Va riconosciuto che il sistema escogitato dai narcotrafficanti per far passare in sicurezza la droga attraverso i confini degli Stati di produzione e di transito e, infine, di quelli di consumo (in questo caso l’Italia) era davvero ingegnoso: nascondere lo stupefacente all’interno di una moto d’acqua da competizione.
Tuttavia, questo non gli è valso egualmente il conseguimento del loro obiettivo: la spedizione di un notevole carico di cocaina dal Sud America all’Italia, dove avrebbe rifornito le piazze di spaccio della capitale e dei suoi dintorni.
Una spedizione sfortunata sotto tutti i punti di vista, poiché allora, già nel segmento di tratta interno al paese produttore, cioè il Perù, uno dei due automezzi a cui avevano fatto ricorso per il trasporto si era guastato lungo la strada per il Cile, una panne che aveva dimezzato il carico da imbarcare per l’Italia.
In seguito, a far fallire completamente l’affare dei narcotrafficanti erano state le forze di polizia cilene e italiane, in particolare gli uomini dei Carabiñeros de Chile (corpo militare da alcuni anni alle dipendenze del ministero dell’interno di Santiago) e – in collaborazione tra loro – la Guardia di Finanza e la Direzione Centrale per i Servizi Antidroga del Viminale italiani.
Operazione «Pacific Style». Sono stati proprio i militari del Comando provinciale delle Fiamme gialle di Roma a eseguire questa mattina l’ordinanza di custodia cautelare che era stata emessa dal Tribunale della capitale su richiesta della Direzione distrettuale antimafia (Dda) nei confronti di sette persone ritenute al vertice di un’organizzazione di narcotrafficanti dedita all’importazione di ingenti partite di cocaina dal Perù attraverso il Cile.
Le indagini per le quali si è proceduto oggi erano state avviate nel marzo del 2018 dopo l’arresto di cinque cittadini italiani trovati in possesso di 120 chili di cocaina al confine tra i due Paesi sudamericani, droga avente una purezza di oltre l’80% che era stata abilmente occultata nelle paratie appositamente scavate nella vetroresina della scocca di due acquascooter.
Come accennato, gli approfondimenti investigativi – eseguiti dal Gico (Gruppo investigativo sulla criminalità organizzata) del Nucleo di polizia economico-finanziaria, grazie anche al coordinamento internazionale reso possibile dalla Direzione Centrale per i Servizi Antidroga del Ministero dell’Interno – hanno avuto luogo in stretta collaborazione con i Carabiñeros cileni e hanno condotto all’individuazione di tutti i componenti lo strutturato sodalizio criminale, del quale gli arrestati costituivano la componente esecutiva.
Ostia e Fiumicino. Al vertice dell’organizzazione, localizzata dagli investigatori sul litorale romano tra Ostia e Fiumicino, vi erano personaggi noti alle Forze dell’Ordine per specifici precedenti di natura penale a loro carico, a carico dei quali non è comunque emerso alcun collegamento con i clan criminali strutturati di Ostia che sono stati al centro delle ultime attività giudiziarie nella capitale.
Essi, in concorso tra loro, avevano strumentalmente costituito un’associazione sportiva al mero scopo di dissimulare l’invio dei mezzi acquatici (gli acquascooter) in Sud America per dichiarate finalità agonistiche, facendoli partecipare alle competizioni nautiche.
Grazie alla complicità di un dipendente della società di spedizioni che curava il trasporto delle moto d’acqua, queste ultime venivano inviate in Perù ricorrendo alla pratica doganale cosiddetta di «temporanea esportazione», generalmente adottata in occasione di invii di materiali per competizioni sportive internazionali e, pertanto, considerata a basso di rischio di controllo.
Al fine di evitare che all’atto della spedizione all’estero si evidenziassero delle difformità riguardo al peso dei mezzi nautici, questi venivano riempiti di farina, sostanza successivamente sostituita con sessanta chilogrammi di droga nella fase che ne precedeva il loro rientro in Italia.
