Non c’è da stare molto allegri riguardo al prossimo futuro, poiché anche restando alle stime elaborate dal Fondo monetario internazionale (Fmi) l’Italia nel 2020 dovrebbe conoscere un calo del suo prodotto interno lordo (Pil) pari al 9,1%, con la Germania che si attesterebbe a un non invidiabile -7,0%, mentre la ripresa – sempre secondo il Fmi – slitterebbe al 2021, quando i Paesi dell’area euro e, più in generale anche il resto del mondo, dovrebbero crescere mediamente del 4-5% (l’Italia al 4,8%).
Per gli analisti che, nel quadro degli appuntamenti de “L’Officina del Macroeconomista”, ormai periodicamente trasmettono nel web i loro interventi, quelle del Fmi sarebbero stime ottimistiche, in quanto andrebbero riviste nel primo caso al rialzo e nel secondo al ribasso.
Infatti, Costantino De Blasi ed Emilio Rossi, quest’ultimo della Oxford Economics, ritengono che alcuni fattori stiano incidendo e, anche nel medio termine incideranno, sulle dinamiche economiche del Paese.
Scenari inquietanti. Vediamoli: in primo luogo non è ancora certa la data nella quale terminerà il cosiddetto «lockdown», inoltre, anche una volta terminato, nella fase due, comunque le attività produttive conosceranno una ripresa soltanto graduale.
Quindi, a meno di una (ritenuta però difficile) “esplosione” della domanda nella terza parte dell’anno corrente, con ogni probabilità in Italia si registrerà una contrazione del pil non inferiore al 10 per cento.
Gli analisti de “L’Officina” hanno elaborato dei modelli di scenario basandosi sui dati resi disponibili dai vari Stati, informazioni successivamente ponderate con una buona dose di realismo.
Dunque, posto che nei mesi di maggio o giugno nel Paese si avvii davvero una graduale ripresa delle attività, il quadro generale di riferimento non sarà confortante, dato che il 2020, con alcune eccezioni, prospetta un’ulteriore deterioramento della situazione economica globale.
Infatti, il secondo trimestre del 2020 per le economie avanzate registrerà una contrazione dei pil; uno shock minore è invece atteso per le cosiddette «economie emergenti», che finora sono state soltanto parzialmente interessate dagli effetti negativi della pandemia in atto; a rischi maggiori, invece, si troveranno esposte sia l’Africa che il Sud America.
Insomma, da una fase di stagnazione (per altro in parte attesa) si piomberà in una di grave recessione, con gli Usa a un -4,5% e la Cina tra il -0,2 e il -05 per cento.
Ovviamente molto dipenderà dalla già citata durata del lockdown e dalle auspicate manovre fiscali.
Per quanto concerne l’eurozona, va rilevato che per essa anche prima della diffusione della pandemia da Covid-19 le aspettative in campo economico erano comunque negative, infatti, in Europa (ma anche in America) i tassi di crescita erano contenuti.
La possibile ripresa. A livello globale i segnali di una timida ripresa potrebbero vedersi nella seconda metà di quest’anno se ci sarà un traino derivante da una crescita dell’economia cinese, tuttavia, per quel periodo è atteso il contestuale crollo delle economie avanzate e di quelle emergenti.
Una ripresa delle attività produttive, sia pure in forma graduale, potrebbe spingere in alto sia la domanda che l’offerta, determinando soprattutto un recupero sul lato delle scorte, che nel terzo e quarto trimestre del 2020 verrebbero ricostituite.
A questo punto vanno è bene svolgere alcune considerazioni riguardo alle incognite relative alla ripresa e il tempo costituisce un elemento di fondamentale importanza nell’uscita dalla crisi.
Infatti, deve venire tenuta in debito conto la variabile della curva epidemiologica (i contagi da coronavirus) nei vari paesi del mondo, poiché l’assenza di sincronicità renderebbe difficoltosa l’elaborazione in termini economici della durata della “coda” della crisi stessa, con conseguenze immaginabili sulle fasi di transizione, ripartenza e rilancio.
Crisi sul lato dell’offerta, crisi su quello della domanda (consumi) e crisi dei mercati internazionali: il profondo stato di shock simmetrico nel quale versa l’economia mondiale ha generato una sequenza simultanea di punti di crisi che tenderà a prolungarsi nel tempo, con il rischio di un crollo del commercio internazionale.
