CASO MORO: anniversari, misteri e querele. A quarantadue anni di distanza prevalgono ancora le «zone grigie»

Anche questo 9 maggio è trascorso, con lui l’ennesimo anniversario dell’assassinio del presidente della Democrazia cristiana Aldo Moro. Un anniversario sottotono a causa della pandemia da coronavirus, ma non per questo esente da celebrazioni e, soprattutto, di polemiche. Sull’argomento insidertrend.it ha intervistato il giornalista VALTER VECELLIO

In nome di una malintesa verità di Stato (o di Stati) Aldo Moro, al pari di Enrico Mattei, sarebbe stato sacrificato nel nome di equilibri politici sia internazionali che nazionali e la verità «vera» su questa vicende sarebbe stata poi “tombata”.

A partire dalla dinamica iniziale (cioè l’agguato di Via Mario Fani, passando per la prigione del popolo e il covo di via Gradoli fino al ritrovamento del cadavere del presidente della Democrazia cristiana in Via Michelangelo Caetani, almeno quattro fasi fondamentali di quei drammatici cinquantacinque giorni non si sarebbero svolte così come poi sono state raccontate.

Un tacito accordo raggiunto tra i brigatisti in carcere, settori dell’allora partito di maggioranza relativa e apparati dello Stato, accordo avallato poi da certa stampa, ha fatto sì che nell’opinione pubblica si consolidasse una “verità ufficiale” di comodo, si tratta di quella ricavata dal cosiddetto «memoriale Morucci».

La desecretazione degli atti avvenuta negli ultimi anni, in seguito vagliati dalla Commissione parlamentare presieduta dal senatore Giuseppe Fioroni (parlamentare del Partito Democratico già democristiano della corrente andreottiana) hanno consentito una rilettura diversa della narrativa relativa al sequestro e all’assassinio dell’Onorevole Moro, ponendo così in discussione quella verità ufficiale dicibile frutto di un compromesso raggiunto nel periodo precedente la caduta del Muro di Berlino.

I tanti inquietanti misteri – in fondo sempre gli stessi – nel corso degli anni sono stati corredati da piccoli particolari, tenui fili di luce che hanno rischiarato soltanto un poco la scena, avvalorando tuttavia alcune delle ipotesi esplorate nel passato.

Ad esempio, dopo il sequestro di Moro i piani originali della struttura Stay behind-Gladio vennero prelevati dalla cassaforte del ministro della Difesa per poi esservi ricollocati soltanto successivamente all’intervento dei carabinieri del generale Dalla Chiesa nel covo brigatista di via Fracchia a Genova, avvenuto il 16 luglio 1980, un fatto questo appreso dal COPACO nel 1992.

Poi il ruolo svolto nella vicenda dal bar Olivetti, locale situato all’angolo tra Via Fani e Via Stresa, che secondo la Commissione Fioroni è il luogo dove i brigatisti rossi e gli eventuali altri componenti del gruppo di fuoco si sarebbero nascosti e avrebbero nascosto le loro armi lunghe nei momenti immediatamente precedenti l’agguato.

Un bar del quartiere Trionfale frequentato da agenti dei servizi segreti ed esponenti della criminalità organizzata implicati in traffici illeciti di diversa natura, il cui titolare, Tullio Olivetti, era il genero del Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi.

Lo stesso Tullio Olivetti che risulterà poi essere trovarsi a Bologna il 2 agosto 1980, giorno della strage alla stazione ferroviaria.

Anni dopo, dal dossier Mitrokhin sarebbe emerso che la segreteria di Gronchi era stata infiltrata dal Kgb sovietico attraverso dei suoi elementi facenti parte di una rete spionistica allora gestita da Giorgio Conforto, personaggio che in seguito avrebbe ospitato nella propria abitazione Valerio Morucci e Adriana Faranda nell’ultimo periodo della loro latitanza, dove poi sarebbero stati arrestati il 29 maggio 1979.

Inoltre, non sono pochi gli aspetti che indurrebbero a ritenere che la prima prigione del popolo utilizzata nell’immediatezza del sequestro dai brigatisti rossi per detenere Moro potesse trovarsi nei pressi di Via Fani.

Uno è quello che tutte le autovetture utilizzate dal commando terroristico nell’agguato vennero successivamente abbandonate a distanza di brevi intervalli di tempo (in soli due giorni) nella medesima circoscritta zona nel quartiere della Balduina.

