CORONAVIRUS, emergenza e criticità. La pandemia svela le fragilità del sistema Paese

Per molti anni le politiche economiche italiane hanno prodotto una costante e silenziosa azione di attacco alla piccola impresa. Lo hanno fatto con atti legislativi e diffamanti campagne di comunicazione. Oggi, nel difficile momento che sta attraversando il Paese vengono a galla tutte le contraddizioni di queste politiche

di Claudio Franchi – Per molti anni le politiche economiche italiane hanno prodotto una costante e silenziosa azione di attacco alla piccola impresa. Lo hanno fatto con atti legislativi e diffamanti campagne di comunicazione.

I primi hanno elevato l’asticella delle difficoltà burocratiche e la pressione fiscale proprio come si fa nel salto con l’asta, centimetro per centimetro, facendo abituare i piccoli lavoratori autonomi a un graduale strozzamento, utilizzando la tecnica della rana bollita, la quale viene messa nell’acqua fredda e il calore le viene somministrato con gradualità, affinché l’animale si abitui e quando è troppo tardi per rendersene conto è spacciato.

Allo stesso tempo, con particolare predilezione da parte dei governi degli ultimi dieci anni – incluso l’attuale – hanno rafforzato l’attività coercitiva dell’Agenzia delle entrate, grazie all’uso di uno strumento di ricatto noto come “studi di settore”, poi sostituiti dall’Indice sintetico di affidabilità fiscale, grazie ai quali un freddo algoritmo pretende di stabilire quanto dovrà essere l’importo minimo da pagare in tasse, alla faccia delle regole del libero mercato e alla cruda verità del mercato reale nel quale circolano sempre meno soldi.

Come ciliegina sulla torta, i competenti organi di comunicazione delle Istituzioni “interessate” divulgavano (e divulgano tutt’oggi) cifre da capogiro sull’evasione fiscale, facendo intendere che questa vada ascritta proprio ai piccoli artigiani e commercianti, il cui peso in termini di numero – vale qui la pena di ricordarlo – è di circa 5 milioni di partite Iva rispetto ai circa 68 milioni di italiani, quindi circa il 7-8% dell’intera popolazione.

Nel difficile momento che il Paese sta attraversando verranno a galla in modo drammatico tutte le contraddizioni di questo genere di politiche.

I primi che cederanno sotto i colpi delle inevitabili chiusure imposte dal Governo per arginare la crescita del contagio, saranno proprio quei lavoratori autonomi, le cui risorse sono state oramai sottratte da un sistema fiscale vorace che mai sazio li ha prosciugati di ogni centesimo.

Molte di queste, già in crisi per questo silenzioso sistema di accerchiamento, negli anni precedenti hanno cessato la propria attività, facendo registrare un calo vertiginoso che ha visto la cessazione di oltre tre milioni di partite Iva.

Molti altri, purtroppo, cederanno in questa dolorosa situazione, senza diritti e con il carico di spese ineluttabili alle quali non potranno sottrarsi: canoni di locazione dei locali, spese di gestione che corrono nonostante la chiusura obbligata, impegni economici presi in precedenza per l’acquisto delle merci, senza contare gli stipendi dei propri dipendenti, forse l’unica voce cui il Governo sembrerebbe poter sollevare loro con gli aiuti previsti.

Quando l’emergenza sanitaria farà spazio a quella sociale, forse solo allora la politica e i tanti ben pensanti che hanno urlato al «dagli all’evasore commerciante e artigiano», apriranno gli occhi sull’amara verità che per anni hanno rinunciato a comprendere: queste piccole imprese, in grado di produrre redditi autonomi senza pesare sullo Stato  (quindi risorsa e non danno come vogliono far credere) e contribuenti di quegli stipendi e pensioni che tengono in piedi il sistema Italia, lasceranno una pericolosa voragine nei conti pubblici, perché, cessando le loro attività, non potranno più essere contribuenti, bensì un ulteriore esercito di potenziali assistiti dal «miracolo» del Reddito di cittadinanza, che a tal punto non sarà chiaro chi dovrà pagarlo.

La miopia delle suddette politiche economiche ha rivelato un altro elemento di criticità cui vale la pena fare una profonda riflessione.

Nel momento di crisi, che ci vede tutti costretti in quarantena, abbiamo bisogno di beni di prima necessità che scarseggiano, come le mascherine o gli strumenti tecnico-medicali, lacuna che evidenzia come il sistema produttivo del Paese negli anni abbia subito un arresto e danni notevoli in termini di numeri di perdita di aziende. Senza contare la difficoltà di veicolare merci in una economia di guerra che rende difficili gli approvvigionamenti.

Quindi si comincia a percepire il problema sino a oggi mai registrato dell’abbandono delle campagne per la coltivazione e la pastorizia, dal momento che certe categorie di prodotti, per fare solo un esempio i formaggi e derivati, provengono prevalentemente dal nord, mentre al centro e al sud proprio quelle politiche di attacco alla piccola impresa hanno letteralmente disincentivato a fare impresa.

Presto, si spera, ci saremo lasciati dietro le spalle questo grave momento, ci leccheremo le ferite, piangeremo i nostri morti e forse sarà giunto il momento di far riflettere la nostra classe dirigente che dovrebbe smetterla di continuare a tagliare i rami sui quali siede, perché non conviene al Paese ma non conviene neanche a lei.

Condividi: