«Rovesciare la maledizione delle risorse perché queste siano il primo investimento autogenerato dell’Africa», così si è espresso Jean Leonard Touadi all’apertura della conferenza “Africa 2020, prospettive politiche ed economiche”, evento organizzato il 28 gennaio a Roma dal periodico specializzato “Africa e Affari”.
Touadi – afro originario già parlamentare della Repubblica e oggi neo-presidente del Centro Relazioni con l’Africa (CRA) della Società Geografica Italiana -, tracciando una panoramica a 360 gradi delle sfide e degli appuntamenti africani per l’anno appena iniziato, ha voluto concentrare l’attenzione anche sulla nuova moneta unica africana, Eco, destinata a sostituire il cosiddetto «franco africano» (CFA, Comunità finanziaria africana).
Egli ha infatti aggiunto che «la sfida è la moneta che cambia e l’epicentro di questo cambio è la Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale», l’Economic Community of West African State, dunque, o ECOWAS.
Di essa fanno attualmente parte quindici Stati africani: Benin, Burkina Faso, Canea, Capo Verde, Costa d’Avorio, Gambia, Ghana, Guine-Bissau, Liberia, Mali, Niger, Nigeria, Senegal, Sierra Leone e Togo.
Touadi ha infine ricordato come la nuova moneta possa configurarsi anche nelle forme di «un esercizio collettivo per far nascere una moneta panafricana».
Essa, negli auspici, dovrebbe venire associata a solide istituzioni federali africane, in grado di sostenere l’impatto con le sfide poste dal futuro.
La questione del superamento del franco Cfa – avente corso legale in quattordici Paesi africani, alcuni dei quali in passato colonie francesi – è al centro delle discussioni e delle aspettative di non pochi economisti e politici, anche alla luce di quella che viene oggi definita come la «rivoluzione monetaria in Africa occidentale», che ha vede il distacco imminente di otto Stati della regione dall’ex divisa coloniale tuttora controllata da Parigi (in origini, infatti, si chiamava franco delle colonie francesi d’Africa, Fcfa).
Un mutamento importante foriero certamente di rischi ma anche di grandi opportunità. I primi otto Paesi – il blocco UEMOA, al quale appartengono ben sette ex colonie francesi – verranno probabilmente seguiti da altri sei dell’Africa centrale, sempre facenti parte del gruppo Cfa ma appartenenti all’altro blocco, il CEMAC.
Si tratta del cambiamento di maggiore rilievo dei Paesi della regione con la Francia dalla fine del periodo coloniale, poiché in conseguenza di tale scelta Costa d’Avorio, Senegal, Mali, Burkina Faso, Benin, Togo, Niger e Guinea-Bissau, non dovranno più depositare metà delle loro riserve monetarie in Francia e assicurare altresì obbligatoriamente un posto nel board delle loro banche centrali a un funzionario inviato da Parigi.
Lo stesso inquilino dell’Eliseo, Emmanuel Macron, ha seguito dappresso questa dinamica dichiarando pubblicamente la propria personale disapprovazione per la fase colonialista del suo paese.
«Il colonialismo francese in Africa è stato un grave errore», ha infatti affermato Emmanuel Macron, primo leader francese nato dopo gli anni delle indipendenze africane (che è consapevole della necessità di abbandonare il vacillante sistema ereditato dal passato), esprimendosi sul medesimo argomento, già nel corso della campagna elettorale del 2017, aveva definito le attività francesi condotte in passato in Algeria un «crimine contro l’umanità».
La nuova moneta africana continuerà comunque a restare agganciata all’euro, la moneta comune europea, ma la sua tenuta verrà messa alla prova soltanto nell’eventualità di crisi a seguito del crollo dei prezzi delle materie prime o di una crisi politica generalizzata.
La Francia avrà diritto alla nomina di un proprio rappresentante indipendente presso il vertice della banca centrale regionale e monitorerà quotidianamente le riserve di quest’ultima, tuttavia, l’effettiva disponibilità di Parigi a intervenire in sostegno della nuova moneta comune regionale africana si potrà concretamente misurare soltanto in una grave condizione di stress.
In caso contrario, cioè in assenza di un intervento francese in sostegno, gli africani per garantirne la tenuta dovranno fare affidamento esclusivamente alla disciplina in materia fiscale e monetaria dei loro Stati, con gli annessi seri problemi di inflazione e svalutazione.
In un recente articolo a firma David Pilling, pubblicato dal Financial Times nei giorni scorsi, si afferma che la rivoluzione monetaria in Africa centrale , col suo passaggio a una moneta unica locale, rappresenta «una questione dagli aspetti più politici che economici», poiché le élite del continente nutrono la speranza di poter riuscire a sconfiggere il risentimento popolare montante nei rispettivi Paesi, che nel franco Cfa vede un simbolo dell’imposizione dell’egemonia francese.
Sempre secondo l’editorialista britannico, attualmente le aree di maggiore interesse commerciale per le imprese francesi si trovano fuori dalle zone francofone, ad esempio in la Nigeria e l’Etiopia, due giganti sui piani demografico ed economico.
«In ogni caso il rapporto speciale con la Francia non si esaurirà – prosegue Pilling nella sua analisi -, dato che nel 2013 Parigi ha inviato un suo contingente di truppe nella regione settentrionale del Mali (anche) in funzione di contrasto delle organizzazioni jihadiste che con i loro miliziani occupavano militarmente vaste aree del Paese.
Oggi le unità dell’Armée de Terre e della Legion Etrangere sono ancor lì e con la loro presenza alimentano il rancoroso sentimento antifrancese delle popolazioni locali che, ufficialmente, sono stati chiamati a placare.
Sempre in occasione della conferenza “Africa 2020” che ha avuto luogo a Roma, presentando i dati economici relativi al continente, Massimo Zaurrini (direttore responsabile di “Africa e Affari”) ha sottolineato come «continuare a dividere, nelle analisi dei principali istituti finanziari internazionali, i numeri relativi all’Africa in due tronchi, settentrionale e subsahariana, e drenare dati macroeconomici, non abbia più molto senso».
Dalla relazione relativa ai dati economici registrati in Africa nel 2019 emergono le complessità e le differenze tra i Paesi.
Questi dati – illustrati anche nel numero di gennaio della rivista “Africa e Affari” – rendono con chiarezza le diverse sfaccettature di un continente in mutamento.
Infatti, paesi quali Ruanda, Ghana, Costa d’Avorio, Etiopia, Benin e Mauritania, crescono a ritmi sorprendenti, mentre le previsioni generali presentano tendenze notevolmente diverse a seconda della regione del continente presa in esame.
Due le grandi incognite all’orizzonte: la siccità e i cambiamenti climatici, fattori negativi che nel 2020 incideranno ancora in misura notevole sui settori energetico e agricolo in Africa australe e nel bacino del lago Ciad – con conseguenti effetti sulle economie di Zimbabwe (tra le peggiori nel 2019), Sud Africa, Angola in Africa australe e su quelle dei paesi dell’area subsahariana -, nonché sulla sicurezza nell’area del Sahel, con la Libia al centro di un complesso scacchiere cui fanno parte anche Burkina Faso, Mali, Niger e Ciad.
La complessità dei dati e del quadro economico africano – che evidenziano come l’Africa sia un continente che non è più possibile semplificare o stereotipare – è descritta con dovizia di particolari nel numero di gennaio del periodico “Africa e Affari”.