Riguardo a questo presunto covo si è ipotizzato potesse essere un miniappartamento ricavato all’interno di un attico, «la casa più alta di Roma» come scrisse il giornalista Mino Pecorelli.

Quindi il condominio di Via Massimi 91, uno stabile allora di proprietà dell’Istituto per le Opere di Religione (IOR) nel quale – oltre a un appartamento in uso allo stesso monsignor Paul Casimir Marcinkus – risiedevano prelati, persone legate ai servizi segreti della Libia di Gheddafi e avevano sede società di copertura di branche della Difesa Usa.

A quell’indirizzo abitava anche un’altra importante figura ai fini dell’inchiesta, un generale italiano che fungeva da informatore per conto dell’Ufficio «I» della Guardia di Finanza, ufficiale che non mancò di allertare il Comando generale del Corpo, che all’epoca rinveniva al suo vertice il generale Raffaele Giudice, in seguito scopertosi appartenere alla loggia massonica P2 di Licio Gelli.

La medesima loggia massonica della quale faceva parte, tra gli altri, anche Carmine Pecorelli detto «Mino», il citato giornalista alla direzione del periodico assai bene informato “OP”, che in quel periodo si relazionava con quello stesso Ufficio «I» delle Fiamme gialle e che, un anno dopo, sarebbe stato assassinato con un colpo di pistola sotto la redazione del suo giornale nel quartiere romano di Prati.

Uno stabile, quello di Via Massimi 91, dove avrebbe trovato rifugio per alcune settimane il brigatista rosso Prospero Gallinari una volta che i carabinieri scoprirono il covo milanese di Via Monte Nevoso.

Sullo quello stabile, ormai da qualche anno non più di proprietà dello IOR, recentemente si è sviluppata un’ulteriore appendice di natura legale: una querela nei confronti dell’ex parlamentare del Partito Democratico e già membro della Commissione d’inchiesta Gero Grassi, in relazione alle tesi da lui formulate sul covo-prigione nel quale le Brigate rosse tennero sequestrato Moro.

Essa è stata sporta dall’avvocato Michele Gentiloni Silveri su incarico di una o più persone, si tratterebbe dei proprietari dell’appartamento nel quale si rifugiò Gallinari, indicate a loro dire da Grassi quali carcerieri del presidente della Dc in un appartamento di via Massimi 91.

La (o le) prigioni di Aldo Moro e il luogo del suo assassinio sono fondamentali ai fini della verità, poiché oggi si tende a ritenere che tutto si sia svolto non lontano da Via Michelangelo Caetani, luogo di ritrovamento del cadavere del politico democristiano, come farebbero supporre gli sviluppi emersi dall’inchiesta della Commissione Fioroni.

Infatti, risulta estremamente improbabile che la Renault 4 rossa potesse essere stata usata nell’autorimessa della palazzina di Via Montalcini nella maniera nella quale raccontano i brigatisti, come lo è anche il lungo tragitto asseritamente percorso dai terroristi col cadavere di Moro nel portabagagli dal quartiere Portuense fino ai paraggi di Piazza Venezia in una città “blindata” all’inverosimile da forze di polizia e militari come lo era Roma in quei giorni.

Infine, quale è la ragione per cui quella tragica vicenda permane ancora ammantata dal mistero dopo così tanto tempo?

Nonostante siano trascorsi quarantadue anni alcuni dei suoi protagonisti sono ancora in vita e il reato di strage è imprescrivibile e a tanto tempo dallo svolgimento dei fatti presso la Procura della Repubblica di Roma sono ancora in corso dei procedimenti, fatti tra i quali sarebbero inclusi quelli che hanno a oggetto quello stabile di Via Massimi che durante il sequestro Moro venne menzionato nei tre rapporti redatti dall’intelligence della Guardia di Finanza.

Di seguito è possibile ascoltare gli audio dell’intervista rilasciata il 9 maggio 2020 a insidertrend.it dal giornalista della Rai e collaboratore di Radio Radicale Valter Vecellio (A246) e quella rilasciata invece il 7 novembre 2007 dal professor Giuseppe De Lutiis, coordinatore dei consulenti della Commissione parlamentare stragi presieduta dal Senatore Giovanni Pellegrino (A063).

