STRATEGIA, coronavirus e competizione globale. Gli Usa vinceranno la Terza guerra mondiale con il vaccino contro il Covid-19?

Washington sta investendo cifre stratosferiche in ricerca e sviluppo, anche i cinesi sono in fase di avanzata sperimentazione. Chi arriverà per primo alla produzione di dosi adeguate al proprio fabbisogno disporrà di un’arma formidabile che lo porrà in una posizione di enorme vantaggio rispetto al suo competitor. Il 10% di Pil perduto in un anno sarebbe sufficiente a rimettere in discussione gli attuali equilibri? A insidertrend.it ne parla il Generale CARLO JEAN, analista, già Direttore del Centro Alti Studi Difesa

In una situazione come quella attuale (e in prospettiva anche futura) caratterizzata da una profonda crisi economica generata dagli effetti dei contagi da Covid-19 l’umanità attende trepidamente la produzione in massa di un vaccino che possa finalmente trarla fuori dalla pandemia.

Tuttavia, il potere salvifico del farmaco miracoloso, quando e come verrà realizzato, non sarà disponibile per tutti, questo almeno nella prima fase della sua produzione.

È oltremodo evidente come esso, una volta sperimentato e quindi brevettato, non potrà venire prodotto in quantità sufficienti a soddisfare le necessità della totalità dei miliardi di persone che vivono sul pianeta Terra.

Ed è altresì intuitivo che, perdurando in peggio le complessive condizioni economiche mondiali, coloro i quali ne potranno disporre in quantità adeguate per primi si troveranno in una posizione di vantaggio su diversi piani: economico, sociale, politico (anche e soprattutto a livello internazionale mediante il potenziale soft power) e, financo, militare.

Per arrivare primi al vaccino è in atto una competizione senza esclusione che vede protagoniste in primo luogo le due potenze mondiali, Usa e Cina, tutti intenti nella ricerca, con Washington che nei giorni scorsi pare abbia messo a segno un bel colpo, aggiudicandosi i favori di una delle multinazionali “campione”  di Francia, quella Sanofi che – suscitando l’acredine dell’algido inquilino dell’Eliseo – ha reso noto ufficialmente che i primi beneficiari dei risultati delle proprie ricerche saranno gli americani, poiché essi (attraverso il loro governo per il tramite di un’agenzia federale) stanno partecipando al programma con notevoli stanziamenti di fondi, nell’ordine dei miliardi di dollari.

Una volta avviata la produzione la Sanofi riserverà dunque agli Usa qualcosa come sessanta milioni di dosi del vaccino, un bene sicuramente pubblico, aspetto che – con tono piccato – è stato rivendicato dal presidente francese Macron, personalità, però, perfettamente al corrente della sproporzione negli investimenti tra ciò che hanno speso gli americani e quanto invece ha fatto finora Parigi, cioè 130 milioni di euro nelle forme di credito d’imposta.

Quello dei tentativi di realizzazione e messa in produzione di un vaccino, per altro tra mille incertezze, è uno sforzo ciclopico che ha indotto sia gli Usa che la Cina a impegnare gigantesche risorse.

Infatti, per le multinazionali della farmaceutica si tratta di una ricerca ad alto rischio che, in quanto diretta allo sviluppo di farmaci innovativi, impone enormi investimenti che ovviamente pretendono una remunerazione nella successiva fase della produzione e commercializzazione del prodotto sul mercato.

È dunque possibile produrre un vaccino del genere intendendolo nel senso di «bene pubblico universale»?

Certamente sì, tuttavia bisognerebbe destinarvi delle risorse concrete, poiché gli esercizi di retorica sull’argomento non sono sufficienti.

Allo scopo, in maggio allo la Commissione europea ha iniziato ha raccogliere denaro giungendo a conferire in un fondo dedicato circa sette miliardi di dollari, ma a questo punto il problema è sempre lo stesso: nella struttura dell’Unione europea non esiste (poiché non è previsto che esista) qualcosa che somigli all’agenzia federale statunitense competente nella specifica materia (la Biomedical Advanced Research and Development Authority, BARDA), dato che della Sanità si occupano in massima parte i singoli Stati membri.

In ogni caso si tratta di cifre neanche lontanamente paragonabili a quelle stanziate negli Usa. A Bruxelles saranno dunque in grado di pervenire alla concentrazione in un accordo di cooperazione dei potenziali sforzi che potrebbero profondere allo scopo i settori pubblici e l’industria privata europea?

