Intervista di di Margherita Peracchino, pubblicata da “L’Indro” il 28 aprile 2020 – La notizia è arrivata nella serata di ieri, mentre da Roma a Washington i governi erano tutti indaffarati attorno al coronavirus Covid-19: il generale Khalifa Haftar, l’uomo forte della Cirenaica, quello che da un anno sta marciando su Tripoli, si è autoproclamato capo della Libia.
Nel corso di una sua apparizione sui teleschermi dell’emittente televisiva “al-Hadath” ha affermato di accettare «il mandato del popolo libico per occuparsi del Paese», dichiarando inoltre nuovamente invalido l’Accordo di Skhirat, che nel 2015 stabilì l’istituzione di un governo di accordo nazionale con sede a Tripoli, guidato da Fayez al-Serraj.
L’Accordo, ha detto il generale, «è diventato parte del passato dopo che il popolo libico ha autorizzato l’esercito libico a guidare il Paese in questa fase, posto ciò, annunciamo che il comando generale risponde alla volontà del popolo, malgrado il peso e gli obblighi e la portata delle responsabilità e che saremo soggetti alla volontà popolare».
Haftar ha poi concluso il suo discorso affermando che: «Saremo a disposizione delle persone e lavoreremo al meglio delle nostre capacità per alleviarne la sofferenza».
Nulla è stato precisato dal generale su cosa significhino concretamente queste dichiarazioni, mentre ha invece ha dichiarato che «procede» e «continua» l’avanzata su Tripoli iniziata un anno fa.
«Haftar ha ancora una volta mostrato le sue intenzioni autoritarie al mondo. Non cerca neanche più di nascondere il suo disprezzo per una soluzione politica e per la democrazia in Libia», ha dichiarato uno dei consiglieri del Gna, Mohammed Ali Abdallah.
Gli Stati Uniti hanno subito bollato come «unilaterale» la decisione del generale, chiarendo la loro posizione sostanzialmente chiamandosene fuori, infatti, la prima reazione è stata diramata attraverso il profilo Facebook dell’Ambasciata Usa in Libia.
Nella nota si legge che gli Usa «si rammaricano» che il generale Haftar pensi di poter cambiare la struttura politica della Libia con una dichiarazione unilaterale «imposta».
Ovviamente sono seguite le precisazioni di rito sul fatto che l’unico governo riconosciuto dalla comunità internazionale è quello di al-Serraj e l’appello «all’Esercito nazionale libico di unirsi al Governo di Accordo nazionale dichiarando un immediata cessazione delle ostilità umanitaria per arrivare a un duraturo cessate il fuoco».
Nessuna reazione ufficiale, al momento in cui scriviamo, né da parte della Farnesina, né da parte dell’Unione europea.
Tutto da capire quel che significhino le parole del generale. In queste ore le cancellerie cercano di decifrarle.
Strategia o tattica? Quali saranno le azioni che seguiranno? E, prima ancora, seguiranno fatti alle parole? Succederà qualcosa di nuovo o più semplicemente si ‘continua’, ‘prosegue’ il lavoro già in atto?
Il generale nel suo intervento di ieri ha voluto far intendere due cose: di aver varcato il Rubicone e di poter contare sull’appoggio di tutto il popolo di tutte le aree del Paese, non solo della Cirenaica.
Però, nulla di davvero fattuale ha detto. E questo può significare molto o nulla. Può avere una piano da dispiegare nelle prossime ore, ma può anche essere una strategia volta a mettere pressione su Tripoli.
Ha detto che lavorerà con il suo esercito per creare «le condizioni necessarie per costruire le istituzioni permanenti di uno Stato civile», una dichiarazione che può aprire a scenari molteplici.
Proviamo a ragionare con Michele Marsiglia, presidente di FederPetroli Italia e nostro opinionista, uomo che la Libia la conosce quasi palmo a palmo, ce l’ha nella testa e nelle vene.
L’Indro – Prima di tutto, Presidente, ci dica che informazioni di prima mano ha da Tripoli e da Bengasi? Che sta accadendo?
Michele Marsiglia – Su alcuni file a me pervenuti da fonti istituzionali e di sicurezza interna libica la situazione vive un’escalation che non ha avuto alcuno stop. Nonostante il periodo di Ramadan dovrebbe essere una speranza di tregua, il tutto non succede.
Consideriamo che nello stesso periodo, lo scorso anno, ci sono state alcune azioni di guerra inaspettate, ma che hanno influenzato enormemente il conflitto. Da alcune settimane Tripoli è senza acqua e senza elettricità, con controffensive continue.
