Nonostante la pandemia da Covid-19 in atto il settore primario non si ferma, poiché la domanda di generi alimentari è sostenuta.
Nei grandi magazzini è possibile trovare senza difficoltà i medesimi prodotti della terra che venivano commercializzati anche prima del blocco delle attività e dell’isolamento sociale decretato dal Governo a causa dei contagi.
Frutta, verdura, pane, salse, per la gente è confortante trovare pieni di derrate gli scaffali dei centri commerciali e delle piccole rivendite al minuto, generi di prima necessità dei quali, tutto sommato, malgrado la grave crisi i prezzi non sono però lievitati.
Tuttavia inizia a serpeggiare la paura che molto presto non si rendano disponibili a sufficienza quelle braccia anonime e invisibili che quella frutta e quella verdura dovranno raccogliere nei campi e poi caricare nelle cassette sugli autocarri, quei camion che successivamente le trasporteranno presso i mercati generali e, da lì, nei vari punti vendita.
Braccianti agricoli italiani e stranieri il più delle volte malpagati per un lavoro sfiancante, totalmente privi di qualsiasi salvaguardia sui piani sanitario e retributivo, in alcuni casi resi addirittura in una condizione di vera e propria schiavitù.
I pomodori ciliegini che tanto ci piacciono e dei quali «non possiamo davvero fare a meno» li acquistiamo a prezzi così convenienti anche perché chi li ha coltivati e trasportati fino al supermercato ha ridotto al massimo i costi di produzione, ma per farlo in molti casi ha sfruttato la manodopera.
Quello che potrebbe apparire come un attacco ideologico e moralistico alla logica capitalista del massimo profitto, in realtà è la fotografia della distorsione del meccanismo che muove la filiera produttiva agroalimentare, che in queste settimane di blocco forzato delle attività nel Paese evidenzia ancora di più la persistenza del fenomeno del caporalato, nonostante da alcuni anni sia in vigore una legge varata appositamente per il suo contrasto, la nr.199 del 2016.
Le stime parlano di un 35% della produzione nello specifico settore ancora viziata da diverse forme di sfruttamento del lavoro, e qui ci si riferisce appunto alla esclusiva produzione, escludendo dunque il segmento della logistica e quello della distribuzione.
Nel sistema agro-mafioso agiscono vari soggetti, oltre agli imprenditori senza scrupoli – molti, per il vero, schiacciati dalle condizioni capestro imposte loro dalla grande distribuzione organizzata – anche i cosiddetti «caporali», sia quelli italiani che quelli “etnici”, che contribuiscono a gestire la manodopera formata da immigrati, in regola con il permesso di soggiorno e non.
Per questi ultimi, nei confronti delle organizzazioni criminali dei loro paesi di origine, si instaura una condizione di vera e propria sudditanza. Sono quelle che si arricchiscono con la tratta degli esseri umani, che hanno permesso a questi disperati l’ingresso illegale in Europa, e che non infrequentemente sono sempre in grado di rivalersi sulle famiglie degli immigrati, indebitatesi per pagare il viaggio del loro parente.
Ma non soltanto esse, poiché – ove distorta – la filiera produttiva agroalimentare si nutre dello sfruttamento del lavoro, retribuito anche a 50 centesimi l’ora per 12-14 ore al giorno, un sistema schiacciasassi e para-schiavista che giunge non infrequentemente alla cancellazione dei diritti fondamentali dell’essere umano e che ogni anno alimenta un business criminale di circa 25 miliardi di euro, una cifra che non ha nulla da invidiare a quelle relative ai cespiti da traffico e spaccio di sostanze stupefacenti.
Ovviamente, la maggior parte degli imprenditori del settore agricolo sono persone oneste e lavoratrici, tuttavia da essi vanno distinti i “padroni”, cioè quegli operatori privi di scrupoli che non hanno remore nel ricorrere a metodi spicci come il caporalato.
Sono diversi i fattori che determinano un simile perverso meccanismo, perfettamente funzionante nella dimensione di una società occidentale contemporanea come quella italiana, infatti, i grandi gruppi di produzione e distribuzione impongono prezzi delle derrate estremamente bassi che, nei livelli inferiori della filiera, vengono resi possibili dalla compressione dei costi di produzione, che, infine, si scaricano sull’ultimo anello della catena: il bracciante salariato. In questo modo, seppure a stento, anche il piccolo produttore riesce a stare sul mercato.
Spesso questo stesso meccanismo viene lubrificato mediante l’azione della criminalità organizzata, che da tempo è presente nei vari segmenti della filiera, dalla produzione (raccolta, eccetera) alla distribuzione passando dalla logistica.
Non è un caso che numerose inchieste giudiziarie e procedimenti penali abbiano interessato i maggiori mercati ortofrutticoli del Paese, quelli di Vittoria (RG), Fondi (LT) e Milano.
Si esordito affermando che anche di fronte alla pandemia da Covid-19 il settore primario non si è fermato poiché la domanda di generi alimentari è rimasta sostenuta. Vero, ma adesso si pone il problema di spostare le braccia dalle baraccopoli dove sono confinate a quelli dove la stagione le rende necessarie per i raccolti.
Di fronte all’emergenza il Governo si è visto costretto a procrastinare le scadenze dei permessi di soggiorno a quei cittadini stranieri immigrati che ne sono in possesso, un provvedimento che non ha registrato grosse opposizioni poiché è evidente che queste braccia fanno comodo, anzi si rendono indispensabili, anche perché, oltre alla primaria necessità dell’approvvigionamento dei mercati di derrate alimentari, questa emergenza si configura come un’occasione di incremento del fatturato generato dall’aumento della domanda di prodotti.
Gli argomenti relativi alle distorsioni della filiera agroalimentare italiana, delle infiltrazioni in essa della criminalità organizzata e dello sfruttamento sistematico dei braccianti agricoli, sono stati trattati dal sociologo e sindacalista Marco Omizzolo, autore del saggio “Sotto padrone: uomini, donne e caporali nelle agromafie italiane”, nel corso di un’intervista rilasciata a insidertrend.it (A240), il cui audio integrale è possibile ascoltare di seguito.