Il nuovo governo di emergenza nazionale israeliano presieduto da Benyamin Netanyahu e da Benny Gantz ha finalmente giurato davanti alla Knesset, i due premier guideranno l’esecutivo alternandosi ogni diciotto mesi, l’uno dopo l’altro.
Settantasei i voti a favore e quarantasei quelli contrari, un voto che gli aveva conferito la fiducia del palamento ponendo così fine a oltre un anno di stallo politico nel Paese.
In precedenza, la Knesset, con settantatré voti a favore, aveva deliberato in ordine al suo nuovo presidente conferendo l’incarico a Yariv Levin, esponente del Likud che ha sostituto il dimissionario Ganz.
La compagine ministeriale verrà formata da trentasei ministri e sedici viceministri, dunque è la più numerosa nella storia dello Stato ebraico.
L’importante atto, che pone fine a una situazione di incertezza nel Paese che aveva costretto a tre consultazioni elettorali in un anno, è stato perfezionato in ritardo a causa dei dilanianti contrasti divampati giovedì scorso in seno al Likud, generati dall’insoddisfazione veementemente manifestata da alcuni influenti membri del partito di destra di Netanyahu che si erano visti escludere dagli incarichi ministeriali, oppure che non avevano gradito quelli per i quali erano stati indicati.
Diversamente è invece andata nel campo dell’altro azionista di riferimento del nuovo esecutivo di Gerusalemme, la coalizione di centro e liberale Kahol Lavan, che si è recentemente lasciata alle spalle la dolorosa frattura provocata dall’allontanamento di uno dei suoi leader più rappresentativi, il giornalista Yair Lapid, strenuo accusatore di Netnyahu, quest’ultimo, però, alla fine divenuto “necessitato” partner di governo di Benny Ganz.
Ma, si sa… la politica è l’arte del possibile, un assunto di particolare validità soprattutto in fai critiche come quella attuale. E, dunque, Kahol Lavan ha ottenuto una serie di importanti dicasteri quali la Difesa – assegnato allo stesso Gantz, venerdì scorso dimessosi allo scopo da presidente della Knesset -, gli Esteri all’ex capo di stato maggiore di Tsahal Gabi Ashkenazi e la Giustizia ad Avi Nissenkorn.
Tra le novità di questo nuovo esecutivo il conferimento del delicato incarico di ministro dell’Immigrazione all’ebrea di origini etiopi Pnina Tamano-Shata, esponente di una delle comunità costituenti il popolo ebraico spesso emarginata nella società israeliana, i falascià, noti anche come «Beta Israel». È la prima volta che questo accade in Israele.
Ora il neonato esecutivo avrà l’arduo compito di affrontare le difficili problematiche inerenti alla sicurezza, alla sanità e all’economia, le tre priorità nella prossima azione di governo nato dall’emergenza, mantenendo il focus sulla possibile seconda ondata di contagi da coronavirus, il nemico regionale (l’Iran) e l’estensione della sovranità dello Stato ebraico a parti della Cisgiordania, in particolare alla «fascia di sicurezza» estesa ormai da decenni lungo la Valle del fiume Giordano.