di Jeta Gamerro, intervista pubblicata su“L’Indro” il 21 Aprile 2020 – Da ieri il coronavirus Covid-19 ha lasciato il posto al petrolio negli incubi dei mercati finanziari.
La motivazione è presto detta: per la prima volta nella storia il prezzo del petrolio è andato sotto zero. E le fibrillazioni continuano oggi su tutti i mercati.
Sempre per quanto attiene al mondo petrolifero, oggi il Ministero dell’Economia ha confermato Claudio Descalzi quale amministratore Eni, la nostra ammiraglia petrolifera che presidia le aree più calde – e non solo in termini petroliferi – del pianeta, diciamo pure la Farnesina due. Eni che nei giorni scorsi ha visto un ingresso importante nel suo azionariato, e cioè il fondo sovrano dell’Arabia Saudita.
Il petrolio continuerà per molto a lungo ancora a guidare la politica e l’economia mondiale, ripete spesso, anche sulle nostre colonne, Michele Marsiglia, presidente di FederPetroli Italia, che proprio ieri in una nota stampa aveva sottolineato il favore con il quale le industrie del settore petrolifero italiano guardavano all’ingresso saudita in Eni.
Così abbiamo posto tre domande su questi tre fatti proprio a Marsiglia, uomo del petrolio e certamente dell’establishment, che si può permettere di parlare chiaro e raccontare i fatti per quel che sono.
Presidente, c’è il mondo economico-finanziario in subbuglio causa il crollo del mercato petrolifero, siamo arrivati a -37 dollari. Ci vorrebbe spiegare che sta succedendo?
Consideriamo che il -37 dollari si riferisce ad un contratto futures che scade oggi, se valutiamo lo stesso strumento finanziario sul West Texas Intermediate (WTI, greggio di riferimento americano) con scadenza il prossimo giugno, il prezzo è di circa 26 dollari.
Quello che è andato less than zero, sotto zero, è il greggio di riferimento per il mercato americano, ma il Brent, greggio di riferimento per l’Europa e gran parte del Medio Oriente (la nostra parte di Mondo), è rimasto alle quotazioni da 22 a 25 dollari a barile, in una normale oscillazione intra-day.
Questo è l’elemento più importante. Stanno facendo crollare gli Stati Uniti e le loro economie e Wall Street da una parte e dall’altra il Nymex (New York Mercantile Exchange, mercato dove sono scambiati i futures sul greggio) non sono riusciti a reggere il peso del , o meglio: non l’hanno voluto reggere.
Questa fluttuazione del mercato è una perdita da una parte, ma un grande guadagno dall’altra.
Da qui è ben comprensibile che il crash di ieri, seppur importante e quasi unico nella storia, è stato solo una forte speculazione di mercato, con la complicità dei nostri amici sauditi.
Per analizzare bene la situazione bisogna però soffermarsi su alcune variabili di circa una settimana fa e spostare le lancette dell’orologio sull’ultimo meeting Online dell’OpecPlus tra Russia, Usa e Arabia Saudita per ridimensionare la produzione di greggio in periodo Covid-19 e dar fiato all’economia petrolifera.
Nella riunione, oltre al taglio graduale di greggio – e prestiamo attenzione alla parola “graduale” -, altro importante accordo voluto dall’Arabia Saudita era quello che gli Stati Uniti d’America si sarebbero però impegnati ad acquistare pian piano greggio al fine di incrementare le proprie riserve, una volta che il tutto fosse ripartito.
Anche se gli Stati Uniti hanno i depositi pieni, il greggio contrattualmente si può acquistare lo stesso e sono diversi gli strumenti finanziari di impegno delle merci.
Tutto questo però non è stato neanche velatamente fatto dall’Amministrazione Trump ed ecco che il Medio Oriente ha servito il conto, senza se e senza ma.
Qualche settimana fa avevo detto nel mio intervento sul vostro giornale che basterà un «soffio di vento mediorientale per rimettere in gioco e sconvolgere tutti gli equilibri in atto, in poche ore».
Per i produttori piccoli e medi di Shale Oil americani, oggi è più conveniente svuotare i depositi in economia gratuita che chiudere a tappo i pozzi per poi rimetterli in funzione, non solo, il costo dei depositi per stoccare prodotto oggi è troppo oneroso con questa situazione. Ricordiamo che di questi produttori tanti hanno già fatto ricorso nelle scorse settimane alle procedure di fallimento con il Chapter11.
