di Giuseppe Morabito, generale e analista della Nato College Foundation – Da due settimane circa, esattamente dal 3 giugno, il Cossovo (Kosovo i Metohija oppure Kosova, n.d.r.) ha un nuovo governo, a presiederlo è il premier Avdullah Hoti, che ha ottenuto ieri la fiducia del parlamento.
In sostegno del nuovo esecutivo sessantuno dei centoventi deputati eletti all’assemblea di Pristina, oggettivamente un numero eccessivo se viene presa in considerazione la consistenza della popolazione e l’estensione del territorio kosovaro.
Al voto hanno preso parte soltanto ottantasei parlamentari, la sessione è stata infatti boicottata dai parlamentari di Vetevendosje! (Autodeterminazione!), la formazione capeggiata da Albin Kurti che guidava il precedente esecutivo.
Il nuovo governo è formato invece dalla Lega democratica del Kosovo (Ldk), formazione di centro-destra.
Hoti è un professore di economia che, per effetto dell’azione del precedente governo, aveva visto incrinarsi le relazioni con gli Stati Uniti d’America, storico alleato del cossovaro-albanesi, questo a seguito della posizione assunta da Kurti in ordine alla questione con la Serbia.
L’inviato speciale degli Usa per i negoziati di pace in Serbia e Cossovo, Richard Grenell, ha quindi accolto con favore l’elezione del nuovo governo di Pristina e ha immediatamente espresso la speranza riguardo al proseguimento del dialogo con Belgrado.
In tutto il mondo, gli analisti definiscono il territorio cossovaro come il «paese più filo americano della terra», poiché è stata principalmente Washington a contribuire alla creazione del nuovo Stato indipendente da Belgrado, la cui popolazione è a maggioranza musulmana e di etnia albanese.
Gli Usa, durante il periodo della presidenza del democratico Bill Clinton, parteciparono attivamente alle operazioni della NATO nei Balcani degli anni Novanta e, successivamente, quando Pristina dichiarò unilateralmente la propria indipendenza, che ricevette il riconoscimento della Casa Bianca e del Congresso, sanzionato formalmente dall’apertura della sede diplomatica nella neonata capitale.
Presentando il programma di governo in parlamento, Hoti ha indicato le tre principali priorità del suo programma: ripresa del dialogo con Belgrado, lotta al virus di Wuhan e ripresa economica.
La normalizzazione delle relazioni con la Serbia è necessaria, atteso che da più di un anno c’è un congelamento dei rapporti bilaterali a causa della decisione di Pristina d’imporre dazi doganali del 100% sia alle merci serbe che a quelle in entrata dalla Bosnia-Erzegovina, altro Stato balcanico che non riconosce ufficialmente il Cossovo.
Hoti ha subito rimosso i dazi e, conseguentemente, a Belgrado il presidente serbo Aleksandar Vučić ha affermato che l’eliminazione delle barriere commerciali ha, in sostanza, spianato la strada al progresso nelle relazioni diplomatiche. «Credo anche che possano esserci buoni rapporti commerciali tra albanesi e serbi», ha detto infatti riferendosi agli albanesi del Cossovo.
Chiaramente, il nuovo governo ha impresso una vera e propria svolta alla ripresa dei rapporti con Belgrado, sula quale indubbiamente influiscono anche le pressioni americane. Secondo alcuni, un accordo potrebbe essere presto raggiunto con la ridefinizione dei territori di confine.
L’emergenza virus di Wuhan ha creato non pochi problemi a governo di Pristina, in primis sul piano finanziario, poiché il Fondo monetario internazionale (Fmi) ha stimato una riduzione della crescita del 5 per cento.
Si prevede che tutte le entrate, le rimesse, le esportazioni di beni precipiteranno a causa delle restrizioni di viaggio e dall’effetto della pandemia nei partner commerciali e nei paesi di origine delle rimesse.
Le misure di contenimento interno e la maggiore incertezza colpiranno la domanda. La risposta politica delle autorità agli shock è stata tempestiva e mirata. L’impatto della pandemia e le misure fiscali per contribuire ad attenuare questi shock hanno creato urgenti esigenze finanziarie e di finanziamento esterno, si evince da un rapporto dello scorso aprile del Fmi.
Il Cossovo è al momento agli ultimi posti in Europa per Pil, circa 3.300 euro secondo i dati relativi all’anno 2016, con una disoccupazione al 35%, in particolare quella giovanile, aspetto particolarmente critico in un paese nel quale i giovani costituiscono un parte consistente della popolazione.
