L’OPINIONE, geopolitica. Analisi di scenario: le riflessioni di Tiberio Graziani, chairman di Vision & Global Trends

L’Eurasia e i suoi nemici: elezioni negli Usa; pandemia da Covid-19; relazioni internazionali e attori globali; Donald Trump e la Cina

di Tiberio Graziani, chairman di Vision & Global Trends – Elezioni Usa. A causa della pandemia, risulta molto difficile fare previsioni riguardo alle elezioni presidenziali degli Usa. Fino a pochi mesi fa, la rielezione di Trump era data per scontata.

Il lockdown globale dovuto al coronavirus, l’aumento di disoccupati (stimato tra i 25 e i 30 milioni), il crollo del prezzo del petrolio e le affermazioni “originali” di Trump concorrono a creare un clima di sfiducia nei confronti dell’attuale amministrazione repubblicana.

Ciò, tuttavia, non si traduce automaticamente in un vantaggio per il Partito democratico che ancora fa fatica a compattarsi dietro Joe Biden.

I colpi sferrati da Trump nel corso del suo mandato contro il cosiddetto deep state ha destabilizzato non soltanto il Partito democratico, ma anche le alleanze trasversali di grandi e potenti gruppi di pressione nei campi dell’industria e della finanza.

Si potrebbe dire che, in questo periodo, negli Usa, ma anche in altri Paesi del cosiddetto Mondo occidentale, la politica non goda di buona salute. Pare anch’essa affetta da uno strano virus…

Il clima di sfiducia generalizzato che serpeggia fra tutti gli statunitensi premierà, molto probabilmente, quel candidato che meglio sarà capace, da ora a novembre, di negoziare con le lobbies Usa, la Fed e il Pentagono e che, soprattutto, darà loro prova di una concreta affidabilità.

Seguendo questa logica, il candidato vincente dovrebbe essere Biden. Comunque, sia che venga eletto Biden sia che venga riconfermato Trump, gli statunitensi avranno una presidenza “commissariata” dai grandi gruppi industriali, dalla finanza e dagli investitori nelle infrastrutture digitali, che, grazie anche alla pandemia, stanno assumendo un ruolo decisionale crescente.

Nel caso di una prossima amministrazione guidata da Biden, la grande strategia Usa in campo internazionale non cambierà.

I nemici saranno sempre Pechino e Mosca: i due polmoni della massa eurasiatica. Verosimilmente, la nuova amministrazione cercherà di giocare, a seconda della convenienza, Mosca contro Pechino, Pechino contro Mosca, Nuova Delhi e Mosca contro Pechino.

Parimenti Washington tenterà di indebolire ulteriormente Francia e Germania con lo scopo di rafforzare la propria produzione manufatturiera.

La nuova amministrazione Usa avrà il compito di ridefinire le tradizionali alleanze sorte dopo il secondo conflitto mondiale nel quadro di una riformulazione di un nuovo ordine internazionale.

Washington sarà costretta a rafforzare le sue relazioni con la Gran Bretagna, con Israele e il Giappone. Il rafforzamento della special partnership con Londra avrà lo scopo di aiutare Washington a controllare i Paesi dell’Europa continentale, contenere le mire egemoniche di Parigi e Berlino e, nell’ambito internazionale, a condizionare il mercato finanziario mondiale.

Sempre nel quadro del controllo dell’Europa e del “contenimento” o, meglio, della destabilizzazione della Russia, Washington proseguirà nella sua politica di “amicizia” con Varsavia, Kiev e Tbilisi.

Una rinnovata relazione amichevole con Israele, dovuta anche alla imprevedibilità della Turchia di Erdogan, permetterà agli Usa di mantenere il proprio ruolo nel Vicino Oriente, in particolare nel quadro della disputa con la Repubblica Islamica dell’Iran. Un probabile nuovo rapporto con Tokyo sarà basato sulla comune contrapposizione con Pechino.

Pandemia e relazioni internazionali. Per quanto concerne le relazioni internazionali, la pandemia ha messo in crisi i tradizionali rapporti di partnership, in particolare quelli interni al campo occidentale, accelerato i processi di disgregazione dell’Unione europea, contribuito a limitare il processo di integrazione dell’Unione economica eurasiatica, accentuato il peso emergente della Russia della e della Repubblica Popolare cinese.

I sistemi basati sui principi liberaldemocratici, sull’individualismo, in sostanza sui cosiddetti principi “occidentali”, non sembrano resistere alla prova di una pandemia di tale portata.

L’applicazione di tali principi, o valori, in concomitanza del processo di globalizzazione, ha distrutto il sistema di welfare dell’intera Europa, in particolare quello collegato alla sanità pubblica.

La pandemia costituirà uno dei fattori per i quali sorgeranno nuovi rapporti internazionali e nuove classi dirigenti.

Da questo punto di vista, le nazioni più attrezzate saranno, con molta probabilità, quelle che affermeranno i valori della solidarietà, della comunità quale fondamento della sovranità politica.

Molto probabilmente i rapporti internazionali, dopo il Covid-19, non saranno più gli stessi.

