Haachaalu Hundeessaa, il popolare musicista e attivista della causa oromo, adesso finalmente riposa in pace ad Ambo, la sua città natale, distante un centinaio di chilometri dalla capitale.
La cerimonia funebre ha avuto luogo oggi alla presenza dei genitori e di coloro i quali gli volevano bene, lontano da un’Addis Abeba incendiata dalle violente proteste seguite al suo assassinio, il cui bilancio è salito ad almeno ottanta morti, una cifra conteggiata sia tra le fila dei manifestanti che tra quelle delle forze di sicurezza.
Ma non è soltanto la capitale a essere interessata dalle violenze, poiché lo è anche il resto della regione dell’Oromia, con la sua città principale, Adama, anch’essa sconvolta dai disordini, che si sono successivamente estesi ad Harar, dove è stata vandalizzata una statua eretta in memoria di Ras Makonnen, padre dell’imperatore Haile Selassie I, personalità di dinastia ahmara, che fu governatore della città all’inizio del Novecento.
Secondo la ricostruzione dei fatti effettuata dagli investigatori si sarebbe trattato di un omicidio mirato, poiché Haachaalu Hundeessaa non sarebbe stato ucciso per caso nella sua autovettura la notte di lunedì scorso. Lo stesso Endeshaw Tasew, funzionario apicale della polizia citato dal quotidiano “Addis Standard”, si è espresso in questo senso, parlando apertamente di «un agguato ben organizzato e sofisticato, preordinato allo scopo di far precipitare il Paese nel caos».
Lo stesso primo ministro Abiy Ahmed aveva denunciato ieri un tentativo di destabilizzazione.
Sicuramente in Etiopia non mancano le cause di controversie politiche (come il rinvio forzato delle elezioni per la pandemia da Covid-19), come altrettanto esistono diversi elementi di attrito di natura etnica e sociale che vedono protagonisti anche gli oromo, comunità in massima parte composta da musulmani che nel Paese è maggioritaria dal punto di vista demografico, tuttavia rimasta a lungo ai margini dei processi decisionali di maggiore importanza.
Vero è anche che il governo non ha esitato a usare la mano pesante, arrestando nella notte almeno trentacinque persone tra le quali Jawar Mohamed – magnate dei media e attivista di notevole influenza fondatore del gruppo Oromo Media Network, -, personalità attualmente in forte contrasto con il primo ministro in carica Abiy Ahmed, ma anche il leader storico dell’opposizione oromo, Bekele Gerba.
In particolare, Jawar Mohamed, che in concerto con altri gruppi ha coordinato le manifestazioni di protesta, è il propugnatore della tesi che vorrebbe il premier Abiy Ahmed, seppure di radici oromo contrario allo sviluppo della propria regione d’origine, storicamente subordinata al potere degli ahmara e dei tigrini.
È sicuramente un dato di fatto che le proteste riflettano il sentimento di emarginazione della componente oromo, evidenziando le divisioni in seno all’esecutivo guidato dal primo ministro Abiy Ahmed, l’ex responsabile dei servizi di intelligence etiopici, anch’egli di origini oromo, che è al potere dal 2018.
Una situazione di tensione aggravatasi dopo lo slittamento delle elezioni precedentemente indette per il mese di agosto ma poi rinviate.
Haachaalu Huundeessa in passato si era messo in luce per le sue veementi critiche mosse al governo federale, nel 2015 ad esempio, aveva pubblicato il brano “Maalan Jirra”, nel quale denunciava l’emarginazione della comunità oromo e i tentativi del potere politico di annullarne cultura e tradizioni. Tuttavia questo non basterebbe a giustificarne l’eliminazione fisica.
Ma, allora, chi poteva avere concreto interesse alla morte del musicista trentaquattrenne impegnato politicamente a sostegno della sua comunità etnica?
L’Etiopia è piombata rapidamente nel caos, da molte direzioni si continua a istigare alla violenza ed è lecito pensare che la situazione si presti ottimamente a varie forme di strumentalizzazioni di natura politica, seppure riguardo alle responsabilità concrete relative all’omicidio, cioè sui nomi di esecutori e mandanti e, soprattutto, sulle motivazioni dell’atto non sia stata fatta ancora chiarezza.
Per Abiy Ahmed, già Nobel per la pace dopo l’accordo raggiunto con l’Eritrea, si tratta forse della prova più difficile. Alcuni osservatori affermano che l’assassinio del musicista e i disordini che ne sono conseguiti tornino utili sia ai gruppi dell’opposizione che ai settori interessati a modificare gli attuali equilibri.
Infatti, a incrementare lo stato di la tensione attraverso l’istigazione – più o meno apertamente – alla violenza sarebbero delle emittenti televisive sia regionali che comunitarie, come Tigray TV, che ha sede nel nord del Paese, e la citata Oromo Media Network.
A seguito del divampare dei disordini il governo ha adottato misure straordinarie di ordine pubblico ricorrendo alla mobilitazione dell’esercito, mentre sono state eseguite decine di arresti. Ma l’incarcerazione degli esponenti di spicco dell’opposizione è destinata ad alimentare la protesta contro il governo federale, ponendo seriamente a rischio la posizione del primo ministro.
La tempistica di questa drammatica vicenda potrebbe comunque essere indicativa. Infatti, venerdì scorso ha avuto luogo un importante vertice internazionale a tre nel corso del quale è stato affrontato il controverso argomento dello sviluppo del progetto GERD (Grand Ethiopian Renaissance Dam, o Diga di Hidase), la colossale opera idraulica sul fiume Nilo Azzurro nella regione del Benishangul-Gumuz, al confine col Sudan, fortemente contrastata dall’Egitto.
Ebbene, nel corso del vertice i rappresentanti del governo di Addis Abeba e quelli della società Ethiopian Electric Power hanno reso noto ai loro interlocutori che tra due settimane avrebbero in ogni caso proceduto nella realizzazione dell’opera, con nocumento sul piano dello stress idrico per l’Egitto.
A questo punto, posto che non è chiaro quanto l’assassinio del musicista oromo possa tornare utile ai gruppi estremisti tigrini e ahmara, per capirne di più sui fatti si dovranno attendere gli sviluppi di natura diplomatica tra il Cairo e Addis Abeba nei prossimi giorni, con l’assunto, però, che la destabilizzazione dell’Etiopia certamente non favorisce una sua sovraesposizione in politica estera, a maggior ragione in casi controversi come questo.