A246 – CASO MORO: ANNIVERSARI, MISTERI E QUERELE. Dei dubbi e delle ancora perduranti zone grigie a distanza di quarantadue anni dal ritrovamento del cadavere del presidente della Democrazia cristiana in Via Caetani a insidertrend.it interviene il giornalista VALTER VECELLIO.
Anche questo 9 maggio è trascorso, con lui l’ennesimo anniversario dell’assassinio del presidente della Democrazia cristiana Aldo Moro. Un anniversario sottotono a causa della pandemia da coronavirus, ma non per questo esente da celebrazioni e, soprattutto, di polemiche.
In nome di una malintesa verità di Stato (o di Stati) Aldo Moro, al pari di Enrico Mattei, sarebbe stato sacrificato nel nome di equilibri politici sia internazionali che nazionali e la verità «vera» su questa vicende sarebbe stata poi “tombata”.
A partire dalla dinamica iniziale (cioè l’agguato di Via Mario Fani, passando per la prigione del popolo e il covo di via Gradoli fino al ritrovamento del cadavere del presidente della Democrazia cristiana in Via Michelangelo Caetani, almeno quattro fasi fondamentali di quei drammatici cinquantacinque giorni non si sarebbero svolte così come poi sono state raccontate.
Un tacito accordo raggiunto tra i brigatisti in carcere, settori dell’allora partito di maggioranza relativa e apparati dello Stato, accordo avallato poi da certa stampa, ha fatto sì che nell’opinione pubblica si consolidasse una “verità ufficiale” di comodo, si tratta di quella ricavata dal cosiddetto «memoriale Morucci».
La desecretazione degli atti avvenuta negli ultimi anni, in seguito vagliati dalla Commissione parlamentare presieduta dal senatore Giuseppe Fioroni (parlamentare del Partito Democratico già democristiano della corrente andreottiana) hanno consentito una rilettura diversa della narrativa relativa al sequestro e all’assassinio dell’Onorevole Moro, ponendo così in discussione quella verità ufficiale dicibile frutto di un compromesso raggiunto nel periodo precedente la caduta del Muro di Berlino.
Quale è la ragione per cui quella tragica vicenda permane ancora ammantata dal mistero dopo così tanto tempo?
Nonostante siano trascorsi quarantadue anni alcuni dei suoi protagonisti sono ancora in vita e il reato di strage è imprescrivibile e a tanto tempo dallo svolgimento dei fatti presso la Procura della Repubblica di Roma sono ancora in corso dei procedimenti.
A063 – CASO MORO, “IL GOLPE DI VIA FANI”: PARLA IL PROFESSOR GIUSEPPE DE LUTIIS, le protezioni occulte e le connivenze internazionali dietro al delitto del presidente della Democrazia cristiana. Radio Omega, ORA ZERO, trasmissione del 7 novembre 2007, intervista di Gianluca Scagnetti.
Attraverso l’enorme mole di documenti e testimonianze raccolte dalla Commissione parlamentare stragi, nella quale il professor Giuseppe De Lutiis lavorò come coordinatore dei consulenti, cerca di fare luce su alcuni aspetti oscuri del caso Moro.
Dall’ipotesi che il covo di via Montalcini non sia stato l’unica “prigione del popolo” dove venne segregato lo statista di Maglie, al ruolo di copertura svolto dalla scuola di lingue parigina Hýperion, ai contatti delle vecchie e nuove Brigate Rosse con gli ambienti dei servizi segreti, sia occidentali che orientali.
Chi sparò davvero in via Mario Fani la mattina dell’agguato? Furono soltanto i terroristi oppure a loro si “aggregarono” altri elementi militarmente più capaci? Premettero il grilletto anche esponenti della criminalità organizzata calabrese?
Il Sismi diretto dal generale piduista Giuseppe Santovito era al corrente dei piani dei brigatisti rossi? E il servizio segreto civile?
Quel Sisde al quale apparteneva la Mini Clubman parcheggiata proprio al posto dove del fioraio del posto lasciava il suo furgone, automezzo al quale quel mattino qualcuno forò i pneumatici per non farlo arrivare in via Mario Fani?
Tanti quesiti ai quali De Lutiis prova a fornire delle risposte, a esplorare delle ipotesi plausibili, collocando il sequestro e l’assassinio di Aldo Moro nel complesso contesto internazionale del tempo nel quale agivano le due superpotenze, laddove queste ultime consideravano pericolosa la possibile formazione di una maggioranza politica in Italia che includesse anche il Partito comunista di Enrico Berlinguer.
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