Sulla base dei poteri presidenziali a lui conferiti, il presidente degli Stati Uniti d’America ha dichiarato lo stato di emergenza nazionale a causa della pandemia Coronavirus. Lo ha fatto nel corso di un discorso tenuto ieri sera al Rose Garden alla Casa Bianca.
Negli Usa la pandemia sta dilagando, i contagi e i decessi sono sempre di più e ora si corre. Le strutture sanitarie dovranno rispondere alla crisi con la massima flessibilità e l’industria americana dovrà collaborare.
«In tempi brevi – ha affermato Trump – verranno resi disponibili 500.000 kit per i test, in un mese saranno cinque milioni».
Google appronterà un sistema Online per raggiungere tutte le case degli americani allo scopo di informarli sulla pandemia e i conseguenti provvedimenti e comportamenti da tenere.
Maggiore flessibilità per gli ospedali del paese e una partnership con il settore privato, queste alcune delle azioni fondamentali che l’amministrazione Usa intraprenderà allo scopo di fronteggiare l’emergenza coronavirus.
Trump ha proclamato ufficialmente lo stato di emergenza nazionale, annunciando lo stanziamento di fondi per 50 miliardi di dollari in sostegno degli Stati colpiti dall’epidemia.
«Chiedo a tutti gli ospedali del paese di attivare piani di emergenza, per fare fronte alle esigenze degli americani».
La Casa Bianca conferirà maggiori poteri al segretario alla Salute per attribuire a tutti gli ospedali del paese la massima flessibilità al fine di fronteggiare l’emergenza del contagio dal virus.
Tra le misure previste anche quella che permetterà ai medici di fornire aiuto alle strutture ospedaliere in difficoltà indipendentemente dallo Stato di appartenenza, in deroga alla legge vigente nell’Unione.
«Verranno rimossi tutti gli ostacoli per curare i nostri cittadini – ha dichiarato – e le risorse non verranno risparmiate». Poi ha annunciato una nuova partnership col settore privato, «per garantire che chi ha bisogno del test possa averlo in modo veloce e economico».
Ma la Casa Bianca ha preso atto con ritardo della diffusione del contagio sul territorio americano. Il Coronavirus «è tutto un bluff», aveva recentemente affermato Trump, mentre qualcuno era addirittura giunto ad affermare che si trattava di un complotto ordito da oscure figure che manovrano nell’ombra allo scopo di mettere in difficoltà il presidente attualmente in carica per impedirne la rielezione alla Casa Bianca.
In realtà, la terribile epidemia Covid-19 sta dilagando anche negli Usa e ormai si contano i decessi di persone contagiate, Trump è dunque costretto a fare marcia indietro e dire la verità ai cittadini americani e al mondo.
Un problema del quale non sono certo ignari i due parlamentari del Partito repubblicano – Ted Cruz e Paul Gosar – che si sono sottoposti a quarantena dopo essere entrati in contatto con una persona risultata positiva al Coronavirus nel corso di una conferenza politica dei conservatori Cpac a National Harbor, nel Maryland.
Le dichiarazioni pubbliche che tendevano a minimizzare i pericoli del Coronavirus, Trump le aveva rese quando si era già a conoscenza del primo caso di positività ai test di una persona sul territorio americano, registrato con certezza nella contea di Solano (California) alla fine del mese di febbraio, su una persona che in precedenza non si era né recata in viaggio in paesi colpiti dall’epidemia e né era venuta a contatto con altri soggetti infettati dal Covid-19.
Non si trattava in ogni caso del primo contagio noto alle autorità sanitarie di Washington, ma il sessantesimo, seppure fino a quel momento non si fossero verificati decessi.
Nel caso della contea di Solano, la differenza inquietante risiedeva però nell’origine del veicolo delle infezioni, poiché ben due terzi delle persone precedentemente infettate dal virus erano state a bordo della Diamond Princess, la nave da crociera ancorata in quarantena al largo delle coste giapponesi dal giorno 5 febbraio.
Una cifra tutto sommato bassa per un paese come gli Stati Uniti, nel quale migliaia di persone vengono monitorate sì, ma attraverso uno screening al quale inizialmente venivano sottoposti soltanto coloro i quali rientravano dalla Cina o che erano venuti a contatto con persone rientrate dalla Cina.
In alcuni casi i sospetti contagiati non venivano visitati dai medici e neppure ricoverati in ospedale, ma soltanto contattati mediante l’invio di una e-mail o di un sms nel quale gli veniva domandato quali fossero le loro condizioni di salute e, soltanto nel caso di sintomi dichiarati gli veniva ordinato di mettersi in quarantena nella propria abitazione.
Una procedura che ha esposto il Paese a gravi rischi, dato che oltre all’incertezza sui reali comportamenti delle persone alle quali è stata ordinata la quarantena domiciliare, vi era quella che non tutti i destinatari di questi messaggi li avessero effettivamente controllati.
