CORONAVIRUS, Usa. Mike Pompeo rinnova le accuse alla Cina: «Covid-19 uscito dal laboratorio di Wuhan»

Il segretario di Stato è intervenuto pubblicamente il giorno in cui i servizi segreti di cinque paesi anglosassoni alleati degli Usa nella Nato hanno diffuso un dossier sulla condotta di Pechino nella primissima fase della pandemia. Nel frattempo negli Usa proseguono i decessi causati dal virus, mentre il crescente disagio economico scatena le proteste della gente

Il segretario di Stato americano Mike Pompeo ha rinnovato le sue accuse alla Repubblica Popolare Cinese riguardo alla diffusione del coronavirus: «Ci sono enormi indizi del fatto che è lì che è iniziato – ha egli affermato rispondendo a una domanda rivoltagli da un giornalista di AbcNews sulla presunta origine del Covid-19 all’interno del laboratorio di Wuhan -, abbiamo detto fin dall’inizio che questo virus ha avuto origine a Wuhan, in Cina».

«Ricordate che la Cina ha una storia di infezioni propagate nel mondo e ha una storia di laboratori al di sotto degli standard – ha poi proseguito l’alto esponente dell’amministrazione Trump -, questa non è la prima volta che abbiamo avuto il mondo esposto a virus come risultato di errori commessi all’interno di un laboratorio cinese».

Pechino «ha fatto tutto il possibile per assicurarsi che il mondo non sapesse tempestivamente” del Covid-19, secondo la classica disinformazione comunista di cui verranno considerati responsabili».

Sulla possibilità che sia stato diffuso intenzionalmente, Pompeo ha affermato di non avere nulla da dire al riguardo, tuttavia, egli ha comunque sottolineato che «vi sia ancora molto da sapere» e che gli Usa hanno fatto del loro meglio per cercare di rispondere a queste domande.

«Abbiamo cercato di inviare un team – ha specificato -, l’Oms ha cercato di inviare un team, ma nessuno è stato autorizzato a entrare in quel laboratorio o in altri, ce ne sono molti in Cina: il rischio permane».

Alla domanda se il virus possa essere stato diffuso intenzionalmente, il segretario di Stato Usa non ha fornito una risposta certa, giustificandosi col fatto che: «Il Partito comunista cinese si è rifiutato di collaborare con gli esperti mondiali».

Le dichiarazioni di Pompeo non sarebbero affatto casuali, infatti le ha fatte lo stesso giorno nel quale i servizi di intelligence di cinque paesi hanno rivolto dure accuse a Pechino in ordine all’origine e alla gestione della pandemia da coronavirus.

Gli apparati di Usa, Gran Bretagna, Australia, Canada e Nuova Zelanda, hanno diffuso la notizia che i cinesi avrebbero tentato di insabbiare gli eventi verificatisi  all’inizio della fase di contagio, rilevando l’elevato livello di rischio insito nelle  metodologie seguite nel laboratorio di ricerca di Wuhan.

In un dossier di quindici pagine successivamente pubblicato dal quotidiano americano New York Post si ipotizza un «attacco alla trasparenza internazionale», poiché fino al giorno 20 gennaio le autorità cinesi aveva hanno perseverato nello smentire che il virus si stesse trasmettendo tra gli esseri umani, quando invece sarebbero state riscontrate chiare evidenze già all’inizio del mese di dicembre.

Intanto negli Usa si continua a morire a causa del coronavirus numeri del contagio, in aprile è stato registrato  un decesso ogni quarantaquattro secondi nel mese di aprile, questo almeno secondo il body count effettuato dall’emittente televisiva satellitare Cnn. Secondo i dati diffusi della Johns Hopkins University, i casi negli Usa sono 1.130.000, i morti complessivamente 66.368; i test effettuati 6.810.000 su una popolazione di 330.000.000 di persone.

Lo Stato dell’Unione più colpito è quello di New York, con 318.134 casi e 24.035 morti, mentre nelle ultime ventiquattro ore i decessi si sono avvicinati alla cifra di 1.500.

Prosegue la cosiddetta «ripartenza»: dopo la Georgia altri otto Stati avvieranno domani la ripresa delle attività, tra di essi l’industrializzato Ohio.

La crisi generata dal Covid-19 inizia a riflettersi pesantemente sul piano economico e sociale e nel Paese dilagano le proteste della gente, soprattutto in quegli Stati nei quali la ripartenza è stata rinviata per ragioni sanitarie.

Esplode puntualmente il drammatico problema dell’insolvenza di locatari e piccoli proprietari di case d’abitazione che avevano acceso un mutuo, infatti, tutti quegli americani che non hanno lavorato e, dunque, non hanno percepito la loro retribuzione a causa del lockdown chiedono al governo federale una sospensione del pagamento di canoni di affitto e rate dei mutui almeno fino al momento  in cui il coronavirus non avrà allentato la sua distruttiva morsa sull’economia del Paese.

Ma, per sospendere i pagamenti Washington dovrebbe intervenire direttamente sul mercato immobiliare e sui contratti privati, imponendo alle banche e ai proprietari di immobili di non riscuotere i pagamenti.

È evidente che si tratterebbe di un provvedimento senza precedenti ritenuto da non pochi incostituzionale.

D’altro canto, qualora queste richieste di sospensione di pagamento venissero accettate dalle autorità, un intervento in tal senso di queste ultime potrebbe innescare un pericoloso effetto domino nell’economia, una dinamica perversa caratterizzata da una serie di bancarotte e da un sensibile decremento delle entrate fiscali.

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