TUNISIA, terrorismo. Attentato suicida a Tunisi presso l’ambasciata Usa

Forse una ritorsione per l’eliminazione del capo jihadista Seifallah ben Hassine, recentemente eliminato dalle forze francesi in Mali. L’azione di ieri ripropone il problema della riabilitazione e della reintegrazione nella società dei terroristi e degli ex foreign fighters

A Tunisi due uomini a bordo di una moto si sono fatti esplodere presso un check-point allestito vicino a una banca, non lontano dall’ambasciata degli Stati Uniti d’America.

L’attentato, compiuto alle undici e mezza di ieri mattina, ha provocato la morte di un ufficiale di polizia (si tratta del tenente Taoufik Missaoui), dei due terroristi suicidi oltre al ferimento di quattro agenti e di una donna.

Il ministero dell’interno di Tunisi ha in seguito reso noto che l’obiettivo dei due attentatori sopraggiunti a bordo della motocicletta era quello di introdursi all’interno della rappresentanza diplomatica per poi colpire.

Essi – noti alla forze di sicurezza del Paese nordafricano in quanto schedati come terroristi -, indossando giubbotti esplosivi celati sotto le giacche, si sono avvicinati a una pattuglia della polizia fingendo chiedere informazioni agli agenti, ma il loro progetto di colpire l’ambasciata Usa è però fallito.

Sempre secondo le fonti del ministero dell’interno tunisino, essi avrebbero quindi deciso di «agire in modo arbitrario» facendosi esplodere al posto di blocco facente parte del dispositivo di sicurezza posto a protezione dell’area perimetrale esterna al complesso diplomatico americano sito nell’elegante quartiere di Berges du Lac 2.

A seguito dell’attentato le autorità tunisine hanno rafforzato le misure di sicurezza a tutela dei siti maggiormente sensibili, disponendo inoltre la chiusura della Scuola americana, istituto che si trova sull’arteria GP9, asse viario che conduce a La Marsa, nella zona orientale della Grande Tunisi, a nord della Goletta.

Ipotesi ritorsione jihadista. Nei giorni scorsi era stata diffusa la notizia della morte di Seifallah ben Hassine (Abu Iyadh), già mujaheddin in Afghanistan e in contatto con Usama bin Ladene, successivamente tra i fondatori di Ansar al-Sharia in Tunisia.

Questi aveva trovato rifugio nella regione saheliana, dove aveva proseguito le sue attività armate, fino a quando, pochi giorno fa, è stato eliminato in Mali dalle forze francesi per mezzo di un raid aereo.

La sua morte – in passato spesso annunciata seppure non fosse stata poi confermata dall’organizzazione jihadista di appartenenza -, è stata ufficialmente confermata con un messaggio audio da Abdelmalek Droukdel, emiro di al-Qaeda nel Maghreb islamico (Aqmi).

Dunque, la prima ipotesi esplorata dopo l’attentato di ieri mattina è stata quella che ricondurrebbe l’attacco suicida al posto di blocco presso la sede diplomatica americana a una ritorsione dell’organizzazione jihadista per l’uccisione di un suo elemento di spicco.

In ogni caso, il fatto che i due attentatori periti nell’azione suicida da loro posta in essere fossero a piede libero dopo un periodo di detenzione nelle carceri del paese nordafricano, liberati con l’obbligo di non lasciare la Tunisia, mantiene acceso il focus sul problema relativo alla riabilitazione e reintegrazione dei militanti islamisti radicali.

Questo soprattutto alla luce dell’elevato numero di foreign fighters tunisini che in passato hanno raggiunto i vari fronti di guerra del Medio Oriente per combattere il jihad nelle fila di Islamic State.

Oggi molti di essi hanno fatto ritorno in patria e, in non pochi casi, rappresentano una potenziale minaccia per un paese relativamente stabile, tuttavia precariamente in bilico in una regione devastata dalle crisi e dai conflitti.

Terrorismo in Tunisia. Fino a ieri gli ultimi attentati registrati nel paese risalivano al 27 giugno dello scorso anno, quando vennero portate a compimento due azioni: nella capitale una coppia di terroristi (un uomo e una donna) avevano colpito nel centro della città uccidendo un agente di polizia ferendo anche alcune persone, sul Monte Orbata governatorato di Gafsa, mentre a circa 360 chilometri a sud-est di Tunisi) un commando jihadista aveva attaccato un’infrastruttura di teletrasmissione presidiata dai militari.

Quello stesso giorno il novantaduenne presidente della repubblica Beji Caid Essebsi era stato colto da un grave malore che lo avrebbe condotto successivamente alla morte, avvenuta un mese dopo.

Invece, tornando indietro di quattro anni al 18 marzo del 2015, vi era stata la terribile mattinata che, sempre nella capitale, aveva visto un commando jihadista assassinare numerosi turisti nel museo del Bardo, mentre lo stesso anno sulla spiaggia di Sousse venne compiuto un altro attacco terroristico che provocò una strage, infatti furono trentotto le vittime.

Sempre nel 2015, il 24 novembre venne attaccato un autobus che trasportava personale in forza alla guardia di sicurezza presidenziale, i morti furono dodici.

L’8 luglio del 2018, nel governatorato di Jendouba (al confine con l’Algeria) sei membri delle forze di sicurezza avevano perso la vita a seguito di un attentato a un convoglio della Guardia nazionale, l’ottobre seguente una donna si era fatta esplodere sulla Avenue Habib Bourguiba provocando il ferimento di venti persone, in massima parte agenti di polizia.

Nel 2016 Islamic State era quasi riuscita a conseguire l’obiettivo del controllo di una vasta porzione del territorio tunisino,, dove avrebbe voluto replicare quanto fatto in Iraq e Siria, instaurando una propria “provincia” al confine con la turbolenta Libia.

Un anno dopo la città meridionale di Ben Guerdane fu posta sotto attacco da formazioni armate del sedicente «califfato», ma senza successo, poiché dopo due giorni di combattimenti – che provocarono cinquantatré vittime tra le forze di sicurezza, la popolazione locale e i terroristi -, il dispositivo di sicurezza posto a protezione delle strutture militari e civili resse e l’attacco jihadista fallì.

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