Personalmente è giusto che lo precisi, non ho mai considerato e pensato che il Ramadan o altre ricorrenze religiose, possano essere validi motivi da fermare offensive militari, anzi, ne sono il più delle volte, occasioni.
C’è qualcosa di concreto nella dichiarazione di Haftar o possiamo ritenere sia più che altro una forma di offensiva mediatica per fare pressione su Serraj e i partners internazionali delle due parti?
E anche vero che si parla di avanzata da parte di Haftar da tempo, ma oltre alle roccaforti del generale e ad alcuni centri nevralgici di postazioni di difesa, per parlare di avanzata su Tripoli, non ce ne sono le condizioni.
Sicuramente le dichiarazioni sono forti e generano scosse di assestamento sulla Comunità Internazionale, ma sicuramente altri Paesi del Medio Oriente sono attenti e scrupolosi osservatori di qualsiasi dinamica.
Con questo voglio dire che l’attenzione è alta e anche la cautela da parte di terzi.
La concretezza si potrà vedere solo quando Haftar deciderà di entrare a Tripoli senza se e senza ma.
Presidente, Haftar nel suo intervento di alcuni giorni fa ha detto che Serraj sta dilapidando il petrolio per pagare le sue milizie. La situazione petrolifera oggi a che punto è?
Più che negativa, perdiamo enormi capitali e risorse. La produzione giornaliera è sotto i 100.000 barili/giorno, per la verità abbiamo stime di 81.000 barili/giorno.
Purtroppo è difficile anche dare delle informazioni economiche precise perché la situazione non permette un regolare flusso di informazioni provenienti dai siti e da quei pozzi collocati in diverse zone.
Certamente l’operatività è ferma, abbiamo problemi anche nelle operazioni di workover (azioni di manutenzione pozzi) e anche nei siti di trattamento c’è necessita di prodotti e strumenti per le infrastrutture che faticano ad essere approvvigionate. Vista la situazione, sarà necessario un briefing con aziende e contrattisti operanti nel Paese per valutazioni immediate.
Come è arrivato ha una decisione di questo tipo Haftar?
La determinazione del generale Haftar era chiara già da tempo. Purtroppo l’emergenza coronavirus ha coperto le news internazionali, ma nonostante l’emergenza sanitaria, in Libia si è continuato a combattere, come d’altronde in altri regioni del Medio Oriente.
Haftar, forte di un sostegno popolare, ha invalidato l’Accordo di Skhirat del 2015, dove era presente anche il nostro ex presidente del Consiglio dei ministrio Paolo Gentiloni, in questo modo si è autoproclamato leader assoluto della Libia.
Ora sarà guerra aperta e incontrollabile senza misura in tutto il Paese?
Mi permetto di dire che sarà «ancora più guerra». Purtroppo usciamo da un fallimentare vertice di Berlino e, mi spiace che l’attore principale sia stata l’Italia.
Non solo, tutti i vertici e pseudo meeting che si sono svolti per e sulla Libia non hanno trovato terreno fertile nel paese nordafricano. Bisognava fare qualcosa per la Libia, non solo per gli altri…
Come sta rispondendo Serraj? E chi ha ancora dalla Sua parte?
Sicuramente la posizione di al-Serraj in questi ultimi tempi si è indebolita. Non ne sta uscendo vincente o contrastante. Sicuramente la Turchia riveste un ruolo di braccio destro e sinistro del premier di Tripoli, ma consideriamo anche che gli alleati di Haftar non sono da meno.
Ci risultano nelle acque adiacenti la Libia alcune navi che esercitano azioni poco chiare per il trasporto di carburante ed altri strumenti di guerriglia, spesso sono da terze fonti attribuite a mezzi turchi.
Anche se in questi ultimi tempi, vediamo Erdogan distante dalla Libia, sicuramente l’emergenza Covid-19 sarà di influenza ma è giusto considerare che l’ipotesi potrebbe essere anche una presa di distanze dal Governo di Tripoli, vista la situazione.
Dietro questa mossa si può ipotizzare che ci sia dietro anche il giovane Gheddafi?
Su Saif, in questo momento, ogni risposta o ipotesi risulterebbe azzardata. Certo è che a fine emergenza e con le giuste possibilità logistiche, una stretta di mano in un prossimo mio viaggio in Libia, sarà proprio con questo signore, dove gran parte di indotto dell’Oil & Gas internazionale, ripone ‘velate speranze’, parlo ovviamente del nostro settore.
Con FederPetroli Italia e alcuni contatti è da mesi che ci stiamo lavorando e siamo determinati nel perseguimento dei nostri “possibili” obiettivi… certo non è facile.