L’OPINIONE, Libia. Da guerra civile a conflitto regionale: l’Italia osserva… mentre termina il ramadan

Lo scenario libico e le prospettive future della situazione descritti da un ufficiale italiano che si occupa di strategia, insidertrend.it pubblica la sua personale opinione, un breve contributo utile alla definizione della questione nelle sue molteplici sfaccettature

di Giuseppe Morabito, generale a riposo dell’Esercito italiano e attualmente analista presso la Nato College Foundation – Quale è lo scenario oggi in Libia? Questo breve contributo cercherà di definire la questione nelle sue molteplici sfaccettature.

Dopo la “primavera” del 2011, una guerra civile a bassa intensità ha sconvolto in Libia, la conflittualità tra le parti in campo è poi aumentata nel 2014 dopo che le opposte fazioni hanno ignorato i risultati delle elezioni parlamentari e costretto il governo riconosciuto a livello internazionale del presidente Fayez al-Serraj a cercare rifugio nella Libia orientale.

Intanto, l’antagonista di al-Serraj, cioè il generale Khalifa Haftar, comandante dell’esercito nazionale libico (LNA), aveva lanciato un’offensiva per porre fine a una campagna terroristica islamista a Bengasi.

Nel 2015 le Nazioni Unite hanno tentato di negoziare un accordo per cercare di dare legittimità al governo di accordo nazionale (GNA), che, a Tripoli dal marzo 2016, da allora si trova de facto sotto il controllo delle milizie di Tripoli e Misurata.

I libici al di fuori della Tripolitania non riconoscono il GNA e continuano a lamentarsi della distribuzione di risorse e ricchezza, nonché dell’arricchimento definito «criminale» delle milizie nella regione della capitale.

Un’offensiva di Haftar su Tripoli condotta nell’aprile dello scorso anno ha reso vana l’iniziativa delle Nazioni Unite per una conferenza nazionale libica a Ghadames, dopo che già erano fallite iniziative simili.

Il GNA ha capacità militari limitate e ha cercato (e ottenuto) aiuto da Turchia e Qatar e, come detto,  viene “gestito” dalle milizie misuratine, che annoverano nelle loro unità un grande numero d’islamisti radicali, tra cui anche affiliati ad al-Qaeda, che costituiscono la spina dorsale delle forze in campo.

Diverse centinaia di jihadisti inviati dalla Turchia e provenienti dalla Siria hanno rinforzato il GNA all’inizio della battaglia per Tripoli.

Il trasferimento di mercenari terroristi ha sancito l’alleanza tra le milizie di Misurata – i più stretti alleati della Turchia in Libia – e i Fratelli musulmani, che hanno mantenuto una forte influenza sulla politica, sulla sicurezza e sull’economia della regione.

Il LNA è composto invece da unità dell’esercito supportate da milizie eterogenee e i suoi principali sostenitori stranieri sono l’Egitto e gli Emirati Arabi Uniti (EAU).

Definito lo scenario sul campo, è possibile affermare che la guerra civile in Libia è ora, dal punto di vista bellico, una guerra di logoramento con opposte fazioni che hanno capacità diverse.

A oggi l’LNA sta soccombendo, in quanto non è in grado di competere con le truppe filo-turche modernamente equipaggiate.

Queste ultime dispongono di droni da combattimento, capacità di guerra elettronica, artiglieria di precisione a lungo raggio, appoggio di navi da guerra e, soprattutto, buona capacità di difesa aerea.

Quindi, dal 20 maggio, dopo aver riconquistato l’ultima base LNA rimasta nella Tripolitania occidentale, quella di Al Wattiya, l’offensiva delle forze di al-Serraj ha acquisito slancio, mentre il LNA cerca di consolidare le sue posizioni nel sud di Tripoli.

Tornando alla presenza internazionale nell’area è evidente che molti altri paesi, oltre a quelli già citati, hanno interessi strategici importanti. La sicurezza occidentale è uno di questi interessi e riguarda principalmente l’attività  dei vari gruppi islamisti.

Le aree non controllate a ridosso dei confini sono porose e consentono numerosi traffici, tra i quali quello di esseri umani. Vi sono inoltre interessi legati alla promozione della democrazia o dell’islam politico e, infine, diversi paesi sono economicamente interessati allo sfruttamento degli idrocarburi.

Tra i vicini regionali della Libia ci sono Egitto, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita e Qatar e a questi si aggiungono la Turchia, la Francia, l’Italia e la Russia.L’instabile economia della Turchia ha bisogno della Libia quale importante destinazione delle proprie esportazioni e in tal senso si muove Ankara, con un occhio anche alla ricostruzione che, prima o poi, dovrà iniziare.

Di conseguenza, la sopravvivenza del GNA e un ruolo di primo piano per Misurata sono essenziali per gli interessi economici dei turchi.Anche il Qatar è un grande investitore in Libia, sia Doha che Ankara stanno fornendo armi ed equipaggiamenti militari a molte delle milizie pro-GNA, in particolare quelle di Misurata.

L’Egitto, il vicino più prossimo della Libia, sta osservando la crisi oltre il suo confine occidentale, perché la Libia è ora un possibile rifugio per i terroristi, inoltre la Libia, non va dimenticato, è anche un importante mercato del lavoro per quasi un milione di egiziani. L’Italia e la Francia hanno importanti interessi strategici in Libia, ma mentre per Roma l’economia (interessi ENI) e la migrazione dei clandestini sono i temi principali, la sicurezza regionale e l’antiterrorismo sono la priorità per Parigi.

