CINA, Vaticano. Misteri del clero cinese: arrivano i necrologi ufficiali dei vescovi morti nei mesi scorsi nella Repubblica Popolare

Tutti e tre molto anziani erano di fatto ormai fuori dall’attività pastorale attiva. Dietro questi “ritardi” la sottile ma profonda dialettica tra la Santa Sede e le autorità comuniste di Pechino

Questa mattina fonti ufficiali della Santa Sede hanno reso nota la notizia della morte di tre vescovi della repubblica Popolare cinese.

Si tratta di Andrea Jin Daoyuan (deceduto il giorno 20 novembre del 2019), di Giuseppe Ma Zhongmu (della cui morte aveva dato notizia l’agenzia stampa Asia News lo scorso 26 marzo) e di Giuseppe Zhu Baoyu (deceduto il giorno 7 maggio a seguito della contrazione del coronavirus, malattia dalla quale era comunque guarito, anche in questo caso la notizia è stata diffusa da Asia News).

Il sistema di informazione vaticano ha potuto quindi dare risalto alle dichiarazioni ufficiali e alle biografie ufficiali dei tre religiosi scomparsi, tre vescovi erano molto anziani, avendo superato tutti la soglia dei novanta anni, uno di loro era addirittura centenario.

Andrea Jin Daoyuan, vescovo ufficiale emerito definito «senza giurisdizione» della diocesi di Changzhi/Luan, nello Shanxi, nella Cina continentale, annoverato nell’elenco diocesano con la funzione di “sacerdote” e risultato ritiratosi nel 2002.

La data di nascita di Jin Daoyuan non è chiara, l’anagrafico ufficiale della Santa Sede la colloca al 13 giugno del 1929 nel villaggio di Beishe, distretto di Lucheng; egli è stato ordinato sacerdote a Pechino all’inizio del luglio 1956 e, nel quadro della particolare situazione repressiva degli anni Cinquanta, venne arrestato dalle autorità dello Stato comunista e incarcerato per tredici anni.

Potrebbe essere uno dei vescovi riconciliati con la Santa Sede dopo l’accordo del 2018, o forse anche prima.

Il mongolo Giuseppe Ma Zhongmu al momento della sua morte aveva 101 anni, vescovo emerito di Yinchuan/Ningxia, non aveva tuttavia ottenuto il riconoscimento dalle autorità di Pechino; nella storia vaticana risulta essere stato il primo e finora unico prelato di etnia mongola, il suo nome nella propria madrelingua era Tegusbeleg; dal 2005 si era ritirato a vivere nel villaggio di Chengchuan, in Mongolia interna, dove aveva visto i natali nel novembre del 1919, località nella quale aveva anche svolto le funzioni di parroco.

Nel 1958, dopo aver rifiutato di aderire all’Associazione patriottica, venne condannato ai lavori forzati; dieci anni dopo venne liberato, ma costretto a lavorare come operaio in un impianto idrico del suo villaggio; nell’aprile del 1979 venne riabilitato e poté quindi riprendere il ministero sacerdotale; l’8 novembre 1983 fu consacrato Vescovo per la cura pastorale dei fedeli di etnia mongola di Yinchuan/Ningxia da monsignor Casimiro Wang Milu; nel 2004 la Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli gli inviò una croce pettorale in segno di riconoscimento e di comunione, nel 2005 cessò di esercitare la propria attività pastorale e con l’aiuto di alcuni fedeli si dedicò alla traduzione in lingua mongola del Nuovo Testamento e del Messale romano.

Secondo il necrologio pubblicato dalla sua diocesi, egli riuscì a tradurre il Messale romano in mongolo, inviandolo in seguito in Vaticano per l’approvazione, ma – affermano le fonti di oltre Tevere – «purtroppo nessuno a Roma conosceva la lingua mongola» e la traduzione, quindi, non venne approvata; le esequie di monsignor Ma Zhongmu è stata celebrata il 27 marzo scorso nel piccolo villaggio dove risiedeva alla presenza del vescovo di Hohhot Paolo Meng Qinglu e di due altri sacerdoti, alla funzione non è stata però permessa la partecipazione di altri sacerdoti, nonché di fedeli, questo anche in ragione del rischio di contagio da coronavirus.

Giuseppe Zhu Baoyu, 99 anni, vescovo emerito di Nanyang, in Henan, è invece deceduto presso il convento delle suore della Congregazione diocesana dell’Immacolata Concezione nel quale viveva.

Era nato il 2 luglio del 1921 a Pushan, in Henan, avendo perso il padre all’età di sei anni la madre lo affidò all’orfanotrofio cattolico di Jingang; dopo l’ordinazione sacerdotale svolse il suo ministero in diverse località della Diocesi di Nanyang; dal 1964 al 1967 venne condannato ai lavori forzati, a motivo della fede; in seguito gli fu concesso di tornare a Pushan, dove esercitò il ministero in segreto; nel 1981 venne nuovamente condannato alla pena di dieci anni di lavori forzati per comportamenti anti-rivoluzionari; liberato nel 1988, riprese a esercitare la sua attività sacerdotale in diverse parrocchie,

Il 23 novembre 2002 venne incardinato vescovo ordinario nella diocesi di Nanyang e da allora fu membro della comunità cristiano-cattolica non ufficiale; nel 2010 si mise a riposo, conseguentemente il Vaticano nominò monsignor Jin Lugang quale ordinario.

Tuttavia, subito dopo le sue dimissioni, monsignor Zhu chiese di essere riconosciuto ufficialmente, un aspetto controverso, poiché da oltre Tevere si afferma che a tal fine le autorità della Repubblica Popolare cinese a tal fine su di lui abbiano invece esercitato pressioni sta di fatto che Pechino lo insediò come vescovo ordinario, non tenendo conto delle dimissioni che il vecchio religioso aveva precedentemente presentato al Vaticano.

Nel febbraio scorso era stato ricoverato in ospedale in quanto affetto da Covid-19, dal quale, però, era poi guarito. I suoi funerali si sono svolti a Jinggang il 9 maggio del 2020.

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