CORONAVIRUS, impatti psicologici. Rischio tenuta del Paese: come intervenire? intervista con SILVIA BASSI, psicologa e criminologa

Dal rischio psicosi a quello della tenuta del sistema in attesa del “picco” dei contagi: i comportamenti individuali verranno indotti da percezione e stress. Categorie più esposte (come bambini e adolescenti) e possibili patologie. Il rimedio indicato è quello di trovare la via in sé stessi, in un «rifugio crepuscolare 2.0»

L’emergenza Coronavirus costituisce in assoluto una novità per l’Italia, infatti mai prima d’ora, almeno dal secondo dopoguerra, la gente era stata costretta a un tale regime di isolamento.

I necessari provvedimenti assunti dall’Esecutivo hanno lo scopo di circoscrivere il pericoloso contagio, tuttavia, già nel breve periodo potrebbero evidenziare scollamenti nella risposta fornita dalla popolazione italiana.

Infatti, lo stress al quale hanno iniziato a venire sottoposte le persone – sia nella loro individualità che nella loro collettività, per così dire, «sospesa» -, si configurano come un’incognita, in quanto nel bagaglio culturale di esse non esistono esperienze del genere, se non quella, ma limitata e territorialmente circoscritta, di Seveso nel 1976, quando dagli impianti industriali dell’Icmesa fuoriuscì una nube tossi di diossina.

Cosa potrà accadere alle menti umane costrette per giorni a restare chiuse in casa?

Quali sono i soggetti più deboli?

Quale supporti psicologici sono concretamente praticabili per queste persone? E a quali di esse attribuire una priorità negli interventi?

A questo punto l’interrogativo è se il sistema reggerà, cioè se in Italia il famigerato e atteso “picco” dei contagi si verificherà in tempi relativamente brevi oppure no, con la possibile conseguenza che il senso di responsabilità dei cittadini venga anche solo in parte meno.

E se si dovesse «sbracarsi» tutto, col conseguente allentamento del regime di sicurezza imposto per decreto dal Governo, la situazione assumerebbe contorni inquietanti.

Insomma, dal rischio psicosi si passerebbe a una sottovalutazione della pandemia, ma, in ogni caso, i comportamenti individuali verranno indotti da percezione e stress.

È la legge inesorabile dettata dalle “società complesse” come quella dove attualmente si consumano le nostre esistenze, nelle quali elementi cardine risultano essere i decisori (politici, amministratori, mondo dell’economia), la cosiddetta «rete di contatto» e la comunicazione.

La comunicazione riveste un ruolo fondamentale, poiché è proprio sulla percezione sociale che è necessario agire, soprattutto alla luce dell’ormai diffusa sfiducia dell’opinione pubblica italiana nei confronti della propria classe politica e ora anche del sistema di informazione.

L’emergenza Coronavirus ha fatto emergere diversi aspetti, sia di natura psichica che psicosociale, che investono quindi sia il singolo che la collettività, come l’emotività e la paura.

Di fronte a un fenomeno sconosciuto come una minaccia l’individuo ha paura, una emozione importante che lo pone di fronte all’alternativa di confrontarsi con la causa della sua paura o sfuggirle, cercando in questo modo di evitare il pericolo.

Tuttavia, nei casi in cui la paura si discosta eccessivamente dalla realtà oggettiva del pericolo – come in quello attuale della pandemia da Coronavirus -, la percezione di quest’ultimo può indurre a reazioni incontrollate potenzialmente deleterie per l’individuo stesso e anche per la collettività.

Uno degli esempi di questo genere di reazioni incontrollate deriva dalla cosiddetta «fobia sociale», irrazionale fenomeno di contrasto della paura (ma non del pericolo, anzi, il contrario) verificatosi nei giorni scorsi a seguito dell’annuncio del Governo dell’entrata in vigore di disposizioni restrittive in materia di libertà di circolazione  sul territorio nazionale italiano.

Una percezione della paura molto lontana dalla oggettiva realtà.

Di fronte a una situazione di forte pericolo il cervello umano può attivarsi in maniera funzionale adattivo è nelle condizioni di comprendere la nuova realtà con oggettività, ma, qualora questo tipo di difesa venisse a mancare, prevalgono le difese più arcaiche, cioè quelle emozionali.

Queste ultime spaziano dalla negazione totale della problematica (è la rimozione del disagio) all’emergere di una stato di ansia foriero di reazioni incontrollate.

Ogni individuo possiede una propria finestra di tolleranza, che nella quotidianità gli consente di oscillare tra un’attivazione e l’altra del suo cervello (quindi dei suoi comportamenti), superato però il limite di questa finestra – anche e soprattutto di una percezione indotta del fenomeno fino ad allora sconosciuto, ad esempio a causa di allarmismo ingenerato dai media -, si verifica frequentemente una ipoattivazione o, al contrario, una iperattivazone del cervello, con effetti sul processo cognitivo e decisionale.

Il tema è stato approfondito nel corso dell’intervista rilasciata a insidertrend.it dalla dottoressa Silvia Bassi, psicologa e criminologa docente presso il Centro studi scena del crimine di Milano, intervista il cui audio integrale è fruibile di seguito.

A227 – CORONAVIRUS, IMPATTI PSICOLOGICI. RISCHIO TENUTA DEL PAESE: COME INTERVENIRE? Insidertrend.ie ne ha parlato con la dottoressa SILVIA BASSI, psicologa e criminologa presso il Centro studi scena del crimine di Milano.
Il rischio psicosi e quello della tenuta del Paese nel caso di una prolungata emergenza in attesa del “picco” dei contagi da Covid-19.
Si tratta di una situazione senza precedenti che mette alla prova le menti umane determinando i diversi comportamenti individuali, questi ultimi fortemente indotti da percezione e stress. (12 marzo 2020)
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