SOCIETÀ, emergenza coronavirus. La pandemia sta aumentando le disuguaglianze economiche e sociali: secondo Gian Maria Fara (Eurispes) «dovremo essere capaci di superare il cosiddetto “stato di eccezione”»

L’Italia, ma più in generale il modello occidentale, si trova davanti ad un’ulteriore profonda e drammatica prova, perché́ si sono saldate insieme crisi economica, crisi sociale e crisi della politica e delle Istituzioni». Intervista di Niva Mirakyan, pubblicata dalla testata di informazione Online “Sputnik” il 19 giugno 2020

Secondo i dati dell’Istat, ben oltre 400 mila italiani hanno perso lavoro tra marzo e aprile, mentre gli inattivi (coloro che non hanno lavoro e hanno smesso di cercarlo) sono aumentati di 746 mila unità. Le categorie che hanno subito gli effetti della pandemia sono tre: donne, giovani e lavoratori con contratto a termine.

L’epidemia di coronavirus ha fatto salire di oltre un milione i nuovi poveri che nel 2020 hanno bisogno di aiuto anche per mangiare. È quanto stima Coldiretti, osservando un aumento del 40% delle richieste di aiuti con fondi Fead distribuiti da associazioni caritatevoli.

Quali effetti sta avendo la recessione da Covid sulle diseguaglianze in Italia? Per parlarne Sputnik Italia ha raggiunto il professor Gian Maria Fara, presidente di Eurispes-Istituto di ricerca degli italiani.

NIVA MIRAKYAN – Professor Fara, a suo avviso, come la pandemia rimodellerà la società italiana? E qual è la sua fotografia dell’Italia post-Covid?

GIAN MARIA FARA – Le società, non solo quella italiana, stanno sperimentando un’esperienza universale tragica e sconosciuta. Nessuno si è potuto dire pronto, nessun paese ha saputo effettivamente mettere in campo risposte immediate e risolutive per far fronte all’emergenza sanitaria. Siamo di fronte ad una situazione ancora completamente aperta e inesplorata sotto molti punti di vista, i contraccolpi di quanto ancora sta accadendo oggi si potranno vedere nella loro massima espressione solo nei prossimi mesi. Certamente la pandemia e i suoi risvolti sono destinati ad incidere profondamente nella mentalità delle persone. L’Italia, ma più in generale il modello occidentale, si trova inoltre davanti ad un’ulteriore profonda e drammatica prova perché́ si sono saldate insieme crisi economica, crisi sociale e crisi della politica e delle Istituzioni, che non sono ancora riuscite a fare un fronte comune per trovare soluzioni condivise per traghettare il Paese nella fase post-Covid. Ci troviamo dunque nel mezzo di una vera e propria “tempesta perfetta”. Dobbiamo ripartire dal concetto secondo cui nessuno basta a sé stesso. La complessità non ammette sconti e ci sfida in una partita nuova nella quale si vince solo se si è capaci di giocare in squadra.

A suo avviso, il coronavirus andrà ad approfondire le disuguaglianze già presenti a livello nazionale e locale?

Solo qualche anno fa l’Eurispes stimava che in Italia vi siano almeno otto milioni di persone che vivono al di sotto della soglia di povertà. Una più accentuata concentrazione della ricchezza nelle possibilità di un gruppo sempre più ristretto di persone, un aumento delle diseguaglianze e delle disparità, e questo non solo da un punto di vista economico, ma anche sociale e culturale. Il rischio di un degrado collettivo e di un sempre maggiore divario tra classi sociali, e anche tra aree differenti all’interno del Paese, è quanto mai reale A preoccuparmi maggiormente, quando si parla di povertà, è il progressivo indebolimento dei ceti medi. Un fenomeno che segnaliamo da qualche decennio. I ceti medi rappresentano una delle questioni fondamentali per il futuro della società italiana: così come Napoleone considerava i sottufficiali la spina dorsale dell’esercito, dobbiamo renderci conto che i ceti medi sono la spina dorsale della democrazia.

Sino a pochi anni fa la classe media era uno stabile e strategico ammortizzatore delle tensioni economiche e sociali e garante di un sistema in grado di assicurare la mobilità sociale dal basso verso l’alto, accogliendo i nuovi arrivati e ampliando progressivamente le sue fila. Ormai, appartenervi non solo non è più un privilegio ma significa, da una parte, consegnarsi all’incertezza e al disagio dal punto di vista delle aspettative per il futuro e della preoccupazione per la stabilità lavorativa; dall’altro, essere al centro di politiche ostili e punitive come quelle sulla casa o sulla tassazione o vittime designate dello smantellamento dello stato sociale. Alla proletarizzazione dei ceti medi si unisce oggi una loro “progressiva pauperizzazione”.

Gli appartenenti al ceto medio provengono dal mondo delle libere professioni: sono gli artigiani fattisi imprenditori e vittime della burocrazia, i commercianti annichiliti dalla contrazione dei consumi, gli impiegati che vedono quotidianamente ridursi il potere d’acquisto delle proprie retribuzioni, gli insegnanti condannati a stipendi da fame o a un precariato permanente, gli appartenenti alle Forze dell’ordine costretti al doppio lavoro per poter sopravvivere, e tanti altri ancora sui quali si scarica una pressione fiscale ormai insopportabile. Tutti questi meccanismi già in atto si sono acuiti a causa della pandemia e della chiusura dei confini internazionali e delle economie determinando una situazione potenzialmente esplosiva.