Aprendo una finestra sull’operazione NATO KFOR, da anni comandata senza interruzione di continuità da generali di altissimo livello dell’Esercito italiano – attualmente al vertice è il Generale di Divisione Michele Risi -, la stessa assicura da sempre la sicurezza e la libera circolazione di tutte le comunità e le etnie nella ex provincia autonoma serba.
Al riguardo, dati gli eccellenti risultati ottenuti negli ultimi periodi a comando Italiano, è auspicabile che il ministro della Difesa Lorenzo Guerini eserciti tutta la sua influenza in ambito NATO per proseguire su questa strada, confermando ufficiali italiani in questo prestigioso incarico.
La forza multinazionale è stata in grado di mantenere la piena efficienza, nel rispetto delle norme sanitarie e del distanziamento, anche in una situazione difficile come quella che ormai tutto il mondo vive.
Il terzo punto del programma di governo resta comunque problematico, poiché la ripresa economica è legata alla conferma da parte del Fmi della concessione di finanziamenti tali da equilibrare la bilancia dei pagamenti in seguito all’emergenza Covid-19.
Il 16 aprile scorso il Comitato esecutivo ha approvato lo stanziamento di 51,6 milioni di euro.
In merito va però anche analizzata la posizione e le decisioni dell’Unione europea. Bruxelles ha nominato Miroslav Lajčak – ex alto rappresentante in Bosnia-Erzegovina ed ex ministro degli Esteri slovacco – quale rappresentante speciale per il dialogo tra Serbia e Kosovo.
I principali ostacoli all’azione dell’Ue risiedono nelle posizioni assunte da quei Paesi membri (Slovacchia e Spagna) che non hanno riconosciuto l’indipendenza cossovara e che quindi non assicurano un totale consenso in sede decisionale europea e spesso anche in quella NATO.
Lajčak ha recentemente dichiarato di accogliere con favore la decisione del governo del Cossovo di rimuovere le recenti misure di reciprocità, poiché «la rapida rimozione degli ostacoli alla ripresa del dialogo facilitato dall’Ue mostra un chiaro impegno del Kosovo a tornare al tavolo senza indugio».
Non va, comunque, mai dimenticato che la Serbia rivendica ancora il Cossovo come suo e che gli alleati storici della Serbia, inclusa la Russia, hanno bloccato l’adesione di Pristina alle Nazioni unite. Alcuni Paesi dell’Ue (gli alleati della Serbia e quelli che vogliono evitare di incoraggiare i separatisti al loro interno) ostacolano anche l’adesione del Cossovo all’Ue.
È ipotizzabile – e a Bruxelles lo sanno bene – che se s’indeboliranno le economie e le democrazie di Pristina e Belgrado entrambe saranno vulnerabili allo sfruttamento e influenza del soft power di Russia e Cina comunista.
In tale quadro assumono importanza le prossime elezioni nella Repubblica di Serbia, in calendario il 21 giugno.
Il Presidente del Congresso dei poteri locali e regionali del Consiglio d’Europa, Anders Knape, ha espresso fiducia nelle autorità governative serbe riguardo all’organizzazione di elezioni democratiche nonostante l’attuale crisi da Covid-19.
«Confido nella capacità della Serbia di aumentare le buone prassi nei giorni che precedono la data delle elezioni – ha affermato – e di assicurare che il voto sia organizzato nel pieno rispetto delle norme internazionali per elezioni libere ed eque, anche in questi tempi difficili», ribadendo poi che, nel contesto della crisi attuale, «il Congresso non potrà inviare una delegazione di osservatori, ma continuerà il dialogo e la cooperazione con le autorità serbe per l’attuazione dei principi europei di autonomia territoriale e democrazia».
Secondo gli analisti geopolitici dei Balcani la decisione di svolgere comunque le elezioni del presidente serbo Vučić, un ex ultranazionalista, giunge in virtù del suo desiderio di andare alle urne in tempi brevi, dato il possibile calo della sua popolarità a causa delle dure misure imposte nel corso dell’emergenza da virus di Wuhan.
Il futuro del governo di Pristina e del futuro del paese passa ancora una volta sia dalle elezioni in Serbia sia dalle decisioni delle potenze politiche ed economiche esterne, che poi sono sempre le stesse in tutto in mondo: Usa, Ue, Russia e Cina.
Non bisognerà aspettare molti giorni per capire cosa succederà nell’immediato.