Nel frattempo, l’enorme quantità di denaro stanziato oltre oceano in una serie di progetti di ricerca e sviluppo, condotti sia da enti pubblici che da imprese private (incluse società estere) hanno portato a dei risultati, al punto che l’Amministrazione in carica – forse anche in vista delle prossime elezioni presidenziali di novembre, ma questa è un’altra storia – ha autorizzato la produzione e la messa in commercio di un vaccino sperimentato ma ancora privo dell’autorizzazione che la legge statunitense in questi casi prevede venga concessa in via preventiva dalla Food and Drug Administration (FDA).

Attualmente, nei laboratori di ricerca di almeno dieci grandi gruppi industriali del settore chimico-farmaceutico si è pervenuti a una fase avanzata di sperimentazione di possibili vaccini contro il Covid-19, quattro di essi sono riconducibili alla Repubblica Popolare cinese, il resto sono multinazionali.

Ma, quali potrebbero essere le conseguenze di una primazia cinese sul vaccino contro il Covid-19 e quali quelle invece di un successo americano?

In entrambi i casi esse non si spiegherebbero soltanto nei termini prettamente sanitari della prevenzione, in quanto investirebbero anche altri fondamentali campi, in primo luogo quello economico, poi – in uno stretto legame con questo -, anche quelli strategico e politico.

Lo sviluppo e la produzione di un vaccino si rifletterà positivamente sull’immagine del Paese che avrà conseguito questo importante risultato, che a quel punto sarà avvantaggiato nei termini dell’esercizio di diverse forme di soft power rispetto al suo competitor.

Dunque, se la rapida ed esclusiva disponibilità del vaccino contro il Covid-19 non si configura esclusivamente come un obiettivo di politica industriale, si riesce a comprendere meglio il perché Washington per ottenere il risultato ricorra anche a onerose ricerche condotte da società non statunitensi.

La competizione è tutta qua: soltanto chi avrà in mano per primo la formula e, aspetto non certo secondario, sarà capace di approntare un apparato industriale in grado di fabbricare materialmente e velocemente le dosi di vaccino delle quali necessità si troverà in una posizione di vantaggio rispetto al suo avversario globale, dato che soltanto alcuni mesi di ritardo nella vaccinazione di categorie strategiche della popolazione di un paese incideranno negativamente e in maniera profonda sulla sua economia.

In questi giorni lo stiamo sperimentando anche noi in Italia sulla nostra pelle, cosa vuol dire un blocco più o meno generalizzato delle attività produttive e delle catene del valore in un quadro globale di profonda crisi economica.

Infatti, la perdita di una quota pari al 10% di prodotto interno lordo magari non incapaciterebbe uno dei due competitor, però ne frenerebbe il consolidamento economico, politico e militare frustrandone le ambizioni espansive a livello globale.

In seguito le conoscenze scientifiche relative al vaccino troverebbero sicuramente diffusione e, in parallelo, si rinverranno anche diffuse capacità industriali che renderanno possibile la produzione di miliardi di dosi a beneficio di buona parte dell’umanità, ma sarà una fase successiva a quella, se non decisiva quasi, della definizione delle posizioni di primato in chiave di influenza e potere mondiale di una delle attuali potenze mondiali.

A247 – CORONAVIRUS, IL VACCINO E LA COMPETIZIONE GLOBALE TRA USA E CINA: Donald Trump vincerà la Terza guerra mondiale con l’arma del vaccino contro il Covid-19? Washington sta investendo cifre stratosferiche in ricerca e sviluppo, ma anche Pechino è in una fase di avanzata sperimentazione.
Chi arriverà per primo alla produzione di dosi adeguate al proprio fabbisogno disporrà di un’arma formidabile che lo porrà in una posizione di enorme vantaggio rispetto al suo competitor.
Il 10% di Pil perduto in un anno sarebbe sufficiente a rimettere in discussione gli attuali equilibri?
A insidertrend.it il Generale CARLO JEAN affronta l’argomento sotto diversi aspetti: economico, politico, sociale, militare.
Il Generale di Corpo d’Armata (alpino) Carlo Jean – già Direttore del Centro Alti Studi Difesa, Presidente della SOGIN (Società di gestione degli impianti nucleari) e docente alla LUISS Guido Carli – è un esperto di strategia militare e di geopolitica; egli ha al suo attivo numerosi articoli e pubblicazioni in materia di geopolitica e geoeconomia.
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