Per Mosca, invece, il caos in Libia è un’opportunità per riguadagnare influenza nell’area; Mosca è interessata a stabilire un “testa di ponte” nel Nord Africa per ottenere una quota del settore della ricostruzione e all’influenza sull’industria degli idrocarburi, in particolare il mercato del gas.

Sebbene non vi siano interessi nazionali vitali americani in gioco in Libia, la sua instabilità costituisce una minaccia crescente per gli interessi statunitensi nella regione anche considerato l’atteso arrivo nell’area dei cinesi con interessi simili a quelli della Russia.

Dal punto di vista geopolitico “africano” nessuno, per ora, parla apertamente della possibilità che la Cirenaica si separi dal resto della Libia a seguito della sconfitta del LNA in Tripolitania o di un cessate il fuoco definitivo sotto egida ONU.

Questo perché l’accordo marittimo turco-libico che tracciava le zone economiche esclusive, un accordo d’importanza cruciale per la Turchia, diverrebbe irrilevante tutto a favore del Cairo.

Se ci fosse, infatti, un’escalation militare tra Ankara e Il Cairo sulla Libia, l’Egitto è in una posizione privilegiata per fornire supporto logistico diretto senza rischio d’intercettazioni. Gli aerei da combattimento, anche emiratini, sarebbero in grado di attaccare obiettivi in ​​tutta la Libia direttamente dalle basi dell’Egitto occidentale.

Anche le forze di terra egiziane potrebbero intervenire se necessario, inoltre gli aerei da trasporto turchi, i droni o i combattenti presenti in Libia potrebbero essere facilmente intercettati e neutralizzati.

Nel complesso scacchiere appena descritto, si deve sperare che la Turchia non diventi il partner economico favorito della Libia (occidentale) perché questo danneggerebbe fortemente la posizione delle varie parti interessate europee, in particolare Italia e Francia.

La Turchia acquisirebbe inoltre una posizione più importante sul mercato europeo del gas e sarebbe in grado di influenzare le consegne attraverso il gasdotto Green Stream (gestione ENI) che attraversa la Libia occidentale verso l’Italia.

Inoltre, la Turchia sarebbe in grado di controllare anche i flussi migratori dal Mediterraneo orientale verso l’Europa, fatto che aumenterà in modo significativo la sua capacità di esercitare pressioni sull’Unione europea, come già ha fatto nei mesi scorsi al confine con la Grecia e la Bulgaria.

La Turchia potrebbe continuare a espandere la sua influenza politica ed economica verso la Tunisia, l’Algeria e gli stati del Sahara meridionale.

Ciò includerebbe probabilmente il sostegno a gruppi, come i Fratelli musulmani, e ciò sarebbe la causa di un possibile ulteriore attrito con la Francia.

In conclusione, la guerra civile della Libia, nata come una questione interna, è diventata nel tempo una tipica guerra per procura.

Il supporto internazionale è fondamentale per entrambe le parti e non si prevede una fine imminente, come del resto non vi è a breve la possibilità di una posizione internazionale unificata sulla Libia o di una risoluzione tra le due parti principali, perché percepita come unificazione di tutti gli sforzi contro il LNA.

Il presidente turco Reçep Tayyip Erdoğan è convinto di uscirne vincitore e per questo sta profondendosi in sforzi militari ed economici.

L’Egitto è riluttante a essere coinvolto in quello che potrebbe essere un conflitto prolungato e costoso.

La Russia ha capacità di proiezione oggi limitate ed evita di coinvolgere direttamente le forze armate turche in Siria e quindi è titubante a farlo in Libia.

Un accordo politico/diplomatico è oggi meno probabile rispetto a una decisione militare, ma con la potenziale sconfitta del LNA da parte di al-Serraj ed Erdoğan non si risolverebbero i problemi della Libia.

In effetti, la situazione potrebbe aggravarsi e portare a un conflitto regionale lasciando l’Europa e gli Stati Uniti e quindi la NATO (meno la Turchia) a convivere con il risultato.

L’Italia e il suo governo continuano una politica di basso profilo, come se uno degli effetti collaterali del virus di Wuhan fosse creare crisi di sonno.

Mentre il mondo arabo festeggia la fine del mese sacro del ramadan e si interroga sul suo futuro, la Turchia, se non bastasse quanto combina in Libia e Corno d’Africa, provoca la vicina Grecia fingendo di occupare per errore lembi di territorio sul confine, la Cina comunista compra aree commerciali importanti a Taranto (dove c’è anche la base principale della nostra Marina militare), dichiara di essere a un passo dalla “seconda guerra fredda” e minaccia la democratica Taiwan di “riunificarla”, i paesi “amici rigoristi” del Nord Europa creano problemi agli aiuti potenziali in arrivo da Bruxelles, in Italia forse sarebbe il caso di fare politica estera.

Invito a riflettere sull’ affermazione di Henry Kissinger: «Quando è in atto una crisi, la passività non fa che accrescere l’impotenza: alla fine ci si trova costretti ad agire proprio sui problemi e nelle condizioni di gran lunga meno favorevoli».

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