Scongiurare una guerra tra clan al fine di conservare le capacità operative dell’organizzazione di stampo mafioso attiva sul litorale romano, questi, secondo le conclusioni delle indagini condotte dalla Direzione distrettuale antimafia della capitale (Dda), gli obiettivi che si erano prefissi i nomi “eccellenti” della criminalità locale alla fine del 2017.
Infatti, sulla base della ricostruzione degli investigatori Fabrizio Piscitelli – noto come «Diabolik», capo ultras della Curva Nord assassinato il 7 agosto 2019 al Parco degli Acquedotti – e Salvatore Casamonica avrebbero dovuto comunicare con Carmine Spada (detto «Romoletto», esponente dell’omonimo clan di Ostia) allo scopo di inviargli i termini della composizione dei contrasti.
Una “pace mafiosa” che sarebbe stata stipulata in un ristorante di Grottaferrata frutto di una importante trattativa che sarebbe stata intavolata anche grazie ai buoni uffici interposti da un avvocatessa del foro della capitale, Lucia Gargano, legale presso uno studio i cui titolari in passato avevano spesso assunto le difese di esponenti di spicco del clan Spada – incluso il boss Carmine –, persone imputate in diversi processi.
Secondo l’impianto accusatorio, l’avvocatessa avrebbe svolto la funzione di intermediaria, consentendo il recapito dei “pizzini” dall’esterno all’interno del carcere, avvalendosi anche dell’aiuto di detenuti reclusi nello stesso braccio della casa circondariale di Rebibbia dove era astretto lo Spada.
Un delicato incarico ricevuto dallo stesso Piscitelli, che intendeva a tutti i costi evitare una escalation dello scontro tra un ramo degli Spada (riconducibile a Ottavio Spada, detto «Marco») e la banda capeggiata da Marco Esposito (soprannominato «Barboncino» e allora in rapporti con Piscitelli), a quel tempo in forti contrasti con gli Spada per il controllo degli affari illeciti sulla piazza del litorale.
Gli inquirenti ritengono che la Gargano abbia prestato la propria particolare opera per Piscitelli anche in seguito, rendendosi disponibile a fungere da trait d’union con un altro soggetto, Dorian Petoku, cittadino albanese in affari con «Diabolik» e con Salvatore Casamonica.
Era il 12 settembre 2018, ma a questo punto è utile seguire l’impianto reso noto dalla Procura della Repubblica e dalla Guardia di Finanza, che dalle prime ore dell’alba di oggi hanno dato esecuzione a un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal Giudice per le indagini preliminari (Gip) Corrado Cappiello su richiesta della Direzione distrettuale antimafia della capitale nei confronti di Salvatore Casamonica e della citata avvocatessa Gargano.
Salvatore Casamonica, ritenuto esponente di livello apicale del suo clan, attualmente è sottoposto al regime detentivo speciale di cui all’articolo 41-bis, destinatario della misura della custodia cautelare in carcere, mentre la legale è agli arresti domiciliari.
Entrambi sono indagati per il reato di concorso esterno in associazione per delinquere di stampo mafioso (articoli 110 e 416-bis Codice penale).
«I due – recita il comunicato stampa del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Roma -, in concorso tra loro e con il Piscitelli, avrebbero contribuito al perfezionamento di un accordo finalizzato a stabilire la pace fra il clan mafioso Spada e un altro gruppo criminale attivo a Ostia, capeggiato da Marco Esposito, pervenendo così al risultato della conservazione della capacità operativa degli stessi Spada».
Le indagini – coordinate dalla Dda e svolte dagli specialisti del Gruppo d’investigazione sulla criminalità organizzata (Gico) del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Roma – si sono sviluppate nel solco di quelle precedenti, denominate «Brasile Low Cost» e «Grande Raccordo Criminale», che avevano portato all’arresto per reati legati al narcotraffico, tra gli altri, Salvatore Casamonica, Dorian Petoku, Tomislav Pavlović, Fabrizio Fabietti e altre cinquantuno persone.
Monitorando sul territorio l’evoluzione delle diverse trattative criminali, i militari delle Fiamme gialle, avvalendosi del prezioso contributo di elementi infiltrati negli ambienti malavitosi, hanno intercettato in presa diretta Salvatore Casamonica e Fabrizio Piscitelli mentre concordavano la pax mafiosa tra il clan Spada e il sodalizio lidense facente capo all’Esposito.
Qui è emersa la posizione dell’intermediario che avrebbe materialmente permesso i contatti necessari al raggiungimento e al mantenimento dell’accordo, poiché i due garanti avevano però bisogno del supporto di un professionista che fungesse, appunto, da trait d’union, una persona con libertà di movimento e credibile agli occhi degli altri criminali, che avesse inoltre la possibilità di accedere alle aule di tribunale e agli istituti carcerari.
Procede la sintesi dell’impianto accusatorio: «Il 13 dicembre 2017, il legale giungeva in un ristorante di Grottaferrata, dove di lì a poco sarebbe iniziata la riunione illecita, suscitando lo stupore di uno dei presenti – “…Ho paura di tutti questi delinquenti che stanno a questo tavolino… l’avvocato, mamma mia che coraggio che ha! Mamma mia… in mezzo a tutti questi scatenati…”».
Ma, come ha riportato il Gip nella sua ordinanza, «la presenza dell’avvocato non era affatto casuale, tant’è che il Casamonica e il Piscitelli iniziavano a parlare della necessità di avviare il processo di pacificazione fra le due fazioni egemoni nel territorio di Ostia solo quando il professionista giungeva al ristorante».