Non sono le grandi Compagnie Petrolifere americane che si stanno lamentando, ma i piccoli produttori e non è da sottovalutare la differenza.
Descalzi è stato confermato alla guida dell’Eni. Sono certa che FederPetroli Italia sarà soddisfatta di tale decisione, lei personalmente si è speso parecchio.
Ormai tutti sanno che per me parlare di Claudio Descalzi, nonostante la mia età, è come un fan ragazzino dei Rolling Stonse che parla dei propri riferimenti.
A qualcuno ieri sera, che mi conosce e più confidenzialmente ho detto che per cena avrei stappato una bottiglia di Champagne Ruinart e, l’ho fatto, mia moglie ne è testimone, anche perché la bottiglia è finita. La prossima l’aprirò insieme a Descalzi! Personalmente, ma principalmente con FederPetroli Italia, abbiamo lottato e sperato fino all’ultimo su questa riconferma di Claudio Descalzi all’Eni.
Sempre coscienti che sarebbe stata una manovra difficile, per una serie di cose che si concentrano principalmente sulla questione giudiziaria di corruzione internazionale Eni tra Algeria e Nigeria.
Però ognuno deve fare il proprio lavoro, noi non siamo organi giudicanti della giurisprudenza, siamo imprenditori e una squadra che si chiama Oil & Gas, l’allenatore vincente che è Claudio Descalzi, andava premiato.
Eni in questi ultimi anni ha consolidato importanti risultati in tema di ricerca ed esplorazioni di idrocarburi, non parlo solo di Zohr in Egitto, ma anche in Mozambico, Congo, Emirati e Messico.
Sono ricerche e risultati che si sono fatti con investimenti di Eni, quindi un business nel business che come Italia ne dobbiamo essere orgogliosi.
Non mancano poi gli investimenti nella Green Era, dove con la riconversione del trattamento rifiuti e l’energia dalle onde marine, Eni è stata pioniere.
Riteniamo che con questa continuazione dell’era Descalzi l’energia, in primis italiana e poi internazionale, vada sempre più sulla linea giusta, e questo porterà grande valore aggiunto alle nostre aziende, sia in Italia che all’estero.
Valore aggiunto che credo porti anche l’ingresso dell’Arabia Saudita nell’azionariato Eni, lo abbiamo capito dalla sua nota di ieri, ma ci vorrebbe spiegare perché l’Arabia Saudita dovrebbe fare così bene al cane a sei zampe?
Ieri ho dichiarato in una nota stampa con FederPetroli Italia che, abbiamo vinto una lotteria.
L’Italia ha sempre visto con scetticismo e pregiudizio l’entrata di capitali stranieri nelle aziende di Stato. Certo quello che la Francia voleva fare qualche tempo fa, è stato un bene che il governo italiano che era in carica abbia fatto di tutto per bloccarla.
Però oggi, parliamo di un paese produttore di petrolio come l’Arabia Saudita, ergo, il paese con più petrolio al mondo che entra nel capitale sociale della nostra azienda energetica di Stato, Eni.
In primo luogo è un segnale di grande fiducia e, qui, per forza di cose Descalzi ne è attore principale, poi l’investimento saudita si aggira intorno all’1,24% circa del capitale sociale, non abbiamo detto 50 per cento.
Guardando in prospettiva, e considerando che Eni in questi ultimi mesi ha consolidato in Medio Oriente importanti accordi di cooperazione e sviluppo di giacimenti, porterà la nostra compagnia petrolifera a rafforzare sempre più la propria leadership a livello internazionale.
Dobbiamo guardarlo come un rafforzamento del business dell’Oil & Gas, considerando che la quotazione in borsa di pochi mesi fa della compagnia energetica saudita Saudi Aramco è stata una delle più importanti per capitalizzazione della storia.
Se l’Italia si fosse mossa prima con degli accordi, oltre che industriali, anche politici con paesi strategici, a oggi avremmo visto già da tempo un costo minore dell’energia anche da noi, ma auspichiamo che questo accada, poiché Eni-Medio Oriente è un binomio vincente!