«I palestinesi che vivranno sotto l’autorità dello Stato ebraico israeliana in un’annessa Valle del Giordano non avranno diritto alla cittadinanza israeliana».
Sono le parole pronunciate nel corso di un’intervista rilasciata ieri dal neo premier Benjamin Netanyahu, con le quali «Bibi» ha inteso mettere bene in chiaro quali sono gli intendimenti politici del nuovo esecutivo recentemente formato con ciò che rimane della formazione Kahol Lavan di Benny Ganz.
Secondo il capo del governo e leader del partito Likud, territori e villaggi arabi della zona permarranno «enclave» amministrate dai palestinesi, ma sotto il controllo di sicurezza esercitato da Israele, si tratta di aree nelle quali, secondo le stime, vivono dai 50.000 ai 65.000 palestinesi.
Mentre si alternano altalenanti le ipotesi relative al controllo di sicurezza della città cisgiordana di Gerico, che conta 20.000 abitanti e un casinò che ai tempi del ritorno da Tunisi dei combattenti dell’Olp di Yasser Arafat, contribuì non poco alle casse della neonata Amministrazione nazionale palestinese (ANP).
Nel complesso gioco della politica e delle emozioni degli israeliani rivestono inoltre un ruolo fondamentale i timori nutriti dai coloni ebrei del West Bank, una parte dei quali critica il cosiddetto «Piano Trump» per la pace, riversando sul capo del governo e sul resto del suo esecutivo tutti i loro dubbi riguardo alla mappatura attualmente in corso oltreché quelle parti del piano stesso non ancora perfezionate rese pubbliche.
Poi ci sono le tensioni internazionali, a cominciare con i vicini “meno nemici”. Come la Giordania, che ha indotto recentemente il premier israeliano ha dichiarare alla stampa «di non credere» che Amman possa annullare l’accordo di pace con lo Stato ebraico qualora quest’ultimo dovesse davvero portare a termine l’annessione di ampie porzioni della Cisgiordania tra le quali rientrerebbe appunto la Valle del Giordano lungo la cosiddetta, ormai longeva, fascia di sicurezza.
«La pace con la Giordania è un interesse vitale non solo per lo stato di Israele, ma anche per Amman», ha poi sottolineato.
Egli ha quindi specificato che: «Qualsiasi congelamento della edificazione di insediamenti come parte del piano Trump si applicherebbe anche ai palestinesi», aggiungendo di essere attualmente impegnato nell’estensione della sovranità israeliana allo scopo di pervenirvi concretamente entro il mese di luglio, dopo che un team congiunto israelo-americano avrà completato la mappatura esatta dei luoghi che fungerà da base per le relazioni future.
Ulteriori dubbi e preoccupazioni vengono sollevati – in modo particolare dai coloni – riguardo all’inclusione da parte dell’amministrazione Usa nel piano di uno Stato palestinese, seppure limitato nelle competenze e nell’azione da tutta una serie di condizioni che gli verrebbero opposte, essi (i coloni ebrei) si oppongono infatti con veemenza all’Autorità palestinese di Ramallah, che ha invece respinto definitivamente il piano definendolo «a favore di Israele».
Queste incertezze sono anche il frutto delle dichiarazioni pubbliche dello stesso Netanyahu, che in un primo momento aveva sostanzialmente garantito il riconoscimento ufficiale da parte di Washington della sovranità israeliana su tutti gli insediamenti ebraici situati nella strategica Valle del Giordano, ma che poi è dovuto ritornare sui propri passi a seguito della pubblicazione dell’interpretazione autentica diffusa allo specifico riguardo dall’Amministrazione Trump, nella quale si chiariva che tale delicato processo avrebbe richiesto non pochi mesi per il proprio perfezionamento.
Dunque, allo stato attuale in Israele e nelle colonie ognuno prende in mano la matita e traccia delle linee a proprio piacimento sulle mappe, siano essi i coloni oppure i politici dei vari schieramenti ovvero i commentatori e gli analisti dei talk show.
A Netanyahu, oltre agli onori del suo ennesimo mandato da premier, spettano tuttavia anche le quotidiane gatte da pelare sul piano della comunicazione, che lo costringono a barcamenarsi tra una intervista sotto i riflettori accesi dei media internazionali, una rassicurazione all’opinione pubblica interna e un messaggio alla sua destra, che pretende che la questione del futuro Stato palestinese venga mantenuta rigorosamente separata da quella dell’annessione della Valle del Giordano.
Ed ecco allora che Bibi dichiara che «la dichiarazione di annessione non includerà una parola sull’accettazione di un futuro Stato palestinese» e che «la questione è separata, poiché il governo non dovrebbe pervenire ad alcuna decisione in merito».
Il concetto che da oggi in avanti egli vuole che entri nella “narrativa” è quello che ribalta il paradigma: se finora per giungere a ogni accordo di pace Israele ha sempre dovuto venire a compromessi, adesso con il sostegno di Donald Trump questo non si verificherà più e saranno i Palestinesi ad accettare le condizioni.
Il piano Trump include anche il congelamento per almeno quattro anni della realizzazione di insediamenti ebraici al di fuori di quelli già esistenti nell’area C, che insiste su quasi il 60% della Cisgiordania, nella quale vivono 450.000 coloni ebrei e 240.000 palestinesi, un’area che attualmente ricade sotto il pieno controllo sia civile che militare dello Stato di Israele.
Un congelamento che, secondo il Governo israeliano, andrebbe applicato anche nei confronti dei palestinesi.
Netanyahu ha inoltre tentato di rassicurare i coloni ebrei affermando che all’atto dell’esecuzione del piano nessun loro insediamento rimarrà un’enclave isolata all’interno di aree controllate dai palestinesi, poiché verranno sempre garantiti collegamenti stradali riservati e protetti.
«La gente sta parlando del piano senza conoscerlo – ha dichiarato un po’ stizzito il premier israeliano lanciando così una frecciatina alla sua destra -, poiché quello che esso in realtà prevede è che Israele e le sue forze di sicurezza controlleranno militarmente tutto il territorio a ovest del fiume Giordano, tutto il territorio senza eccezioni».