Sono molti i reduci dei conflitti combattuti negli anni Novanta nella ex Jugoslavia ad avere scheletri negli armadi, anche e soprattutto in Cossovo (Kosovo o Kosovo i Meothija).
Infatti, in quel fazzoletto di terra caratterizzato da vallate circondate da montagne posto sulla direttrice strategica che congiunge Belgrado a Salonicco, si compì il destino della morente Federativa e si giocarono anche i destini di numerosi elementi della dirigenza jugo-serba che si erano raccolti attorno al loro scaltro e intelligente leader: Slobodan Milošević.
Tutto nasce in Kosovo e tutto finisce in Kosovo, questo l’adagio popolare che assunse i contorni di un funesto presagio per la Jugoslavia stessa fin dagli ultimi anni di vita di Tito.
Nel 1980 la componente etnica albanese dell’allora Provincia autonoma della Repubblica socialista federata di Serbia iniziò a manifestare sempre più la propria insofferenza per Belgrado e, quando pochi anni dopo la Federativa si dissolse, il passo verso il conflitto fu breve.
Nel 1998 l’Uçk (Ushtria Çlirimtare e Kosovës, Esercito di Liberazione del Kosovo) ancora figurava inscritto nell’elenco delle organizzazioni terroristiche stilato dagli Stati Uniti d’America, tuttavia il suo status mutò repentinamente e in pochi mesi Washington fece affidamento su di esso per contrastare lo scomodo avversario abbarbicato – ad avviso della Casa Bianca – al potere nella ormai «piccola Jugoslavia», formata dalla Serbia e da un riluttante Montenegro.
L’Uçk venne sostenuto in ogni modo dagli Usa e da molti Paesi europei, che rinvennero, oltre allo storico leader democratico Ibrahim Rugova, anche altri intraprendenti referenti, uno dei quali fu proprio Hashim Thaçi, detto «il serpente», indipendentista albanese rifugiatosi nel frattempo in Svizzera.
Dopo la tragica fine di Adem Jashari e del suo clan e il tramonto politico e umano di Rugova sarebbero stati questi nuovi vigorosi leader – cioè coloro i quali avevano guidato la guerriglia – a interfacciarsi con i referenti internazionali dopo il ritiro delle forze di polizia serbe e dell’Armata federale jugoslava, provocato dai bombardamenti della NATO e dall’azione della sua fanteria, l’Uçk, sul terreno.
Si capì immediatamente che Thaçi avrebbe avuto un futuro politico radioso nella nuova Pristina sostanzialmente monoetnica, anche se anche altri maggiorenti, che fossero di provenienza UçK oppure tornati in Patria dall’estero dopo avervi fatto fortuna.
Ma, come accennato, sono molti in Kosovo ad avere scheletri nell’armadio, e le chiavi del lucchetto che ne tiene chiuse le ante non le posseggono loro.
Ecco quindi avvenimenti come l’incriminazione del serpente e di altri personaggi «eccellenti» della sua cerchia da parte dal Tribunale Speciale dell’Aia. Come Kadri Veseli, ex portavoce del parlamento di Pristina e leader del Partito Democratico del Kosovo.
Crimini di guerra e crimini contro l’umanità, questi quelli che se i dieci ex guerriglieri albanesi verranno rinviati a giudizio saranno i loro capi di imputazione. Si tratta di accuse estremamente gravi. Le peggiori. Ma…
Ma chissà come finirà, Qualche tempo fa a essere arrestato e tradotto in manette all’Aia fu un altro capo fazione dell’Uçk divenuto primo ministro dell’autoproclamata Repubblica del Kosovo, quel Hramush Haradinaj che dagli studi di astronomia passò alle armi, il premier in odore di criminalità organizzata che fu espresso dal suo partito, l’AAK.
Egli venne incriminato con i medesimi capi di accusa di Thaçi e Veseli, tuttavia venne assolto dal Tribunale con formula piena, seppure tra mille sospetti a causa dei misteriosi decessi di diversi testimoni dell’accusa e il rifiuto di altri di deporre in tribunale.
