È inevitabile, anche il business illegale conosce una mutazione delle proprie metodologie a causa della pandemia di coronavirus in atto. L’evoluzione diviene oltremodo necessaria, poiché su traffici e attività di altro genere pesano le limitazioni alla libera circolazione decise dal Governo per contenere la diffusione dei contagi del Covid-19 sul territorio nazionale.
Intanto, in limini va rilevato che l’emergenza epidemiologica ha fermato né il consumo né lo spaccio di sostanze stupefacenti, ma ne ha semplicemente modificato le caratteristiche.
Un esempio di questo rapido adeguamento alle mutate condizioni lo fornisce un caso di spaccio “porta a porta” scoperto nella città di Trento, nei quartieri nord non distanti dal Top Center, dove i militari della Guardia di Finanza hanno fermato un cittadino tunisino ventinovenne, in Italia senza permesso di soggiorno, dopo che aveva rifornito di droga un suo “cliente”.
A seguito dell’immediata perquisizione domiciliare effettuata presso l’abitazione dell’uomo che per altro risultava «noto all’Ufficio», sono state rinvenute e sequestrate una quindicina di dosi di cocaina, un bilancino di precisione, del materiale per il confezionamento della droga e 3.480 euro, che i Finanzieri ritengono essere provento di spaccio.
Il tunisino è stato quindi tratto in arresto, mentre un suo connazionale di 24 anni, intercettato nel corso di una consegna e trovato in possesso di nove grammi di hashish, è stato denunciato a piede libero all’Autorità giudiziaria.
A seguito dell’analisi di alcuni elementi ricavati nel corso di precedenti operazioni, incrociati poi con informazioni acquisite nel corso dei diversi servizi di perlustrazione e controllo del territorio, è emerso inoltre il coinvolgimento di un cittadino marocchino fortemente sospettato di gestire un’attività di spaccio sulla “piazza” di Rovereto.
Pedinatane la consorte, ella, inconsapevolmente, ha condotto gli uomini delle Fiamme gialle dapprima presso un’abitazione dove aveva trovato rifugio il fratello latitante di lui, risultato oggetto di ordine di cattura, successivamente nel locale dove veniva custodita la droga.
Giocoforza mutano le metodologie dello spaccio su strada, si diceva, poiché i pusher si adeguano al diverso contesto ambientale, maggiormente restrittivo.
Gli spacciatori si organizzano offrendo ai consumatori di sostanze stupefacenti un servizio porta a porta su “prenotazione”, sfruttando le potenzialità di social media come whatsapp, telegram e messenger, attraverso i quali gli vengono richieste le varie droghe nei quantitativi desiderati. Comunicato l’indirizzo per la consegna, conseguentemente i pusher recapitano a domicilio le dosi riscuotendo il corrispettivo del prezzo pattuito, altre volte, invece, era il cliente stesso a recarsi presso la casa dello spacciatore.
Adesso, in forza delle nuove restrizioni alla libera circolazione i pusher per consegnare la merce escono a portare a passeggio il cane, oppure fingono di fare footing, o si giustificano affermando di andare a fare la spesa al supermercato.
Dai pusher che spacciano per la strada ai narcotrafficanti di vaglia, il Nucleo di polizia economico-finanziaria della Guardia di Finanzia di Napoli, in stretta collaborazione con l’Ufficio dell’Esperto per la Sicurezza presso l’Ambasciata Italiana a Bogotà (Colombia) e con la Direzione Centrale per i Servizi Antidroga, ha individuato e fatto arrestare nella città ecuadoregna di Manta un narcotrafficante di origine campana, Serafino Rubino, latitante dal giugno del 2018, cioè da quando si era sottratto all’esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare disposta dal Gip presso il Tribunale di Reggio Calabria su richiesta della locale Direzione Distrettuale Antimafia.
L’operazione ha avuto luogo nel quadro di un’indagine condotta dagli specialisti del Gruppo di investigazione criminalità organizzata (GICO) di Napoli su un traffico internazionale di cocaina proveniente dal Sud America, nel quale si ritiene siano coinvolti anche elementi della criminalità campana.
Gli sviluppi investigativi frutto del coordinamento su scala internazionale tra organismi interforze, hanno reso possibile l’identificazione e la localizzazione del pericoloso ricercato e, successivamente, la segnalazione di questi alla polizia ecuadoregna.
All’atto del suo arresto il Rubino ha esibito un documento di riconoscimento colombiano rivelatosi falso, tuttavia, al fine di accertare la sua identità personale è stato fatto ricorso al confronto dei tatuaggi che l’uomo recava impressi sul corpo, precedentemente diffusi dall’Interpol per la sua ricerca.
Rubino verrà estradato in Italia non appena verrà perfezionato il previsto iter diplomatico.
Sulla base di quanto emerso dalle indagini svolte a suo tempo dal Nucleo di polizia economico-finanziaria della Guardia di Finanza di Catanzaro nell’ambito dell’operazione “Hermes 2016” – che portarono all’emissione da parte del Tribunale di Reggio Calabria di un mandato di cattura a suo carico -, Serafino Rubino avrebbe gestito un grosso traffico internazionale di cocaina insieme alla compagna del boss della mafia catanese Salvatore Cappello detto «Turi».
Attraverso trattative dirette con i cartelli della droga sudamericani, si ritiene abbia “piazzato” partite di stupefacenti a diversi acquirenti sul territorio italiano.
Tra questi figurerebbero anche alcune cosche di ‘ndrangheta di primo piano come quella dei Pelle-Vottari di San Luca, nel Reggino.