Il sodalizio criminale faceva affidamento su una base logistica in Cile, che provvedeva al noleggio di automezzi – che per la legge di quei paesi sudamericani devono essere autorizzati (i mezzi e i loro conducenti) agli specifici trasporti oltre la frontiera -, nonché all’acquisto di telefoni cellulari intestati a soggetti inesistenti, apparecchi indispensabili alle comunicazioni che venivano poi forniti ai corrieri.
Una metodologia testata fin dal 2017 che pareva soddisfare pienamente le esigenze di messa in sicurezza dei carichi di droga da spostare.
Un’organizzazione criminale strutturata. Inoltre, per il tramite di un suo membro, l’organizzazione di narcotrafficanti era anche in grado di reperire denaro da destinare ai familiari dei complici arrestati per le spese legali e il loro stesso sostentamento, aspetto che ne nette in luce lo spessore.
Malgrado la forzata interruzione della spedizione del carico di cocaina verificatasi a causa degli arresti effettuati in Cile nel 2018, l’organizzazione ha comunque continuato a operare, esprimendo capacità di reperimento di ingenti quantitativi di cocaina, questo però attraverso una mutazione delle modalità di esportazione dello stupefacente.
Infatti, una delle persone inquisite era stata arrestata nel luglio dello scorso anno in esecuzione di un mandato di arresto europeo emesso dalle autorità francesi in quanto coinvolto nel trasporto di 435 chili di cocaina, sostanza che era stata rinvenuta dalla polizia della Polinesia francese a bordo di una barca a vela nell’atollo di Apataki, mentre un’altra figura ritenuta dagli inquirenti di livello apicale all’interno dell’organizzazione era stata invece fermata due mesi prima in Perù poiché assieme ad altri cittadini italiani stava occultando 390 chili di cocaina in doppi fondi realizzati nel telaio di alcuni pick-up.
Sulla base degli elementi raccolti dal Giudice per le indagini preliminari (GIP) del Tribunale e su richiesta della Dda di Roma è stata dunque disposta la custodia cautelare in carcere per quattro delle persone coinvolte nel traffico internazionale di stupefacenti e la misura degli arresti domiciliari per un altro sodale e per due corrieri della droga al loro servizio.
Qualora quel carico fosse giunto a destinazione in Italia senza intoppi per i narcotrafficanti, dato il livello di purezza della sostanza, una volta ulteriormente tagliato si sarebbe moltiplicato nella sua quantità, portando a cinquecento i chilogrammi di cocaina immessi sulle piazze di spaccio, con un corrispondente guadagno milionario complessivo per la criminalità, dato il prezzo di commercializzazione all’utente finale che si aggira mediamente sugli ottanta euro al grammo.
Perù e Cile. A differenza del Perù, Paese fortemente interessato da coltivazione di sostanze stupefacenti, nel quale almeno il 15% degli addetti all’agricoltura è dedita alla coltivazione della pianta di coca, il Cile, nonostante la sua prossimità ai paesi andini produttori è forse il più sicuro del continente latino americano.
In esso, infatti, si registrano principalmente fenomeni di criminalità non legata agli stupefacenti e di microcriminalità, mentre il narcotraffico esistente riveste dimensioni ridotte, questo seppure storicamente il primo socio del famigerato Pablo Escobar fosse stato un cittadino cileno.
Fu la repressione posta in essere dal regime militare del generale Augusto Pinochet a debellare sostanzialmente questo genere di fenomeno criminale e oggi nel panorama regionale il Cile risulta essere quasi esclusivamente un produttore minore di cannabis, sostanza il cui consumo per altro la legge consente a fini terapeutici.
Tuttavia sul suo territorio operano alcune organizzazioni criminali transnazionali dedite al traffico di droga, esseri umani e ad altre attività illegali.
Inoltre, va ricordato che in Cile esistono delle industrie petrolchimiche nelle quali si producono alcune fondamentali sostanze impiegate nel processo di raffinazione della coca, potenziali fornitrici di precursori chimici per i laboratori clandestini dei paesi produttori dell’America Latina.
Infine, e lo si è visto anche nel caso dell’operazione «Pacific Style», negli ultimi anni il Cile è divenuto un paese chiave per il transito della cocaina, traffico del quale si registra un incremento, che viene gestito principalmente da organizzazioni boliviane e peruviane in collaborazioni con quelle locali.