Sono dunque fondati i timori relativi alle falle possibili sia nel sistema di controllo che sui dati concernenti i soggetti monitorati, con seri rischi che la situazione finisca fuori controllo.
Un caso di positività di Solano aveva indotto i responsabili del Center for Disease Control and Prevention (CDC) (l’agenzia federale statunitense preposta al controllo e alla prevenzione di fenomeni epidemici del genere) a ritenere che potesse trattarsi del primo segnale di focolaio negli Usa.
L’allarme era stato lanciato nel corso di una conferenza stampa convocata ad Atlanta, attraverso la quale era stata posta sull’avviso sia la popolazione americana che i decisori politici della nazione riguardo a una imminente diffusione dell’infezione, definita come «inevitabile» seppure ancora non si fosse in grado di stimare le dimensioni del contagio.
Una informazione resa nota soltanto pochi minuti prima di un’altra conferenza stampa, quella tenuta da Trump al ritorno della sua visita ufficiale in India, la prima in cui il presidente americano faceva cenno al Coronavirus.
Trump aveva evitato di menzionare il caso verificatosi nel nord della California, producendosi al contrario nel suo classico esercizio di retorica venato da estremo ottimismo.
«I rischi di una diffusione del virus nel Paese sono molto bassi – aveva dichiarato pubblicamente smentendo il CDC – e, comunque, gli Usa sono preparati a epidemie del genere».
In seguito il vicepresidente Mike Pence si era dovuto fare carico della risposta della Casa Bianca all’epidemia e la misura assunta è stata quella di ordinare ai medici americani di sottoporre al test chiunque lo avesse richiesto, non soltanto quindi a chi manifestava i sintomi della malattia.
Ma i tamponi disponibili non sono in numero sufficiente ai testa da effettuare, anche de la Food and Drug Administration ha garantito la fornitura alle strutture sanitarie del Paese di un milione e mezzo di kit per i test.
Gravi carenze vengono inoltre registrate per quanto riguarda i guanti e le mascherine protettive, nonché ventilatori. Se il Coronavirus dilagherà ne occorreranno centinaia di milioni, ma al momento neanche gli stock conservati come riserva strategica insufficienti, dato che sono attualmente disponibili soltanto trenta milioni di mascherine e dodici milioni di apparecchi medicali per la ventilazione.
Il sistema difetta anche per quanto riguarda la terapia intensiva a causa di pochi posti letto disponibili.
Ad alimentare l’incertezza avevano poi contribuito anche le caratteristiche intrinseche del sistema sanitario statunitense, che non prevede una sanità pubblica come in Europa.
In America la sanità è nelle mani dei privati, ad esempio dei grandi gruppi assicurativi, che da tale business traggono enormi profitti.
Ovviamente, in casi di emergenza come quelli attuali, queste società sono obbligate a conformarsi ai protocolli e alle disposizioni dettate dalle autorità, ma la situazione comporta egualmente tutta una serie di lacune sia nei controlli che nelle verifiche.
Inoltre, contrariamente a quanto affermato da Trump, negli Usa risultano insufficienti gli stanziamenti per emergenze del genere, e ora il Congresso si appresta a votare lo stanziamento di alcuni miliardi per fare fronte alle carenze strutturali del sistema sanitario nazionale.
Negli Stati Uniti poi, non tutti beneficiano della copertura sanitaria. Buona parte delle persone (quelli che se lo possono permettere) stipulano una polizza assicurativa con delle società private, altri invece, come nel caso dei lavoratori di alcune imprese private, beneficiano dell’assistenza sanitaria grazie alla copertura fornita loro dai datori di lavoro.
Infine, chi non è nelle condizioni di permettersi una polizza assicurativa (negli Usa 27 milioni di persone) non beneficia di alcuna assistenza sanitaria, fatta eccezione per quella fornita dai non molti ospedali statali e federali che accettano i pazienti non abbienti nei casi di estrema necessità.
Tutte queste persone, che per ricevere assistenza medico-sanitaria dovrebbero pagare il servizio prima della sua erogazione, solitamente tendono a non ricorrere alle strutture ambulatoriali e ospedaliere, in non pochi casi addirittura neppure alle farmacie. Insomma, non hanno la possibilità di farsi visitare e di curarsi, ma quanti di essi sono stati contagiati dal Coronavirus e non lo sanno?
Medicare for all, cioè l’introduzione negli Usa dell’assistenza sanitaria pubblica per tutti i cittadini, è la proposta dei democratici Bernie Sanders ed Elizabeth Warren, politici che corrono per la nomination alle prossime elezioni presidenziali.
Già le elezioni di Mid-Term ebbero quale tema principale l’estensione dell’assistenza sanitaria a tutta la popolazione.
Dal canto suo Trump teme fortemente gli effetti del Coronavirus, in quanto essi possono abbattere l’economia americana, cavallo di battaglia del presidente in carica in vista delle prossime elezioni per la Casa Bianca.