Al momento, gli europei sembrano regredire nell’egoismo nazionale ed anche regionale. Un caso tipico è dimostrato dalle tensioni che intercorrono fra il governo centrale della Repubblica italiana e alcuni governatori di regione.

Gli stessi principi che finora hanno regolato i rapporti internazionali sembrano diventare, giorno dopo giorno, inattuali. L’equilibrio del potere internazionale sta cambiando.

Questo cambiamento potrebbe diventare irreversibile se organizzazioni come ONU, FMI, OMS e strutture militari come la NATO non introdurranno adeguate strategie.

La pandemia ha dimostrato l’inadeguatezza delle strutture sovranazionali basate sul modello liberaldemocratico e sui valori cosiddetti occidentali.

Occorrerà costruire nuove istituzioni, basate sui rapporti di solidarietà, da questo punto di vista, i forum BRICS potrebbero costituire una buona esperienza da implementare ed estendere a livello globale.

Pandemia, attori globali. Personalmente non provo un sentimento di paura riguardo alla pandemia. Se confrontiamo la pandemia da Coronavirus con la “grande influenza” (la cosiddetta spagnola) degli anni 1918 – 1920 o con la influenza asiatica degli anni 1956 -1960, che uccisero milioni di esseri umani, possiamo ritenerci fortunati. Comprendo però le manifestazioni di panico che saltuariamente hanno luogo in varie parti del mondo. Esse, a mio avviso, sono originate dal surplus di informazioni vere e false che permangono nella rete e vengono continuamente reiterate dai social network.

Piuttosto, sono preoccupato per la scarsa solidarietà manifestata dall’Unione Europea e del suo ritardo nel programmare gli aiuti nei confronti di Paesi membri come l’Italia e la Spagna.

  1. Nel quadro della competizione fra le nazioni anche le catastrofi, (naturali o artificiali) come terremoti, alluvioni, incendi, carestie, esodi e migrazioni, epidemie e pandemie vengono piegate agli scopi delle strategie di potenza.

Al di là della sua specifica origine, quindi anche la pandemia da coronavirus entra tra gli elementi di confronto fra le attuali principali potenze.

Da questo particolare punto di vista quindi l’attuale “pandemia” – in quanto minaccia per la salute mondiale – diventa anche una sorta di esercitazione pratica globale nell’ambito della cosiddetta «guerra ibrida», in particolare, mi sembra, nei due sotto ambiti: quello della Information warfare e quello della cosiddetta «diplomazia umanitaria».

Nell’attuale pandemia, l’Information warfare sembra assumere un ruolo molto importante e, per alcuni aspetti decisivo, a causa della pervasività delle TIC. Volendo essere sintetici – forse anche banali – l’Information warfare al tempo del coronavirus sarà vinta da chi possiede gli algoritmi e le piattaforme più performanti.

L’attuale pandemia ha messo a nudo la fragilità degli Stati, almeno di quelli occidentali, e la loro subalternità rispetto ai possessori delle grandi infrastrutture digitali.

Oggi sono le grandi infrastrutture digitali che permettono la ‘socialità’ fra le persone ed assicurano i servizi essenziali. Il ruolo assunto in queste settimane dalle TIC si risolverà, dopo l’emergenza, in una negoziazione tra le principali compagnie TIC e gli Stati.

Difficile fare previsioni riguardo alla fine della pandemia. Secondi alcuni analisi, si dovrebbe arrivare ad un suo contenimento nell’arco di alcuni mesi. Tuttavia, ricordiamoci che pandemie di questo tipo hanno un decorso lungo che i governi devono gestire.

Trump e la Cina. L’approccio dell’amministrazione Trump riguardo alla pandemia da Covid-19 è stato, fin dall’inizio confuso, come del resto lo è stato per diversi paesi. Inoltre, è stato un approccio caratterizzato non dalla volontà di contenere la pandemia sulla base razionale della cooperazione e della solidarietà internazionali. Al contrario, Trump si è preoccupato di puntare il dito contro Pechino. È evidente una strumentalizzazione della crisi dovuta alla pandemia operata da Washington ai danni di Pechino.

Trump sta tentando di far rientrare la crisi sanitaria nel quadro della disputa economica, finanziaria e geopolitica con la Cina che ha caratterizzato fin dall’inizio la sua politica estera.

L’Australia anche cerca di utilizzare la crisi dovuta alla pandemia contro Pechino, lo fa per motivi sia di sicurezza interna sia per questioni geopolitiche che riguardano in particolare il Mar Cinese meridionale.

Molto probabilmente, alcuni paesi del cosiddetto mondo occidentale sosterranno gli Usa nel ritenere, in qualche modo, la Cina responsabile della diffusione del Coronavirus, al fine, verosimilmente, di indebolire la credibilità della Cina.

Ciò potrebbe avvenire ed essere accelerato se alcune industrie intenteranno procedimenti giudiziari contro Pechino.

L’intensità della attuale tensione tra Washington e Pechino seguirà l’evoluzione degli effetti della pandemia nei campi della economia e della finanza.

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