Oggi, 21 giugno e primo giorno dell’estate, poco più di 6,5 milioni di cittadini serbi aventi diritto al voto sono stati chiamati alle urne nonostante i timori ingenerati dalla pandemia da Covid-19.
I seggi elettorali sono stati aperti dalle ore sette alle venti e gli elettori hanno scelto tra più di venti liste elettorali per assegnare i duecentocinquanta seggi al parlamento di Belgrado.
In particolare, ventuno liste di candidati sono state presentate agli elettori: quattro appartenenti alla minoranza etnica del paese, due dell’attuale coalizione progressista-socialista al governo e il resto di piccoli partiti all’opposizione.
Sono stati allestiti 8.253 seggi elettorali, oltre 140 per la comunità serba in Cossovo (Kosovo i Metohija o, per gli albanesi, Kosova) – poiché la Serbia ancora non riconosce l’indipendenza della sua e Provincia autonoma – e 42 per gli elettori all’estero.
Come nelle attese e senza sorpresa, a conferma dei sondaggi, il vincitore è stato il Partito progressista serbo (SNS), già al governo. Quindi, l’SNS guidato dal presidente Aleksandar Vučić continuerà a guidare il paese per i prossimi anni.
Dai primi dati emersi degli scrutini appare chiaro che l’SNS ha superato il 60% dei consensi e si sta attestando su circa i due terzi dei voti, una schiacciante vittoria di Vučić e dei suoi sostenitori, quindi.
I partiti di opposizione, riuniti nella coalizione Alleanza per la Serbia, avevano da qualche tempo annunciato il boicottaggio delle elezioni nonostante alcuni tentativi, poi falliti, di dialogo tra loro e la formazione politica al potere.
Gran parte dell’opposizione aveva infatti abbandonato il parlamento nel gennaio dello scorso anno e, probabilmente, quando è stato compreso che la sconfitta sarebbe stata certa, ha preferito boicottare anche i sondaggi.
Una decisione assunta sulla base dell’asserito principio che le elezioni non sarebbero state né libere né democratiche.
Su questo specifico punto, il presidente del Congresso dei poteri locali e regionali del Consiglio d’Europa, Anders Knape, aveva confermato la sua fiducia nelle autorità governative di Belgrado nell’organizzare elezioni democratiche nonostante l’attuale pandemia in atto.
«Confido nella capacità della Serbia di implementare buone prassi nei giorni che precedono la data delle elezioni e di assicurare che il voto sia organizzato nel pieno rispetto delle norme internazionali per elezioni libere ed eque, anche in questi tempi difficili», aveva affermato, ribadendo che nel contesto della crisi attuale il Congresso non avrebbe potuto inviare una delegazione di osservatori, ma avrebbe continuato il dialogo e la cooperazione con le autorità della Serbia in vista di un’auspicata futura attuazione dei principi europei di autonomia territoriale e di democrazia.
Atteso quindi che – a parere di chi scrive – non partecipare alle elezioni è sempre un errore e si passa facilmente dalla parte del torto, l’unico grande cambiamento è stato l’abbassamento della soglia di sbarramento all’ingresso dei partiti in parlamento dal 5% al 3 %, che ha incrementato le possibilità che i piccoli partiti potessero ottenere alcuni seggi all’Assemblea nazionale. Tuttavia, al momento non è ancora possibile quantificare questo dato.
Le elezioni erano inizialmente previste per il 26 aprile, però sono state rinviate a causa dell’emergenza coronavirus lo scorso 15 marzo.
Nel Paese balcanico, purtroppo, i registra tuttora una media di circa cinquanta nuovi casi di contagio al giorno, divenendo così il paese con il più alto numero di persone colpite dal virus di tutta la ex Jugoslavia.
Nonostante questo dato, è impressione comune in ambito internazionale che il governo uscente e nuovamente in carica si sia comportato in maniera pronta ed efficace in questo frangente.
Agli elettori è stato consigliato di partecipare alle urne con maschere, anche fornite nei seggi e di mantenere le distanze di sicurezza.
A inizio giugno si è insediato in Cossovo il nuovo governo del presidente Avdullah Hoti, che ha indicato le principali priorità del suo programma, tra le quali la ripresa del dialogo con Belgrado.
La normalizzazione delle relazioni con la Serbia è necessaria, atteso che da più di un anno c’è un congelamento dei rapporti con Pristina a causa della decisione di cossovara d’imporre dazi doganali del 100% sia alle merci serbe, sia a quelle in entrata dalla Bosnia Erzegovina, altro Stato dell’area balcanica che non riconosce il Cossovo come entità statuale.
Hoti ha subito rimosso i dazi e, conseguentemente, a Belgrado il presidente serbo Vučič ha affermato che l’eliminazione delle barriere commerciali ha sostanzialmente spianato la strada al progresso nelle relazioni diplomatiche.
«Credo anche che possano esserci buoni rapporti commerciali tra albanesi e serbi”, ha egli dichiarato riferendosi agli albanesi che rappresentano il gruppo etnico maggioritario in Cossovo.
La conferma di Vučić dovrebbe quindi venire considerata positiva ai fini dello sviluppo della democrazia e delle pacifiche relazioni nella regione dei Balcani.
Una buona notizia sia per l’Unione europea che per la NATO, che hanno interesse alla stabilità dell’area, seppure c’è da aspettarsi qualche “ideologica” e non razionale presa di posizione.