A cura dell’Istituto Nazionale di Architettura – L’In/Arch esprime alla città di Genova il proprio profondo compiacimento per l’ormai prossima ultimazione del nuovo Viadotto sul Polcevera, che porrà termine a una strozzatura del sistema della mobilità che molti disagi ha creato alla cittadinanza tutta.
Esprime altresì i migliori auguri all’amico Renzo Piano, che ha contribuito a portare a termine un’operazione progettuale rilevante e complessa.
La soddisfazione che accompagna legittimamente questa circostanza non deve però far dimenticare una scelta tecnologicamente, culturalmente e urbanisticamente non condivisibile.
Continuiamo a deplorare il mancato restauro di un capolavoro dell’architettura e dell’ingegneria del Novecento come il Viadotto Morandi – sulla cui fattibilità si erano pronunciati esperti in conservazione delle strutture moderne di assoluta affidabilità – e la mancata reintegrazione del tratto crollato con un’opera davvero espressiva della “leggerezza” propria al nostro tempo.
Continuiamo a deplorare la mancata trasformazione del viadotto preesistente, reintegrato, in infrastruttura urbana complessa – dedicata alla circolazione veicolare locale, ma anche e soprattutto a quella ciclabile e pedonale – e la conseguente privazione della città di una piazza lineare affacciata sul mare davvero “mozzafiato”.
Continuiamo a deplorare la mancata realizzazione di un’arteria a scorrimento veloce tangenziale all’abitato urbano, confermando invece un tracciato autostradale che, proprio perché attraversa un insediamento intensamente abitato, avrebbe dovuto essere cambiato.
Se dunque la pur legittima euforia del momento non deve condurre alla rimozione di una memoria davvero scomoda per contenuto e modalità procedurali, pericolosissima appare l’assunzione della procedura che ha condotto alla rapida esecuzione del nuovo Viadotto sul Polcevera, quale modello per ogni realizzazione, pubblica o privata: un’aggiudicazione attraverso una selezione a inviti fortemente discussa e discutibile e una sospensione completa di tutti i dispositivi di legge, relativi al controllo tecnico e gestionale dei lavori in corso d’opera, non costituiscono un’alternativa credibile alla giungla burocratica che pur drammaticamente tiene in ostaggio il mondo delle costruzioni.
Le deroghe applicate al singolo caso non risolvono i problemi della paralisi delle opere pubbliche.
Se si ottengono risultati solo derogando alle regole vigenti vuol dire che tali regole non funzionano.
Occorre evitare di ricorrere a procedure eccezionali – come la sospensione di molte (troppe?) garanzie costituzionali ai tempi dell’emergenza Covid-19 – mentre è indispensabile superare la giungla burocratica attraverso la predisposizione di una nuova normativa delle costruzioni agile e rigorosa.