Non meraviglia quindi che i magistrati della Corte internazionale formulino accuse del genere, quello che però induce a una riflessione è la tempistica perfetta con la quale essi abbiano proceduto.
E, siccome noi giornalisti a volte facciamo bieca dietrologia… ebbene, noi stavolta la faremo, mettendo le cose in fila come farebbero i bambini delle elementari.
Thaçi viene incriminato dal Tribunale Speciale dell’Aia proprio nel momento in cui in Serbia il presidente in carica Aleksandar Vučić viene confermato nell’incarico alle elezioni.
Fino alla diffusone della notizia dell’incriminazione di Thaçi le relazioni tra Belgrado e Pristina erano migliorate – malgrado i dazi economici precedentemente imposti sui prodotti importati in Serbia e Bosnia dal governo a guida Vetevendosije! – e per il 27 giugno scorso era addirittura in programma l’atteso vertice a Washington tra lo stesso Thaçi e Vučić alla presenza del presidente statunitense Donald Trump.
Allora, l’ipotesi dietrologica del giornalista complottista è la seguente:
Trump è in gravi difficoltà per varie ragioni sul piano interno e in molti auspicano che non venga rieletto, mentre Jo Biden è dato favorito nei sondaggi;
dunque, un’opportunità mediatica del genere – l’aver portato all’accordo serbi e albanesi su una controversia di quasi impossibile composizione come quella cossovara – attraverso uno scambio di territori che portino a una sostanziale uniformità etnica nella ex Provincia autonoma serba, avrebbe potuto rappresentare una medaglia da appuntarsi al petto per presentarsi di fronte al popolo americano alle elezioni del 4 novembre con qualcosa in mano;
e allora, ecco qui i cattivi che gli rompono il giocattolino tra le mani, sacrificando sull’altare un “mostro sacro” dell’Uçk sul quale Usa e NATO si erano affidati per decenni, bruciato all’Aia in attesa che tutto passi, per poi recuperare (una volta sconfitto Trump alle presidenziali) il dossier balcanco e magari, stavolta, risolverlo definitivamente.
Sicuramente nel corso della guerriglia in Cossovo anche gli albanesi commisero crimini atroci, non infrequentemente. Tuttavia se viene sacrificato uno come Hashim Thaçi può voler dire che la posta in gioco è alta, poiché «il serpente» non è certamente un manichino della Rinascente, dunque il gioco deve valere la candela. Si afferma: «Ma tanto i negoziati anche se vengono interrotti per sei mesi alla fine non cambia molto, perché potranno venire riavviati tra sei mesi…»; appunto, tra sei mesi. Magari con un’altra amministrazione in carica a Washington. Magari espressa dal Partito Democratico, quello stesso partito del presidente Bill Clinton, che tanto fece per i cossovaro-albanesi, al punto che in suo onore gli eressero un monumento a Pristina, che anche di questi tempi nessun iconoclasta mai abbatterà.
A252 – BALCANI, KOSOVO: L’INCRIMINAZIONE DEL PRESIDENTE THAÇI ROMPE IL GIOCATTOLINO TRUMP IN VISTA DELLE ELEZIONI DI NOVEMBRE? La sincronia è impressionante e apre autostrade a quattro corsie alle speculazioni dietrologiche di stampo complottistico, tuttavia…
Con il generale GIUSEPPE MORABITO – ufficiale dell’Esercito italiano in ausiliaria, attualmente a capo della Protezione civile di Roma Capitale e membro del NATO Defense College Foundation – insidertrend.it ha esplorato l’ipotesi che le incriminazioni per crimini di guerra e contro l’umanità da parte del Tribunale Speciale dell’Aia del presidente in carica dell’autoproclamata Repubblica del Kosovo – Hashim Thaçi detto «il serpente» – possano celare anche altre motivazioni oltre a quella di fare Giustizia (legittima ovviamente, seppure in ritardo): magari la volontà di far saltare il possibile accordo sullo scambio di territori tra Pristina e Belgrado sponsorizzato da Donald Trump proprio in vista delle prossime elezioni presidenziali di novembre negli Usa.