VATICANO, finanze e amministrazione. Cambiamenti introdotti nell’APSA e nella Segreteria per l’Economia

Bergoglio sposta il centro elaborazione dati dalla Sezione ordinaria dell’APSA alla Segreteria per l’Economia

Il database dell’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica (APSA), organismo che oltre Tevere ha la competenza della gestione economica del patrimonio, passerà alla Segreteria per l’Economia.

Questo in forza di un rescritto breve del papa, che in soli tre punti ha disposto lo spostamento del centro elaborazione dati (CED), certificando in questo modo la sempre maggiore centralità della Segreteria per l’Economia.

Essa, di fatto, rafforza le sue funzioni di controllo, vedendosi conferite le possibilità di esaminare anche in via retrospettiva le operazioni effettuate, questo mentre l’APSA manterrà un profilo essenzialmente finanziario, che per altro si era già andato delineando in virtù della riforma varata nel 2013, mediante la quale i consultori erano stati parificati ai membri di un supervisory board.

Nel rescritto citato si legge che lo spostamento amministrativo ha luogo «considerata la necessità di provvedere una più razionale organizzazione dell’informazione economica finanziaria della Santa Sede e di informatizzare i modelli e le procedure sottostanti, così da garantire la semplificazione delle attività e l’efficacia dei controlli, in quanto fondamentali per il corretto funzionamento degli organismi della Curia romana».

Lo spostamento è avvenuto grazie a un protocollo di intesa firmato dall’attuale presidente dell’APSA monsignor Nunzio Galantino e da padre Juan Antonio Guerrero Alves, prefetto della Segreteria per l’Economia.

Infine, il pontefice ha disposto il trasferimento della responsabilità del CED, che salvo eccezioni di convenienza tutto il personale del CED passi sotto la responsabilità della Segreteria per l’Economia e che il prefetto della Segreteria per l’Economia garantisca la riorganizzazione del servizio.

Nel passato le competenze del CED sono state più volte oggetto di mutamento di attribuzione nel corso della riforma dell’economia vaticane, infatti, all’atto dello stabilimento della Segreteria per l’Economia il controllo delle operazioni era divenuto competenza del nuovo ministero delle finanze vaticano.

Nel 2016 però, papa Francesco con il motu proprio “I beni temporali” aveva ristabilito la separazione tra vigilanza e gestione, superando alcune anomalie riscontrate nello statuto della Segreteria per l’Economia, quale, ad esempio,  il fatto che la Segreteria dovesse fornire i servizi amministrativi e tecnici necessari per l’attività ordinaria dei dicasteri della Santa Sede.

Quello compiuto oggi è sostanzialmente un passo indietro all’inizio della grande riforma dell’economia vaticana varata da Francesco, che prevede comunque ulteriori aggiustamenti che in alcuni casi vanno a ripristinare situazioni precedentemente corrette.

Permane in ogni caso aperto il dibattito relativo alla gestione degli investimenti finanziari, dato che con la costituzione della Segreteria per l’Economia si era pensato di stabilire un Vatican Asset Management dedicato a una gestione centralizzata degli investimenti, per i quali c’era stata, in generale, autonomia da parte dei vari dicasteri.

Un progetto mai sviluppato, anche perché era rimasta aperta la questione sulla natura del fondo, in grado di assumere le diverse fisionomie di “fondo sovrano” legato all’APSA oppure di “fondo finanziario” gestito secondo le regole di mercato.

Una diatriba che aveva costretto la Segreteria per l’Economia a firmare un contratto di revisione esterna dei conti con Pricewaterhouse Cooper, atto in seguito rinegoziato, anche in ragione della disputata funzione della revisione contabile affidata all’Ufficio del Revisore Generale, come avviene di regola in ogni Stato sovrano.

Ultimamente, in particolare dopo le recenti vicende di natura finanziaria derivanti dall’acquisto di un immobile di pregio a Londra che ha portato poi a perquisizioni e indagini negli uffici della Segreteria di Stato, si è riproposto il tema della gestione centralizzata degli investimenti.

Evidentemente, in questa fase è la Segreteria dell’Economia diretta dal gesuita Guerrero a godere della fiducia di Bergoglio, un ente che assume centralità nel quadro del riassetto della gestione finanziaria vaticana, che, negli auspici ufficiali espressi oltre Tevere, è stato concepito allo scopo di condurre in futuro non solo a un maggiore controllo, ma anche a generare maggiori profitti.

La decisione del papa rientra dunque nella più ampia e complessa riorganizzazione degli investimenti della banca centrale del Vaticano.

Allo scopo di portare a termine tale razionalizzazione degli investimenti sono state chiuse negli scorsi giorni nove società facenti riferimento all’APSA esistenti in Svizzera e il loro patrimonio – pari a 40,3 milioni di franchi svizzeri di attivi e 12,7 milioni di debiti verso terzi – trasferito sotto il controllo della holding ginevrina Profima Société Immobilière et de Participations, costituita nel 1926 dal banchiere Bernardino Nogara su incarico di Pio XI.

Si tratta di società che allora vennero costituite allo scopo di investire l’ingente somma di denaro pubblico versata al vaticano dallo Stato fascista guidato dal dittatore Benito Mussolini a seguito della stipula dei cosiddetti «Patti Lateranensi».

Il risultato di questa razionalizzazione ha portato l’APSA a ridurre il numero di consigli di amministrazione, di amministratori delegati e di revisori.

Permangono le tre holding dell’APSA all’estero: Profima in Svizzera, British Grolux Investments in Gran Bretagna e Sopridex sa in Francia.

La razionalizzazione servirà anche a cercare di gestire le perdite di bilancio vaticane, attese elevate nel consuntivo di quest’anno. Nella riunione dei capi dicastero del 3 maggio scorso si è parlato dell’impatto della crisi coronavirus sulla Curia e sono stati delineati tre possibili scenari futuri in ordine all’economia di oltre Tevere.

Sempre nei giorni scorsi, padre Guerrero, aveva affermato che la Santa Sede registra un buco di bilancio pari a 50 milioni l’anno, «poiché ha 320 milioni di spese e 270 milioni di entrate, in buona parte provenienti da donazioni e rendimenti di immobili».

Condividi: