VATICANO, antisemitismo e shoah. Pio XII fu un pavido, un complice oppure un papa lucidamente pragmatico?

Da oltre Tevere annunciata per marzo l’apertura degli archivi relativi al pontificato Pacelli. Freddezza e scetticismo nel mondo ebraico: per il rabbino capo Riccardo Di Segni «se ci fosse stato qualcosa di clamoroso sarebbe già uscito fuori». Intanto il cardinale Grocholewski assume la “difesa di ufficio” del presidente polacco Duda nella polemica sulla mancata partecipazione di quest’ultimo alla cerimonia allo Yad Vashem di Gerusalemme

Puntualmente, in occasione della Giornata della Memoria ridivampa la polemica sui silenzi e le complicità della Chiesa cattolica romana riguardo alla shoah. La notizia è quella di una prossima apertura – si parla del mese di marzo –  di quella parte degli archivi vaticani relativa al pontificato di Pio XII, personaggio discusso la cui figura permane ancora oscurata dai silenzi sull’olocausto che caratterizzarono la linea ufficiale del vaticano negli anni della Seconda guerra mondiale.

Si tratta di una questione oltremodo spinosa, dunque, in qualche modo da oltre Tevere si mettono preventivamente le mani avanti: «I dati a nostra disposizione testimoniano che ci sono ampie prove da altre risorse già a disposizione che permettono di ricostruire e quantificare, almeno in maniera preliminare, il livello degli aiuti fatti per i rifugiati ebrei da Pio XII, la Segreteria di Stato e la diocesi di Roma».

Lo scrive in un proprio saggio Johan Ickx, direttore dell’archivio della II Sezione della Segreteria di Stato vaticana, un testo che è stato anche la base di un suo intervento al convegno “Ricordare l’Olocausto. Gli sforzi documentati della Santa Sede e la Chiesa cattolica per salvare vite”, che ha avuto luogo per iniziativa della Missione della Santa Sede presso le Nazioni Unite.

Nella sua opera storiografica egli fornisce una serie di dati sul numero di ebrei che sarebbero stati salvati dal clero cattolico. In particolare, afferma che dei supposti 9.975 ebrei presenti a Roma nel giorno della liberazione, 6.381 erano stati aiutati e protetti da Pio XII, dalle Istituzioni vaticane e dal Vicariato, «e questo significa – conclude quindi nel suo libro – che il 63,97% degli ebrei che erano presenti il 4 giugno 1944 nella capitale italiana sono stati aiutati e salvati da Pio XII, in collaborazione con gli uffici vaticani o il clero diocesano della città».

Ora, è innegabile che, a rischio della propria vita, parte dei cattolici abbia aiutato ebrei e altri perseguitati dai nazisti negli anni bui dell’occupazione militare tedesca evitando loro la fatale deportazione.

Come per altro non esistono dubbi riguardo al fatto che sia numerosi ebrei come anche oppositori del regime fascista e partigiani abbiano trovato sovente rifugio all’interno di istituzioni religiose cattoliche, luoghi la cui extraterritorialità veniva frequentemente violata dai nazisti, spesso con l’ausilio degli uomini delle varie polizie e “bande” sorte nella Repubblica di Salò.

Sempre secondo Ickx la Santa Sede avrebbe avuto immediatamente contezza della minaccia rappresentata dal nazismo, tanto è vero che già negli anni Trenta «aveva tentato di limitare preventivamente gli effetti prodotti dalle ideologie razziste di Hitler».

In questo caso, però, i dubbi ingenerati dalle affermazioni dello studioso sono certamente maggiori, poiché è noto che dietro le mura Leonine esisteva una potente componente clericale filonazista (oggi probabilmente verrebbe definita «lobby») convintamente ispirata dal tradizionale sentimento antigiudaico che permeava da sempre Santa Madre Chiesa e che da secoli aveva informato la condotta di non pochi papi pii assisi sulla cattedra di Pietro.

Un sentimento che avrebbe continuato a pervadere i corridoi dei sacri palazzi anche dopo la guerra, almeno fino al Concilio ecumenico vaticano II.