La fase di rimbalzo in Italia dovrebbe essere meno significativa rispetto al resto dell’eurozona. Se il Paese non fosse afflitto dalla pandemia non si tratterebbe certo di una novità, dato che negli ultimi venti anni un simile trend nella crescita risulta essere una costante, tuttavia, se l’ultima volta si evidenziava un gap tra lo 0,8% e l’1,0%, adesso si prevede una crescita del divario al 2 per cento.
Fragilità tutte italiane. Secondo la Oxford Economics nell’eurozona il 2020 segnerà una perdita di pil pari al 5%, ma questa è la media, infatti per l’Italia nei due ultimi trimestri dell’anno andrà peggio, anche in auspicabile assenza di ricadute in termini di contagi tra la popolazione.
Se nel settore manifatturiero la produzione di beni durevoli e semi-durevoli potrebbe far registrare una ripresa importante, sul resto del panorama imprenditoriale peserà fortemente la propria caratteristica strutturale, cioè il preponderante numero di piccole e medie imprese, decisamente maggiore a quello degli altri Paesi europei.
Si tratta infatti di soggetti economici più fragili, che risentiranno pesantemente del crollo dei consumi nei settori turistico e dei servizi.
Storicamente, in condizioni di normalità, in Italia la spesa per consumi si attesta al 40-45% del totale, con all’incirca la metà di essa diretta su beni di acquisto differibili (autovetture, arredamenti, eccetera) e il rimanente in servizi (turismo, ristorazione, eventi, eccetera).
Ebbene, se della prima metà (gli acquisti differibili) è atteso un “rimbalzo” nel secondo e terzo trimestre del 2020 qualora vengano attuate politiche di sostegno di natura fiscale, l’altro 20-25% quest’anno andrà perduto.
Ma vi sono altre storiche fragilità che in un contesto oltremodo critico come l’attuale rendono debole il sistema-paese, si tratta principalmente la burocrazia e, in parte, del sistema bancario.
La pubblica amministrazione presenta zone di inefficienza e lentezza che in questa particolare fase, nella quale il sostegno al reddito di famiglie e imprese dovrebbe essere estremamente rapido, divengono cruciali.
Patologie croniche riconducibili ai ritardi nell’innovazione dell’apparato pubblico (come l’inadeguata informatizzazione) si riflettono sulla tempistica dei processi amministrativi.
Le ricadute sul piano politico. A questo punto è anche facile ipotizzare quali potranno essere le conseguenze sul piano politico conseguenti alle dinamiche in atto e a quelle dell’immediato futuro.
Va da sé che per l’Italia il deterioramento della finanza pubblica comporterà maggiori disagi in sede di trattative europee e questo, unito alle difficoltà derivanti dalla lentezza nel sostegno economico alle fasce della società maggiormente in difficoltà, miscelerà un composto altamente esplosivo.
Il detonatore potrà essere l’inerzia e la resistenza all’assunzione di certi provvedimenti da parte dei partiti politici di orientamento sovranista attualmente all’opposizione, che si troverebbero nella ottimale (per loro) condizione di sfruttamento del già marcato rifiuto da parte dell’opinione pubblica dell’Unione europea, nonostante il corposo complesso di misure anticrisi in via di finanziamento da parte delle Istituzioni comunitarie.
L’effetto conseguente sarebbe quello di ingenerare nella gente un’immagine ancor più negativa dell’Unione europea e della moneta unica, fatto che accentuerebbe in loro l’euroscetticismo trasformandolo in vero e proprio sentimento di rifiuto.
Oggi le priorità sono il ripristino della liquidità e il riavvio delle attività produttive e dei servizi, che impongono ai decisori politici e al Paese un percorso obbligato attraverso il confronto nelle sedi europee sulle politiche economica e fiscale, nonché la semplificazione e l’organizzazione dei processi. Un giorno, poi, bisognerà rientrare dalle gigantesche spese sostenute nella fase emergenziale.
Per l’intanto sarà dunque necessario velocizzare al massimo le risposte alla crisi, sia sul piano sanitario che su quelli economico e sociale, poiché il tempo avrà un impatto sulle scelte future, in quanto più lenta sarà l’uscita da questa crisi, più sarà oneroso e difficile il successivo recupero.