Secondo una stima della Coldiretti, effettuata sulla base di coloro i quali hanno beneficiato degli aiuti alimentari, è aumentato di oltre un milione il numero delle persone che non hanno di che sfamarsi. Pensa che questo dato allarmante potrebbe aumentare il rischio delle tensioni sociali?

La crisi riconducibile al Covid-19 ha, di fatto, bloccato in gran parte l’economia ufficiale, quasi del tutto l’economia sommersa che negli ultimi decenni è stata un vero e proprio ammortizzatore sociale. Il sommerso ha consentito a milioni di famiglie monoreddito di integrare le entrate familiari attraverso lavori occasionali o anche stabili non dichiarati. Numerose altre famiglie, che non possono contare sul lavoro ufficiale di almeno uno degli appartenenti, sopravvivono grazie all’arte di “arrangiarsi” messa in atto dai diversi componenti della famiglia che, faticosamente, riescono a mettere insieme il pranzo con la cena. Con le riaperture sicuramente si è riattivato in parte anche il sommerso, ma i danni della chiusura si sono già riversati anche sull’economia “sana”. Per questo, e per molti altri fattori collegati o complementari, le povertà aumenteranno e con esse il rischio di ondate di protesta e tensioni sociali.

Cosa dovrebbe fare il governo, che ha appena annunciato la ripartenza del Paese, per tranquillizzare gli italiani? Come valuta il pacchetto di riforme a sostegno della famiglia, il Family Act?

Per arginare la crisi e rilanciare l’economia servono piani e finanziamenti. Nuovi investimenti, non sussidi. Tra l’altro mi sembra che il Family Act contenga tutte misure che dovrebbero essere presenti in un Paese come il nostro già in condizioni di normalità, non di eccezionalità. Tra l’altro, si parla di misure come il cosiddetto “assegno universale” che entreranno in azione a partire da gennaio 2021. Forse un po’ troppo in là nel tempo. Come diceva l’economista Keynes: «Nel lungo periodo…».

L’emergenza sanitaria ha costretto molte attività alla chiusura, senza alcun supporto e sostegno. Con la crisi di solito aumentano i suicidi per motivazioni economiche. Gli imprenditori attanagliati dalle preoccupazioni per le sue aziende e dipendenti si tolgono la vita… A Suo avviso, potrebbe ripetersi lo stesso scenario adesso, dopo mesi di lockdown?

Sicuramente le difficoltà economiche, la disperazione che comporta la mancanza di un’occupazione, la chiusura di un’attività e, a lungo andare, l’erosione del proprio benessere, magari la perdita della propria casa, dei propri beni, possono dar luogo a diverse tipologie di fenomeni e derive sociali. La passività e l’arrendevolezza, fino ad un gesto estremo come il suicidio, ma anche la rabbia, l’odio sociale. Sentimenti, questi ultimi, che possono rappresentare un collante tra persone appartenenti a parti della società particolarmente “compresse” dalla grave situazione generale.

Le conseguenze di Covid-19 toccano quasi tutti nel mondo indipendentemente da età, reddito o paese di appartenenza, ma, secondo alcuni suoi colleghi sociologi, i giovani saranno ad essere particolarmente colpiti dai risvolti economici e sociali della pandemia. È così? 

Non c’è dubbio che la recessione economica in atto colpirà i giovani, non solo perché sono più esposti a causa della loro presenza in settori particolarmente vulnerabili alla pandemia e perché inseriti in posizioni e condizioni generalmente più precarie in termini di contratto. Penso a chi si è appena affacciato sul mondo del lavoro, non ha accumulato ancora risparmio, non ha una casa di proprietà o comunque si trova a dover far fronte al pagamento di un affitto oppure alle rate di un mutuo. Penso alle giovani coppie, ai neogenitori. La chiusura di numerose imprese, la crisi della produzione, del commercio, del turismo tutto insieme crea una reazione a catena, un effetto domino all’interno di un sistema che si regge su regole e logiche meramente economiche e di mercato. Non c’è, in questo senso, un vero anello debole della catena, una categoria in particolare che non subirà le conseguenze del difficile andamento economico. In ogni caso, la famiglia d’origine e il supporto che essa potrà dare alle giovani generazioni sarà, ancora una volta, determinante come lo è stato in altri momenti storici avversi. Ma credo che al tempo stesso i più giovani rappresenteranno propria quella categoria che potrebbe invece cogliere più delle altre le opportunità che sempre nascono dalle crisi e dal cambiamento e individuare risposte e percorsi innovativi da sviluppare.

L’OMS e altri istituti internazionali quasi tutti i santi giorni ci avvertono che non torneremo più alla vita normale, che dopo una pandemia seguirà un’altra, eccetera. Condivide questa preoccupazione?

Al di là dei richiami dell’OMS, saremo tutti indotti a riflettere maggiormente, ad esempio, su ciò che è essenziale nella vita delle comunità umane; sulla capacità della Terra di sopportare l’attività antropica. In questi mesi terribili le persone hanno riscoperto dei valori che erano stati offuscati negli ultimi decenni. Penso a valori come la solidarietà e lo spirito di comunità; a diritti fondamentali come la salute, la vita, il lavoro; penso all’importanza riconosciuta al ruolo dei servizi pubblici come i sistemi sanitari nazionali, i servizi di emergenza, di assistenza, di ricostruzione. La pandemia sta mettendo a dura prova la tenuta dei sistemi economici, sociali e giuridici, ma è anche vero che la maggior parte delle crisi accelera solo tendenze preesistenti nella società.

fonte:

https://it.sputniknews.com/intervista/202006199212892-fara-dovremo-essere-capaci-di-superare-il-cosiddetto-stato-di-eccezione/

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