Tuttavia, il problema dirimente non è tanto quello se i cattolici aiutarono o meno gli ebrei, quanto se il Vaticano sia stato indifferente – o, peggio, complice – riguardo ai piani di “soluzione finale” metodicamente attuati dai nazisti nei Paesi europei sotto il loro dominio.

Ma non è soltanto il silenzio del papa e dell’articolata struttura da lui guidata a inquietare e a essere fonte di perduranti dubbi e polemiche, poiché un altro fondamentale interrogativo investe la natura di quell’aiuto fornito dalla Chiesa ai perseguitati dai nazisti, in primo luogo agli ebrei: esso fu ordinato dal pontefice oppure si trattò di un moto spontaneo?

Allo specifico riguardo, allo stato attuale non esistono prove documentali. I dubbi quindi restano, anzi, a volte vengono alimentati dalle stesse fonti di archivio. Come quelle della Segreteria di Stato indicate dallo stesso Ickx quando ha fatto riferimento alle cosiddette «scatole bianche», cioè a quei documenti che dimostrerebbero come sia Pio XI che il suo segretario di Stato Eugenio Pacelli (in precedenza gradito nunzio apostolico a Berlino) ancor prima dello scoppio della guerra ricevessero quasi quotidianamente informazioni sulla situazione in Germania.

È difficile dunque poter affermare che la Chiesa non sapesse nulla della persecuzione, e non soltanto perché filtravano le notizie dalla Germania, ma anche perché essa disponeva (e dispone tuttora) di una estesa e capillare “rete” mondiale costituita dai religiosi.

Come quella attiva nella cattolicissima Polonia, paese purtroppo non del tutto estraneo al sentimento antisemita dove i nazisti, durante l’occupazione, impiantarono parte dei loro maggiori e più efficienti campi di concentramento e sterminio.

Nel 1942 si sapeva già molto sulla “soluzione finale” hitleriana, perché non vi fu una reazione ufficiale del Vaticano alla barbarie del genocidio in atto?

Si è detto che non si pervenne a una chiara e netta condanna della shoah per ragioni di opportunità.

Quello di Pio XII, figura sicuramente controversa e non ancora studiata a fondo, fu un pontificato sicuramente difficile, tuttavia semplificarne i tratti dipingere Pacelli come un pavido oppure come un papa eccessivamente prudente, se non addirittura come un complice dei nazisti, non aiuta a una serena ricostruzione.

In questo percorso sarebbe invece utile evitare le strumentalizzazioni e le polemiche astratte, concentrando le attenzioni sui fatti e sul contesto cercando di non farsi condizionare dagli eventuali pregiudizi.

Pio XII era un “papa diplomatico” e la diplomazia segreta vaticana infatti si sarebbe attivata. Delle trattative vennero condotte, in passato ne ha parlato la storiografia, però mancano delle fonti ufficiali a sostegno di questa tesi. Su quegli anni bui soltanto una parte della documentazione esistente è stata resa pubblica a partire dagli anni Sessanta.

Ora, non è dato sapere se davvero – come va affermando Ickx – «la preoccupazione per i rifugiati, in particolare per quelli ebrei, sia stata in cima all’agenda politica della Santa Sede», comunque è appurato che oltre Tevere si temesse che Roma potesse perdere lo status di “città aperta” e divenisse un campo di battaglia.

Certamente, all’interno delle Mura leonine una parte del clero aveva paura dei tedeschi, magari non tanto dei loro progetti di invasione del Vaticano e di sequestro del pontefice, quanto di altri pericolosi sviluppi della situazione.

Si attende dunque la resa di pubblico dominio degli archivi di Pio XII, seppure con alcune riserve.

Come quelle espresse dal rabbino capo Riccardo Di Segni, che allo specifico riguardo, salutando con favore la decisione di papa Francesco, nella giornata di ieri ha però dichiarato sibillinamente che «se negli archivi ci fosse stato qualcosa di clamoroso sarebbe già uscito», augurandosi che il Vaticano «renda accessibile tutto».

Il rabbino capo ha espresso tutto lo scetticismo e la freddezza della sua comunità, ribadendo che il giudizio storico su quei fatti non è comunque mutato, poiché – ha egli proseguito – «dovranno uscire fuori cose clamorose per smentire i dati oggettivi storici: vorremmo sapere quali documenti saranno messi a disposizione. Ci sono tutti o solo una parte? Ci auguriamo che il Vaticano renda accessibile tutto. Ci sono studiosi accreditati, ma anche quelli della nostra comunità probabilmente studieranno le carte. Ci sarà da lavorare».

Più cauta la presidente delle Comunità ebraiche italiane Noemi Di Segni, che ha dichiarato che: «È positivo che si voglia fare questa apertura, perché darà modo a tutti coloro che si occupano di ricerca di accedere a materiale d’interesse inedito per poter ricostruire con ancor più chiarezza la posizione della Chiesa anche nel periodo della Shoah».

Dal canto suo, Ruth Dureghello, presidente della Comunità ebraica di Roma, ha affermato che: «L’augurio e la speranza ora è che si faccia chiarezza sul ruolo avuto da Pio XII nel periodo della Seconda guerra mondiale, speriamo di ottenere chiarezza su quel periodo storico e sul ruolo ricoperto dal papa».

Da Israele, attraverso un comunicato il Museo dell’Olocausto Yad Vashem ha reso noto il proprio compiacimento per la decisione di aprire gli archivi del pontificato di Pio XII. «Per anni – si legge in esso – abbiamo fatto appello per la loro apertura, cosa che consentirà una ricerca obiettiva e aperta, nonché un discorso comprensivo sulle questioni collegate alla condotta del Vaticano in particolare, e della Chiesa cattolica in generale, durante l’Olocausto. Ora Yad Vashem “si aspetta che ai ricercatori sia dato pieno accesso a tutti i documenti archiviati».

E proprio a causa della cerimonia che ha avuto luogo allo Yad Vashem è montata l’ennesima polemica sulle celebrazioni della shoah, che in questo caso ha visto protagonista il presidente polacco Andrzej Duda che ha voluto disertare la cerimonia che ha avuto luogo a Gerusalemme.

Forse per patriottismo e spirito di appartenenza, o forse, magari, per mischiare un po’ le carte in tavola in una fase di acuzie nella polemica, il clero ha inteso sollevare un poco di polverone.

Il cardinale Zenon Grocholewski, in aperta  polemica con ha assunto la difesa di ufficio del presidente polacco Duda criticando gli organizzatori della cerimonia gerosolimitana, che – ha affermato – «sono una istituzione di diritto privato e non lo Stato di Israele», aggiungendo poi che il presidente polacco Duda si è molto amareggiato «a causa della evidente falsificazione della storia realizzata dagli organizzatori dell’avvenimento».

La Giornata Mondiale della Memoria delle Vittime dell’Olocausto è stata istituita dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 2005. Come data per tale Giornata è stato scelto il giorno della liberazione da  parte dei militari dell’Armata rossa sovietica del campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau, che cade il 27 di gennaio. La celebrazione del 23 gennaio a Gerusalemme ha suscitato malumori in Polonia, dove si ritiene che il luogo naturale per un tale evento sia Auschwitz-Birkenau, dove i fatti sono materialmente accaduti.

Duda si è risentito perché non gli è stato accordato il diritto di tribuna e ieri il cardinale suo connazionale ne ha preso le parti.

«Il Presidente polacco Andrzej Duda – ha affermato Grocholewski – è stato invitato e avrebbe voluto partecipare alle celebrazioni a Gerusalemme, ma poi ha rinunciato per un motivo ben preciso: il programma prevedeva i discorsi, tra gli altri, dei presidenti della Germania, il paese che scatenò la Seconda guerra mondiale e si rese responsabile dell’Olocausto; della Russia, altrettanto colpevole dei crimini di guerra, basti ricordare il genocidio di 20.000 ufficiali polacchi a Katyn, e della Francia il cui governo durante la guerra inviò gli ebrei ai campi di concentramento. Invece al presidente della Polonia è stata rifiutata tale possibilità e ciò è apparso al presidente Duda inaccettabile. Tenendo conto di questi fatti, rifiutare la parola al presidente polacco, anche per presentare il proprio punto di vista, è parso un tentativo di distorcere la verità storica».

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