di Michele Marsiglia, pubblicato su “L’Indro” il 12 Giugno 2020 – In questa ultima settimana, per chi segue l’escalation degli accadimenti in Libia, si sono susseguite dichiarazioni di cancellerie varie, lanci di agenzie internazionali, che, tra smentite e verità, hanno fatto emergere l’immagine di una Libia grande polveriera che potrebbe esplodere da un momento all’altro, contrariamente a quanto si voleva far sembrare fino a pochi giorni fa.
Non più tardi di quattro giorni fa Mustafa Sanallah, CEO della compagnia petrolifera libica NOC (National Oil Corporation), annunciava che la produzione petrolifera libica stava ripartendocon l’apertura dei giacimenti e pozzi che per questioni di sicurezza erano stati bloccati.
Maggiormente si citano le aree di El Sharara, dove è coinvolta la compagnia petrolifera di bandiera francese Total, con altre aziende dell’Oil & Gas quali Repsol, OMV, Equinor ed il giacimento di El Feel, dove opera la nostra ENI, nonché il principale campo di Mellitah, da dove parte il gas che arriva in Italia.
Neanche il tempo che i media internazionali battessero la notizia, che un gruppo di miliziani si precipita sul campo di El Sharara, nei pressi degli impianti e, armati, minacciano il blocco di qualsiasi operazione. Per di più, ad effetto domino continuano ad arrivare news che affermano il blocco di tutti i flussi di prodotto all’interno della nazione e per l’estero, citando come area principalmente danneggiata l’Italia.
L’Italia citata come danneggiata, ma allo stesso tempo l’Italia eletta come Paese strategico e decisivo nella delicata situazione libica che vede due pretendenti come Fayez al-Sarraj e Khalifa Haftar contendersi il dominio di questo grande e ricco Paese nordafricano.
Negli stessi attimi, le news sulla situazione libicavengono coperte da una partnership per il rifornimento di armi dall’Italia all’Egitto, Paese dove ancora, e da anni, pende per l’Italia la delicata “questione Regeni”, con l’Egitto accusato di sponsorizzare le forze del generale Haftar, Paesedove oggi è operativo uno dei giacimenti petroliferi più grandi al mondo scoperto e messo in produzione da ENI (si chiama Zohr).
Non bastasse, arriva la notizia che in poche ore viene confermato un via vai di viaggi aerei tra la Libia e i Paesi del sud America, ipotizzando complotti affaristici ed economici, nonché una possibile via di fuga del generale Haftar da una Libia vincente sotto le forze del premier di Tripoli al-Sarraj, insistendo su una possibile richiesta di aiuto al Venezuela e alle politiche di ugual veduta del Presidente Maduro.
Ma cosa sta succedendo in Libia? È forse pensabile che fino ad adesso la situazione sia stata normale, e che la vera ‘esplosione’ del conflitto si attenda a giorni, se non a ore?
Sicuramente per mesi abbiamo pensato che la Libia sarebbe stato per tanto tempo un Paese off-limits, ma oggi la cosa che sorprende di più è quella che le vere manovre politiche, economiche e di guerra -una guerra più su carta che di azione militare- si stiano combattendo in questi giorni, però con degli attori che stanno uscendo allo scoperto: diversi Paesi che vogliono essere presenti per poi spartirsi le risorse sia di ricostruzione del Paese, che, ovviamente, quelle petrolifere, se non nel complesso energetiche.
L’attenzione oggi deve essere massima per chi come noi di FederPetroli Italia osserva da anni e partecipa a quell’osservatorio internazionale ed industriale libico.
Abbiamo parlato di Turchia e, non è un mistero che sulla carta Ankara ha già preso dominio contrattuale su alcuni cantieri off shore nelle acque libiche; ci sono poi gli Emirati Arabi Uniti che, sponsorizzando in ombra uno dei due leader della Libia, hanno giocato le proprie carte per quando si dovrà fare la conta dei vincenti e dei perdenti; l’Egitto, che, in una veste istituzionale di Paese quasi neutrale, ha fatto capire che è presente e non si tirerà indietro; la Russia di Vladimir Putin, che nella Libia ha sempre sperato; ci sono, infine, gli Stati Uniti d’America che in Libia hanno adottato un low-profile mandando avanti quell’Europa fragile ed impotente in una contesa troppo difficile da gestire e dove le parti in gioco necessitano di una trasversalità di dialogo e di accordi che Bruxelles, per forze di cose, non riesce a mantenere e ad instaurare.
In questo momento qualcuno inneggia alla politica di allarme dei migranti verso l’Italia, un espediente per confondere le idee e le preoccupazioni di qualche cancelleria europea se non quella italiana, ma il vero problema non sono dieci barconi che arrivano sulle coste italiane.
La situazione continua a complicarsi, ed è proprio di qualche ora fa la notizia del rinvenimento di fosse comuni con decine di morti e corpi bruciati a circa ottanta chilometri da Tripoli. Le Nazioni Unite stanno già provvedendo all’invio di loro investigatori che procederanno alle indagini con la Polizia nazionale libica.
Tutti inneggiano alla tregua, una tregua cantata e sventolata, ma che ad oggi non ha nessun effetto di stabilità e che non riesce a confondere le idee della Comunità Internazionale, perché la Libia, ci si vuol credere o no, in questo momento, come tempo fa, vale più di tutto il Medio Oriente per l’industria e gli appetiti economici internazionali.