionale, e delle rilevanti risoluzioni delle Nazioni Unite, è un elemento indispensabile affinché i due popoli possano vivere fianco a fianco in due Stati, con i confini internazionalmente riconosciuti prima del 1967».
Era una posizione già espressa quando l’amministrazione Usa aveva divulgato il piano denominato “Peace to Prosperity” lo scorso gennaio. Washington ribadisce la soluzione dei “due Stati”, ma vuole che Gerusalemme sia capitale «indivisa» da Israele.
La Santa Sede, invece, punterebbe al mantenimento dello status quo, mentre la Palestina è arrivata a chiedere di promuovere una conferenza su Gerusalemme per ribadirne il carattere internazionale di «città santa».
Mahmoud Abbas ha ribadito il netto rifiuto della proposta di pace statunitense e condannato la decisione dell’amministrazione Trump di trasferire l’ambasciata a Gerusalemme, riconoscendo la città come capitale di Israele.
L’annessione, prevista per il primo luglio non ha ancora avuto luogo. Secondo il “Jerusalem Post” questo sarebbe dovuto a quattro fattori: il disagio di Washington, inquietudine e ansia del fronte interno, la reazione dei palestinesi e le ripercussioni a livello regionale e internazionale, e per ultimo la pandemia di coronavirus.
Le critiche al progetto sono state riportate dal lancio di agenzia di ACI Stampa. Oltre a Mahmoud Abbas – si legge -, si sono espressi negativamente anche il sovrano giordano Abdallah II, ventidue Paesi aderenti alla Lega, gran parte dei Paesi europei e della comunità internazionale”, mentre Michelle Bachelet, Alto Commissario ONU per i rifugiati, ha definito il piano «illegale».
Durissime le reazioni delle Chiese locali: l’arcivescovo Pierbattista Pizzaballa, amministratore apostolico del Patriarcato Latino di Gerusalemme, ha sottolineato che «non si può più parlare onestamente e concretamente di soluzione “due Popoli due Stati” che diventa, tecnicamente, sempre più difficile. Se poi l’annessione verrà effettuata sarà una situazione irreversibile».
Tra patriarchi e i capi delle Chiese di terra santa che hanno protestato con una nota congiunta, c’è chi chiede allo Stato di Israele di astenersi dall’annessione, mentre padre Pizzaballa ha parole dure anche per l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), che «è chiamata a risolvere le sue controversie interne e gli eventuali conflitti con altre fazioni che non sono sotto il suo ombrello, per presentare un fronte unito impegnato a raggiungere la pace e a costruire uno Stato fondato sul pluralismo e sui valori democratici».
Anche i vescovi cattolici e anglicani del gruppo del Coordinamento Terra Santa, rappresentati dal vescovo cattolico di Clifton, Declan Lang, e da quello anglicano di Southwark, Christopher Chessun, hanno ribadito che «l’annessione della Cisgiordania allontanerebbe qualsiasi residua speranza di successo per il processo di pace e aggraverebbe soltanto il conflitto, le sofferenze e le divisioni».
Preoccupazione è stata espressa anche da parte del Consiglio mondiale delle Chiese (Wcc), della Comunione mondiale delle Chiese Riformate, e da Act Alliance-Federazione mondiale luterana.