D’altronde, secondo gli investigatori la pace da imporre sul litorale si inseriva in un momento storico particolarmente complesso per il clan Spada, dovuto allo stato di detenzione dei propri vertici, cioè Ottavio Spada detto «Marco» e Roberto Spada (per il fermo conseguente all’aggressione del giornalista della Rai Daniele Piervincenzi), alle limitazioni cui era soggetto ritenuto essere il capo indiscusso della consorteria, cioè Carmine Spada (detto «Romoletto», sottoposto all’obbligo di dimora e vittima di due tentati omicidi nel novembre del 2016) e al fatto che i capi e numerosi sodali del clan Fasciani, federati agli Spada, erano detenuti da anni.
In virtù di tale momento di difficoltà, l’organizzazione riconducibile all’Esposito aveva intenzione di “riprendersi” la piazza di Ostia mediante atti di forza che avessero un elevato impatto sulla cittadinanza.
Infatti, nel giro di soli tre giorni venivano commessi tre distinti atti intimidatori nei confronti di soggetti organici o contigui al clan Spada.
il 23 novembre 2017 venivano “gambizzati” Alessandro Bruno e Alessio Ferreri (quest’ultimo fratello di Fabrizio, cognato del detenuto Ottavio Spada), mentre due giorni dopo, il 25 novembre 2017, venivano esplosi alcuni colpi di arma da fuoco contro la vetrina del bar Music a Piazza Gasparri, locale nella disponibilità di Roberto Spada.
Sempre il 25 novembre altri colpi d’arma da fuoco venivano esplosi in via Forni contro la porta di casa di Silvano Spada, nipote del boss Carmine e di Roberto Spada, nonché organico all’omonimo clan.
l Gip ha pertanto evidenziato che: «Una guerra non sarebbe convenuta a nessuna delle due organizzazioni, tanto che Piscitelli e Casamonica Salvatore dichiaravano apertamente che stavano fungendo da garanti di un accordo tra i due gruppi contrapposti».
I citati atti intimidatori avevano turbato Ottavio Spada, tanto che Casamonica e Piscitelli, per scongiurare quella che il Gip definisce «una vera e propria guerra di mafia», decidevano di dettare all’avvocatessa Gargano una lettera che poi avrebbe dovuto consegnare, qualche giorno dopo, allo stesso Ottavio astretto in carcere.
E, in effetti, di lì a poco sarebbero cessate le ostilità nella zona del litorale.
Nel mondo criminale romano questa vicenda ebbe una tale eco da divenire tema di discussione per mesi: se ne trovano tracce anche tra le righe dell’ordinanza di custodia cautelare relativa all’operazione «Maverik», che il legale leggeva con preoccupazione ad un suo conoscente. In quelle pagine spiccavano ai suoi occhi alcune frasi di Fabio Di Francesco che, parlando di «Barboncino», raccontava come solo l’intervento pacificatore di Piscitelli avesse potuto mettere fine ad una faida destinata, altrimenti, a mietere molte vittime.
La lettura delle intercettazioni metteva in agitazione la professionista, che ebbe ad affermare: «Mo’ riarresteranno pure il mio povero Diabolik!» e, consapevole del proprio ruolo in quelle vicende, chiedeva «secondo te mi arrestano? Sicuramente mi indagano».
Quando, nel gennaio del 2019, il Gico dette esecuzione all’operazione «Brasile Low Cost», l’avvocatessa realizzò come alla riunione del 13 dicembre 2017 fossero presenti degli infiltrati delle Forze dell’Ordine, tant’è che, forte della sua esperienza forense e consapevole dell’illiceità delle proprie condotte, si sfogò con un suo collega affermando laconicamente: «… concorso esterno».
Nel corso dell’indagine emerse anche che il legale il 19 giugno 2018, nel corso del colloquio telefonico con il detenuto Carmine Spada, obbedendo alla esplicita richiesta di «Romoletto», lasciò la cornetta in favore della sua convivente Emanuela Leone, consentendo al proprio assistito un colloquio non autorizzato.
Qualche mese dopo, nel novembre del 2018, sfruttando una breve evasione di un altro suo assistito, Alessio Lori – all’epoca agli arresti domiciliari presso il centro di solidarietà Don Guerrino Rota di Spoleto – gli consegnò un telefono cellulare, due Sim e denaro contante al fine di permettergli, come lo stesso professionista avrebbe dichiarato in una conversazione intercettata dal Gico, di «fare impicci».
E proprio con quel telefono, nei mesi successivi il Lori, sebbene in stato di arresto, riuscì a comunicare indirettamente con il narcotrafficante Arben Zogu, di cittadinanza albanese detenuto a Viterbo.
Ancora, durante una cena in occasione del natale 2018 – che ebbe luogo a casa di un soggetto condannato definitivamente per narcotraffico e ristretto agli arresti domiciliari con divieto di comunicare con persone diverse dai familiari -, il Gico intercettò una conversazione nel corso della quale l’avvocatessa, parlando con dei pregiudicati, tenne una sorta di corso d’aggiornamento sulle tecniche di ostacolo delle intercettazioni, spiegando in particolare come evitare l’inoculazione dei virus informatici nei telefoni cellulari.
L’operazione di polizia effettuata oggi dalla Guardia di Finanza su disposizione della Dda è stata appunto definita «Tom Hagen» con riferimento al nome di fantasia dell’avvocato di don Vito Corleone, personaggio protagonista del film “Il Padrino”.